Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

O con Boeri o contro, purché prendiate posizione …



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Di Claudio Martinotti Doria

Dovrebbe essere divenuto evidente quali siano gli interessi in gioco, per chiunque segua anche solo distrattamente, il conflitto sempre più serrato tra il governo (con esso tutta la casta politico burocratica parassitaria) ed il presidente dell’INPS prof. Tito Boeri.
Boeri non è un politico (ecco perché ha avanzato tali proposte ed è inviso ai politici) ma è probabilmente persona dotata di buon senso e di una morale, e di fronte alla montagna di iniquità, sperequazioni e privilegi che si è trovato di fronte in seguito al suo incarico istituzionale, ha cercato dapprima sommessamente e poi in maniera sempre più determinata di avanzare proposte correttive, che andassero incontro alla maggioranza della popolazione, che negli anni passati, e soprattutto in quelli recenti (leggasi riforma Fornero) è stata molto penalizzata, mentre altre categorie sociali minoritarie non sono state neppure sfiorate dalla crisi e da quelle “correzioni” che la crisi stessa avrebbe dovuto rendere necessarie. Ha ad esempio proposto riduzioni di appena l’8 fino al massimo del 12 per cento per le pensioni cosiddette d’oro, cioè oltre i 5mila euro mensili, quasi tutte frutto di generose elargizioni e concessioni di stato o delle regioni autonome, mai proporzionate ai versamenti previdenziali effettuati, per poter utilizzare le risorse derivanti da questi interventi a favore delle fasce sociali più deboli e penalizzate, quali ad esempio gli ultra55enni senza lavoro e senza pensione (che peraltro nessuno in questo paese si è degnato di censire, non sapendo neppure quanti siano).

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In pratica di fronte a vistose ingiustizie nel trattamento previdenziale, e di fronte ad una povertà che è solo agli inizi ma che si può immaginare in prospettiva quanto si potrà aggravare (peccato che i nostri politici, cinici avidi e corrotti, non vedano oltre la punta del proprio naso), Boeri ha semplicemente proposto dei correttivi modestissimi che graverebbero solo su chi ha ricevuto privilegi eccessivi in passato e che potrebbero riequilibrare e compensare parzialmente la situazione, attualmente troppo sbilanciata.
Il governo e la casta di parassiti (che costituiscono un corpo unico, quando si tratta di difendere i loro interessi) hanno respinto al mittente tutte le proposte, con cinismo e spregiudicatezza, a volte bleffando, facendo finta di accoglierne una porzione insignificante, ma solo per il gioco dei media, per il teatrino della politica, per guadagnare tempo contando come al solito sulla memoria corta e l’ignoranza degli italiani, in attesa di eventi che li possano distrarre.
Se non si fanno degli esempi efficaci, in quest’epoca di predominio mediatico dell’immagine, non si capisce il senso e soprattutto le proporzioni delle pur prudenti ed appena accennate proposte correttive di Boeri.
Per usare una metafora che rendere bene l’idea, è come se Boeri avesse chiesto ad un obeso ed ingordo di rinunciare, dopo un pasto di 14 portate, alla terza razione di dessert cui è abituato, dicendo che il ricavato della sua rinuncia avrebbe fornito il pane e companatico per una famiglia priva di reddito da lavoro e priva di pensione (grazie alla Fornero), e questi, con tutti i suoi consimili, gli avesse risposto che piuttosto l’avrebbe data al suo cane (che si suppone più intelligente di lui, e che quindi non gradirebbe perché nociva per la sua salute), perché  è un diritto acquisito avendo versato i contributi. 

