Da molti mesi, ormai, in tutte le cancellerie dell’Occidente si discute del possibile sequestro dei beni russi “congelati” dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina per usarli a favore dell’Ucraina stessa. La decisione non è facile, se non altro per il precedente che costituirebbe, dopo averne già stabilito uno di non poco rilievo, ovvero un’azione internazionale coordinata per bloccare i beni di una Banca centrale, quella della Federazione Russa. C’era stato qualcosa di simile nel 2002, quando il presidente Joe Biden aveva firmato un ordine esecutivo per bloccare parte dei beni della Banca centrale dell’Afghanistan al momento del ritorno al potere dei talebani. Ma quella era stata un’iniziativa esclusivamente americana.
Prima di vedere i pro e i contro, cerchiamo di capire di quali beni si tratti, dove siano e quale sia il loro valore. La somma totale sfiora i 300 milioni di dollari, per l’esattezza 280. E si tratta in gran parte di titoli (quasi sempre buoni del Tesoro dei Paesi delle economie avanzate) e depositi, di soliti in dollari Usa e Euro (il Fondo monetario internazionale ci dice che l’80% delle riserve valutarie mondiali è appunto in dollari o Euro). Dove sono? La Germania è il Paese che ne detiene di più, 96,2 miliardi di dollari pari al 16% del totale. Poi vengono Francia (60,7 miliardi, 10% del totale), Giappone (57 – 9%), Usa (39,2 – 6%), Regno Unito (31,3 – 5%), Austria (15,3 – 3%), Canada (16,5 – 3%). Da notare il rapido incremento, tra 2021 e 2022, delle riserve russe accumulate in Germania, dall’11 al 16%: forse il Cremlino pensava che il legame stabilito con i gasdotti Nord Stream potesse essere una sicura garanzia.
Per dare un’idea dell’importanza della somma: corrisponde più o meno alla metà delle riserve di cui la Federazione Russa disponeva alla viglia dell’invasione ed eguaglia la cifra che gli Usa, gli europei e gli altri Paesi hanno finora versato per sostenere l’Ucraina, cioè 280 miliardi, in una guerra che non sembra prossima a finire e nella disperata necessità di un Paese, l’Ucraina appunto, che ogni giorno affronta distruzioni crescenti e che impegna il 58% del proprio Pil per sostenere lo sforzo bellico. Somma che, peraltro, coprirebbe solo i tre quarti dell’eventuale costo della ricostruzione (411 miliardi di dollari) come calcolato dalla Banca mondiale dopo un solo anno di guerra.
A parte i soliti polacchi e i baltici, il Paese più deciso nel proporre il sequestro dei beni russi e il loro reimpiego a favore dell’Ucraina sono gli Stati Uniti. Il 24 aprile scorso Biden ha firmato una legge che lo autorizza a sequestrare le riserve russe che si trovino negli Usa dopo aver relazionato al Congresso. Una mossa necessaria perché molti autorevoli esperti americani ritenevano che la legislazione precedente non autorizzasse al Presidente una simile mossa in tempo di pace (già, perché gli Usa non sono in guerra con la Russia). La posizione americana è condivisa dal Regno Unito mentre Germania, Francia e Italia sono piuttosto scettiche in proposito. La più decisa è la Germania, per una ragione molto semplice: se un simile provvedimento passasse per la Russia, chi impedirebbe a diversi altri Paesi di chiedere a Berlino una compensazione per i danni subiti durante il periodo hitleriano? Nell’ottobre del 2022 la Polonia ha messo sotto una commissione di trenta storici, economisti ed esperti di vario genere che hanno calcolato in 1.300 miliardi i danni di guerra subiti dal Paese durante la seconda guerra mondiale. E il Governo polacco ha subito fatto sapere di avere intenzione di farsi risarcire…
Anche Christine Lagarde, governatrice della Banca centrale europea, ha invitato tutti alla cautela: “Passare da congelare i beni a sequestrarli e infine a usarli è qualcosa con cui bisogna fare molta attenzione”. Per tante ragioni. La prima e più evidente: la Russia non resterebbe con le mani in mano. pare che il Cremlino abbia censito in Russia beni di aziende occidentali per un valore di 290 miliardi di dollari che, in risposta a una decisione occidentale, verrebbero immediatamente sequestrati. Il recente sequestro ai danni dell’italiana Ariston e della tedesca Bosch è la dimostrazione che Putin non scherza. Come lo è il sequestro di 440 milioni dai conti di J.P. Morgan all’indomani della firma di Biden alla legge di cui dicevamo sopra. Insomma, il danno potrebbe essere peggiore del profitto. E poi c’è un’altra ragione, più sistemica. L’ha ben descritta Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia: “Fare di una valuta un’arma inevitabilmente riduce il suo potere d’attrazione e incoraggia l’emergere di alternative”. Detto in parole povere: sequestrare i beni russi potrebbe convincere molti Paesi che anche i loro, custoditi in Europa e negli Usa, potrebbero essere a rischio e quindi invogliarli a portarli altrove. Magari a investirli nella valuta della Cina.
Si scontrano così non solo due filosofie ma anche due tattiche. Biden vorrebbe avere dietro di sé anche l’Europa, per condividere il peso (economico e politico) di una decisione così forte. l’Europa teme di ritrovarsi in prima linea sotto il fuoco della reazione russa e dei possibili sussulti dei mercati internazionali. Così in ambito Ue è stata avanzata una proposta alternativa: sequestrare gli interessi dei capitali russi, che secondo le stime arriverebbero a 17 miliardi di dollari in quattro anni (nel solo 2023 sono stati 5 miliardi). Vedremo chi vincerà il braccio di ferro. Intanto il Cremlino osserva (il ministero degli Esteri russo ha già definito un eventuale sequestro “un furto”) e fa i suoi piani.
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