È solo di ieri l’ennesimo repulisti zelenskiano nelle file del Governo ucraino. Via due vice-premier (Vereshchuk e Stefanyshina), quattro ministri (Kuleba degli Esteri, Malyuska della Giustizia, Kamyshin dell’Industria strategica e Strylec dell’Ambiente), il direttore del Fondo demaniale nazionale Koval e uno dei vice-capi dell’amministrazione presidenziale, Rostislav Shurma, responsabile per le questioni economiche. E fatta salva l’inevitabile conclusione che, al di là delle dichiarazioni di facciata, le cose non vanno certo bene per l’Ucraina, ci chiedevamo se si trattasse di dimissioni o di siluramenti. Nel primo caso dovremmo pensare che ci sono dissensi e divergenze al vertice. Nel secondo che Zelensky non si fidava più nemmeno degli ultimi fedelissimi che aveva ancora al fianco: la Vereshchuk era con lui dalla prima ora, la Stefanyshina, Kuleba, Malyuska e Shurma quasi. Dunque?
Dopo l’ondata di dismissioni sono arrivate le prime nuova nomine, che lasciano aperti tutti gli interrogativi e semmai ne aprono di nuovi. Il nuovo ministro degli Esteri, infatti, è Andrii Sybiha, 49 anni, dal 2021 uno dei vice-capi dell’amministrazione presidenziale, incarico lasciato qualche mese fa per diventare vice-ministro degli Esteri. A Sybiha non manca certo l’esperienza degli affari internazionali. Originario di L’viv, dopo la laurea in pratica ha sempre lavorato per il ministero degli Esteri, anche con esperienze a vario livello nelle ambasciate in Polonia e, soprattutto, in Turchia, dov’è stato ambasciatore del 2016 al 2021. Fino a quando, insomma, fu chiamato all’amministrazione presidenziale di cui poco tempo prima era diventato il capo Andrii Yermak, il più fedele tra i fedelissimi di Zelensky.
Come si diceva, a Sybiha non mancano certo i titoli per occupare il ruolo del ministro. Il suo curriculum di diplomatico è forse meno ricco di quello del predecessore Kuleba (che fu vice-ministro degli Esteri nel 2003-2004 e ambasciatore in Egitto, Repubblica Ceca, Kazakhstan e Armenia) ma di indubitabile spessore. È il suo percorso, piuttosto, che fa riflettere.
Per dirlo in poche parole: Sybiha è un fedelissimo di Yermak, che a sua volta è da tempo l’elemento decisivo nella gestione del potere zelenskiano, tanto che molti lo considerano il “presidente ombra” del Paese. Il recente trasferimento di Sibyha dall’amministrazione presidenziale al ministero fa pensare che Kuleba fosse sotto osservazione già da tempo e che Sibyha fosse stato messo lì per controllarlo e, in caso, sostituirlo. Come in effetti è avvenuto.
E altrettanto si può dire per la nomina di Oleksyy Kuleba (solo un’omonimia) alla carica di vice-premier e di ministro per i Territori temporaneamente occupati. Kuleba è stato a lungo governatore della regione di Kiev (incarico cruciale, visto che la capitale ucraina è governata dal sindaco Vitalij Klyčko, con il quale i rapporti sono sempre stati tesi) ma negli ultimi tempi era vice-capo (un altro) dell’amministrazione presidenziale. Che di fatto, un passo alla volta, si sta sostituendo al Governo.
Zelensky ha sempre avuto problemi con le istituzioni “tradizionali”, con i meccanismi a volte farraginosi e complicati dello Stato democratico. Già prima dell’invasione russa, l’organismo a cui più si appoggiava (essendo il Parlamento, a maggioranza assoluta di Servo del popolo, un semplice luogo di approvazione delle sue decisioni) era il Consiglio di sicurezza che, avendo solo membri di nomina presidenziale, era di totale fiducia. Per fare un esempio: nel 2021, quando furono approvate, le famose “leggi antioligarchi” stabilivano che a decidere chi fosse un oligarca e chi no (e quindi, chi ricadesse sotto gli strali delle nuove leggi e chi no) fosse appunto il Consiglio di sicurezza, in ultima analisi lo stesso Zelensky.
La rimozione di Kuleba, un diplomatico di carriera, con Sibyha, un diplomatico risciacquato nell’Amministrazione presidenziale, e la promozione dell’altro Kuleba trasmettono la sensazione di uno Zelensky assediato e sempre più incline a rinchiudersi nella cerchia degli organi di sicurezza. Quelli che, insieme con le forze armate, più hanno beneficiato degli aiuti occidentali. E parlando di organi di sicurezza, va registrata l’assenza dalla scena pubblica, negli ultimi tempi, di Kyrylo Budanov, il capo dei servizi segreti militari, fino a qualche tempo fa una specie di star per la sua lotta inflessibile contro i russi. O è caduto in disgrazia anche lui o il pericolo di un attentato da parte russa si è fatto troppo pressante.
Fulvio Scaglione
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