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In realtà è vero che ha versato i contributi, ma in misura ridotta in seguito a sfacciati privilegi, e siccome non esistono pasti gratis, quei privilegi li sta pagando qualcun altro, e chi se non “pantalone”? Cioè chi lavora onestamente ed il frutto del suo lavoro gli viene sottratto gradualmente, progressivamente ed inesorabilmente fino a livelli insopportabili? Sia con la pressione fiscale e previdenziale e sia con un sistema finanziario e monetario criminale e truffaldino (quanti ad esempio si sono visti dissolvere i propri risparmi investiti in alcuni fondi e banche?).
I politici ed i burocrati, che sono stati i beneficiari di questo sistema avido e corrotto, non sono altro che i maggiordomi ed i servi (secondo gerarchie interne) dell’alta finanza internazionale, che da decenni sta portando avanti un disegno di concentrazione nelle proprie mani di tutta la ricchezza prodotta, lasciando solo quanto necessario per sopravvivere a chi lavora onestamente, in modo che sia costretto ad impegnarsi sempre di più e sempre più a lungo (fino alla morte, possibilmente senza riscuotere neppure la pensione) nel lavoro e nella produzione, in un circolo perverso che favorisce solo il parassitismo, le rendite da posizione dominante.
Chi non ha ancora capito che le cose stanno così, cioè che si tratta di un’orditura pianificata tesa a conservare il potere ed accumulare tutta la ricchezza prodotta, mi spiace per lui ma si sta facendo ingannare dalle mistificazioni in atto, e magare ne diventa pure complice, ultimo anello della catena, in cambio di un piatto di lenticchie.
Chi non si schiera a favore di Boeri è parte del gioco ed ha preso posizione, si suppone in cambio di privilegi (due piatti di lenticchie?) o di promesse future (sulle quali farebbe bene a dubitare), spero lo faccia almeno con un minimo di consapevolezza delle ripercussioni. Queste ultime temo siano alquanto sottovalutate, perché solo uno sprovveduto (reso tale dall’avidità) può pensare che alla lunga, quando la popolazione sarà ridotta sul lastrico, possa essere domata con la forza, con le unità antisommossa che il leviatano europeo sta predisponendo ed addestrando. La Storia non ha insegnato nulla a queste indegne persone di potere?

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Possibile che non capiscano che sarebbe meglio rinunciare al terzo dessert a fine pasto per distribuire pane e companatico a chi non c’è l’ha, per perpetuare un minimo di pace sociale? O temono che costituirebbe un pericoloso precedente? Che metterebbe a repentaglio tutto il loro apparato e sistema di dominio?
La popolazione tutta, appena divenuta consapevole, dovrebbe schierarsi a favore di Boeri e delle sue proposte correttive, che sono veramente il minimo che si dovrebbe realizzare per porre almeno parziale rimedio all’iniquità dominante nel sistema previdenziale italiano.
Nella peggiore delle ipotesi, quantomeno si renderanno evidenti gli schieramenti in gioco e le dissimulazioni, da un lato i parassiti e dall’altro i parassitati, le zone di grigio sono infinite (l’ambiguità e l’ambivalenza è tipicamente italica), ma col tempo si renderanno più riconoscibili.

Nonostante i media mainstream, gli spin-doctors ed i loro frame, gli italiani sono sempre più dalla parte di Putin

L’Italia si sveglia dalla parte di Putin

  Fonte: Sputnik.

Marco Fontana
 
Anche per quelli più intossicati dalla propaganda mainstream era da tempo evidente che l'opinione pubblica italiana si fosse orientatata verso una franca simpatia per il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.
Basta navigare sui principali social network per accorgersi, talvolta con stupore, del numero di gruppi a tema che riguardano la Russia e il suo leader e dell'intensità dei contenuti degli articoli condivisi e dei post. Finalmente anche un sondaggio sancisce l'esistenza di questa fenomeno: l'istituto demoscopico SWG, all'interno dello speciale Je suis Paris — Liberté, égalité, fraternité, rivolto a valutare i sentimenti degli italiani in seguito al massacro di Parigi, ha infatti misurato l'apprezzamento dato dai nostri concittadini all'azione politica effettuata da Putin nell'ambito della crisi dell'Isis: il 49% degli italiani sta dalla parte della Russia e considera efficaci le misure messe in atto fino ad oggi in Siria.
Un risultato eccezionale, se pensiamo a due fattori: da una parte troviamo il martellamento mediatico che gli italiani subiscono dai principali giornali e Tg, che descrivono Putin come dittatore guerrafondaio, e dall'altra c'è il tipico atteggiamento solidale e antibellico che caratterizza gli italiani almeno dalla Guerra in Iraq. E come carico a briscola ci mettiamo pure che il consenso verso la Russia di Putin supera persino quello rilevato pochi giorni prima sul governo Renzi, il quale si ferma al 46%. 
Eclatante è poi la bocciatura della politica obamiana: solamente il 32% degli italiani condivide l'azione statunitense, nonostante questa ci venga costantemente presentata in televisione come l'unica davvero civile, possibile, democratica. Per fortuna sono parole al vento, quelle dei telegiornalisti nostrani, lettori delle veline euroatlantiche, se alla fine il tanto vituperato Putin stacca di 14 punti percentuali il consenso di Obama. Insomma, da qualsiasi angolazione lo si guardi, lo studio effettuato da SWG mostra come l'Italia si scopra sempre di più filo-Putin; ed questa tendenza non potrà che aumentare dopo l'improvvido abbattimento da parte della Turchia di un Su-24 dell'aviazione russa. Agli occhi non più tanto addormentati del popolo italiano, tale gesto scellerato getta ulteriori ombre sulla gestione occidentale della crisi siriana e soprattutto sulle presunte connivenze dei Paesi del G20 con l'Isis. Come si può accettare che venga sanguinosamente ostacolato chi sta combattendo a fondo per debellare l'integralismo islamico? E pensare poi che la Turchia era uno dei Paesi in lizza per entrare in Europa; sembrerebbe allora che abbattere gli aerei di chi bombarda i terroristi sia la nuova politica dell'UE… E' impossibile questa posizione venga condivisa da un'opinione pubblica già fortemente scossa dal sangue parigino.
E' lecito invece nutrire seri dubbi sull'operato dei governi che stanno da tempo giocando una partita rischiosissima con la Russia pur di mantenersi ligi alla linea di Obama. E' sconcertante vedere l'Europa dividere il fronte anti-Isis, perchè in questo modo perde di vista il vero nemico per combattere invece una partita ideologica e di meri interessi geopolitici che nulla spartiscono con le istanze di sicurezza e difesa dei diritti e delle tradizioni, che da tempo richiedono a grande voce i cittadini, anche quelli più europeisti.

Dopo il fattaccio avvenuto sul confine turco-siriano, una Terza guerra mondiale sta bussando insistenemente alla porta. Il paradosso è che mentre i cittadini la immaginano combattuta contro i terroristi dell'Isis, i governi occidentali la stanno imbastendo contro quello che dovrebbe essere il loro alleato naturale, la Russia. Oggi tutti gli Stati europei sono di fronte a un bivio: stare dalla parte di chi vuole cancellare il fondamentalismo islamico come la Russia e chi invece si sta schierando in una zona grigia di connivenza con il regime di Raqqa, e cioè con coloro che hanno armato gli attentatori di Parigi. E' un momento cruciale per la storia dell'Occidente, nel quale sono evidenti la parte giusta e la parte sbagliata. Oggi sta traballando quella pace conquistata col sangue nella Seconda Guerra Mondiale: è in bilico non per mano di una cultura diversa, ma per le mire dei potentati economici, politici e finanziari per i quali la sovranità popolare è solo una fastidiosa formalità da aggirare. In un contesto del genere, a ridere sono proprio le organizzazioni terroristiche che non hanno mai visto così vicina la loro vittoria, la distruzione dell'Occidente.   

Giulietto Chiesa è fin troppo prudente nell'esporre i suoi dubbi sugli atti terroristici a Parigi e le reazioni delle autorità

Parigi, Giulietto Chiesa: “Le incongruenze di quella notte a Parigi. Per me tedeschi a rischio"
23 novembre 2015
di  Lucia Bigozzi






Parigi, Giulietto Chiesa: “Le incongruenze di quella notte a Parigi. Per me tedeschi a rischio'

“Incongruenze” nella notte del massacro di Parigi e in quella di Saint-Denis. Giulietto Chiesa, giornalista e scrittore, esperto di scenari internazionali e politica estera, rileva nella conversazione con Intelligonews nel giorno in cui a Roma scatta il piano sicurezza per il Giubileo. Con una “previsione-sensazione” ad hoc per l’Italia…

A otto giorni dalla strage di Parigi, secondo lei ci sono incongruenze nella dinamica dei fatti? Lei quali ne individua?

«Ce n’è una clamorosa: tutti gli attentatori si sono suicidati con la cintura esplosiva; praticamente non hanno ucciso ma si sono uccisi inutilmente. Leggendo le cose che sono emerse, vedo che uno si mette la cintura esplosiva e si fa esplodere in un bar dove ferisce gravemente una cameriera; un altro si fa esplodere in un vicolo, un altro si fa saltare all’ingresso dello stadio e uccide un passante. Che senso ha tutto questo? Nessuno. Non tutti tra gli attentatori però sono morti e non tutti sono kamikaze suicidi, tanto è vero che li stanno ancora cercando. L’ultima incongruenza clamorosa a mio avviso riguarda la notte di Saint-Denis e l’assalto al covo: è stato fatto un assalto notturno sparando cinquemila proiettili per uccidere persone ritenute o complici o autori del massacro di Parigi, che erano state circondate nel luogo dove stavano e potevano essere catturate vive; invece sono stati tutti uccisi. A quale scopo? Siamo di fronte a strutture di ultra-specialisti, le cosiddette teste di cuoio, che vanno davanti a un appartamento di notte per uccidere tutti quando avrebbero potuto prenderli vivi e farli parlare? Io più guardo, più leggo e più mi sorgono interrogativi». 

Perché Salah Abdeslam non è stato ancora catturato? Ha lasciato tracce del suo passaggio anche in Italia. 

«E’ possibile che sia un uomo abilissimo, ma non mi pare che nessuno degli attentatori abbia un curriculum da grande intellettuale stratega; mi sembrano dei poveracci votati alla morte o come si suol dire, dei capri espiatori. Ho l’impressione che non fossero gli unici ma che ci fosse qualcun altro in giro - e infatti lo stanno cercando - che o non verrà catturato oppure se verrà catturato, verrà ucciso. Io non ho prove, ho indizi e punti interrogativi che mi limito ad elencare»

Italia a rischio? Anche oggi una giornata di falsi allarmi bomba a Roma, proprio nel giorno del varo del piano di sicurezza per il Giubileo. Che impressione ha?

«Le dico la mia personale opinione: ho l’impressione che l’Italia sia il paese che rischia di meno e penso che ci sia qualcosa di altro in giro». 

Perché?

«Perché l’Italia è rimasta ai margini di tutta questa vicenda e per fare operazioni di questo genere ci vogliono complicità nei gangli dello Stato, come peraltro avvenuto nei casi di terrorismo italiano. Se uno non ha alleati nel paese in cui pensa di fare l’operazione, se ne va altrove dove la possibilità di avere alleati è maggiore»

Il ministro Alfano propone di presidiare i confini esterni alle frontiere. E’ sufficiente? 

«Queste sono chiacchiere. Da Patriot Act in poi, sappiano come vanno le cose: non appena si delinea un pericolo di questo genere, subito si fa ricorso a un’operazione di restrizione della libertà delle persone. Fa molto comodo invocare pericolo terroristico in nome del quale di restringono le libertà delle persone: naturalmente occorre prendere delle misure e questo è legittimo, ma cominciare a strillare di ridurre la quota delle nostre libertà non mi pare il caso. Va fatto un lavoro mirato, ci sono organismi preposti e specializzati che devono agire. Quanto alla valutazione politica, mi pare che l’Italia sia la meno esposta rispetto ad altri paesi quali la Gran Bretagna e la Francia. La Germania un po’ meno anche se per altre ragioni ha creato un certo fastidio agli Usa. Portogallo, Spagna, Grecia e Italia sono esposti in maniera molto inferiore rispetto a Francia, Gran Bretagna, Belgio e, forse, alla stessa Germania dove io personalmente concentrerei l’attenzione sui possibili rischi».

Più welfare, meno bombe. Così si sconfigge l’Isis



Hollande, senti qua: «Più welfare, meno bombe. Così si sconfigge l’Isis»

Benedetta Berti, lecturer all'Università di Tel Aviv: «Studio gruppi come l’Isis da dieci anni: bombardare serve a poco o niente. Bisogna riempire i gap di infrastrutture dove proliferano»

di Silvia Favasuli
Fonte: Linkiesta http://www.linkiesta.it/it

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Cosa fanno i gruppi come l’Isis quando non combattono? È questa la domanda da cui partire per capire come intervenire oggi in Siria e Iraq. Così la pensa Benedetta Berti, Lecturer dell'Università di Tel Aviv con alle spalle una attività incessante da ricercatrice tra Americhe e Medio Oriente. Berti ha passato gli ultimi dieci anni a studiare i “non-state groups”, organizzazioni violente e non statali come Hezbollah, Hamas e Isis. E li osservati da dietro le quinte, quando non sparano o attaccano. Ha analizzato i servizi di sicurezza offerti alla popolazione, la raccolta dei rifiuti per le strade, la costruzione di scuole, di ospedali. Ha studiato le loro attività economiche e la comunicazione strategica per reclutare nuovi miliziani. E lo ha fatto vivendo con loro, quando possibile, o captando le direttive inviate nel dark web dai militanti di Isis alle varie province del cosiddetto Califfato tra Siria ed Iraq.

    Dietro la punta visibile a noi occidentali – fatta di video-decapitazioni, rappresaglie, attacchi terroristici - c'è un gigante iceberg che merita molta più attenzione

È sulla base di queste ricerche che oggi afferma con convinzione questo: i bombardamenti occidentali contro i gruppi islamisti sono piuttosto inutili. Ne indeboliscono l'apparato militare, sì. Ma non il potere di controllo sul territorio. Soprattutto, non riempiono, ma anzi estendono, quei gap dentro cui i gruppi armati nascono e proliferano: il vuoto di servizi offerti ai cittadini da parte di stati locali deboli. Uno stato di emergenza perenne dentro cui è più facile reclutare nuovi jihadisti.

    La guerra oggi non è più tra stati, ma tra stati e non-stati

Dietro la punta visibile a noi occidentali – fatta di video-decapitazioni, rappresaglie, attacchi terroristici - c'è un iceberg che merita molta più attenzione, ci dice oggi Berti. È un punto di vista che ci sembra fondamentale acquisire oggi, al tempo in cui la guerra – dice sempre Berti – non è più tra stati, ma tra stati e gruppi non statali.



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Ci chiarisce innanzitutto cosa intende per «non-state groups», i gruppi non statali di cui si occupa nelle sue ricerche?
I «non-state groups» sono tutti quegli attori che, dato uno stato, operano al di fuori delle sue istituzioni, e che impiegano la forza per raggiungere i loro obiettivi. Sono milizie o organizzazioni terroristiche che nascono al temine di un conflitto. Oppure attività di guerriglia e criminalità organizzata nelle grandi megalopoli. Insomma, tutto ciò che mette in discussione il potere dello Stato. Mi sono occupata di casi diversi, ognuno con le sue specificità, ma tutti uniti da questi due elementi: estraneità alle istituzioni statali, uso della violenza e apparati militari a disposizione. Studio come operano, ma anche le politiche da usare per disarmarli e aprire un dialogo.

    «Isis ha un'organizzazione complessa che va oltre il semplice apparato militare»

Considera Isis uno di questi «non-state groups»?
Sì, certo. E come molti altri (Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, ad esempio) Isis ha un'organizzazione complessa che va oltre il semplice apparato militare, l'unico che l'Occidente sembra vedere. Isis è nato dalle radici di Al Qaeda in Iraq sulla base di un nuovo progetto di controllo del territorio e della popolazione. Un obiettivo, quest'ultimo, che intende raggiungere sì con l'uso della violenza, ma anche con la creazione di un vero e proprio welfare statale. Quando conquista una nuova porzione di territorio, la prima cosa che lo Stato Islamico fa è di assumere il controllo delle infrastrutture: scuole, centrali elettriche, polizia.

    «Puoi indebolire militarmente Isis, ma il gruppo potrebbe semplicemente spostarsi geograficamente, ad esempio. Oppure potrebbe sciogliersi e dare vita a splinter ancora più radicali».

Sulla base di tutto questo, crede che l'inasprimento delle operazioni militari di nazioni occidentali come la Francia contro le postazioni Isis possa essere efficace?
I bombardamenti possono senz'altro indebolire l'apparato militare del gruppo. Ma possono anche peggiorare la situazione nel lungo termine. Il problema in questo caso è strutturale. Isis è riuscito ad emergere grazie a due crisi molto profonde. La prima, quella dell'Iraq post 2003, uno stato rimasto senza un progetto di ricostruzione solido, affidato a un governo centrale debole e corrotto, e che ha escluso una parte consistente della popolazione. La seconda, quella della guerra civile siriana: un altro vuoto di potere. Questo significa che senza una stabilizzazione della situazione, Isis o altri gruppi ancora più radicali continueranno a rifiorire. Puoi indebolire militarmente Isis, ma il gruppo potrebbe semplicemente spostarsi geograficamente, ad esempio. Oppure potrebbe sciogliersi e dare vita a splinter ancora più radicali. Non bisogna dimenticare che Isis è diventato anche un'idea cui altre milizie in altre parti del mondo aderiscono. È un progetto complesso e di lungo termine.

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In che senso un'operazione militare potrebbe peggiorare la situazione?
Si aggraverebbe l'emergenza umanitaria già profonda, creando le condizioni migliori per reclutare nuovi jihadisti.

    Va sostenuta la società civile, i progetti di sviluppo civile locali, per riuscire a colmare quella mancanza di servizi primari da parte governativa che spiana le porte a Isis e al controllo territoriale.

Quali sono allora le strategie migliori per affrontare la minaccia dell'Isis?
Nel breve periodo bisogna sicuramente migliorare le capacità di intelligence e di scambio di informazioni tra nazioni in Europa per prevenire nuovi attacchi. Poi bisogna cercare di arrivare a una soluzione politica in Siria, lavorando con l'opposizione siriana e con le forze curde. Il tutto sempre in un 'ottica di messa in sicurezza del territorio. E di riduzione del vuoto di potere. Occorre poi pensare al day after. Non c'è solo un'emergenza sicurezza. C'è soprattutto un'emergenza umanitaria che è ulteriore fonte di instabilità. Bisogna sostenere economicamente le organizzazioni impegnate nella gestione dei profughi, e nazioni come Giordania e Libano ormai vicine all'implosione. Va sostenuta la società civile, i progetti di sviluppo civile locali, per riuscire a colmare quella mancanza di servizi primari da parte governativa che spiana le porte a Isis e al controllo territoriale.

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Immagina anche un maggiore intervento delle nazioni occidentali nell'offerta di servizi alla popolazione?
Lungi da me l'idea di aumentare ulteriormente la presenza occidentale dentro le società arabe. Credo sia più opportuno invece sostenere economicamente progetti locali già esistenti, aiutare la società civile a colmare da sé vuoti di servizi.

    «Nell'estate appena trascorsa un gruppo di tribù sunnite nei territori del “Califfato” si è ribellato. La conseguenza è stato un massacro di massa»

Sappiamo che a Baghdad, in Iraq, ogni venerdì ci sono proteste contro il governo e la corruzione dei suoi membri. Si può sperare in una rivolta dall'interno anche della popolazione sottomessa dall’Isis?
Le poche testimonianze che ci arrivano ci fanno capire che siriani ed iracheni accettano contro voglia le brutalità di Isis. Se facessimo dei sondaggi, per dire, è chiaro che la maggior parte delle persone si direbbe contraria. Ma sappiamo anche che questa popolazione vive in una condizione di dipendenza dai miliziani. Economica, prima di tutto: gli islamisti sono gli unici capaci in questo momento di fornire servizi base. Ma c'è anche una repressione totale che rende impossibile ogni rivolta da dentro. Nell'estate appena trascorsa un gruppo di tribù sunnite nei territori del “Califfato” si è ribellato. La conseguenza è stato un massacro di massa, fatto anche per inviare un messaggio forte al resto della popolazione.

Quali fonti usi per le tue ricerche?
In passato ho sempre preso contatti diretti con i gruppi che studiavo. Con Isis è diverso. L'accesso diretto alle aree da loro controllate è impossibile. Lavoro studiando le comunicazioni che i miliziani passano sui loro canali nel dark web, come le direttive per le diverse province del “Califfato”. E ho fonti locali che mi sono costruita in dieci anni di lavoro. Mi è utile anche la mia attività di consulente umanitaria per i rifugiati siriani: li intervisto e mi faccio raccontare quello che hanno vissuto nel caso in cui provengano dai territori controllati da Isis.

Considerando che l'attacco di Parigi è stato organizzato grazie alla disponibilità di jihadisti francesi, credi che la tua teoria possa applicarsi anche a capitali europee come Parigi? Quella cioè di riempire gap lasciati dai governi locali nell'offerta di infrastrutture, scuole, ospedali, opportunità di sviluppo e coinvolgimento nella società, evitando che «non-state groups» prendano il sopravvento...
Il mio lavoro si concentra soprattuto su stati deboli e situazioni di conflitto o post-conflitto. Per questo esito a dire che il mio approccio sia valido anche per Parigi, perché non ho studiato il caso. Detto questo, è piuttosto chiaro che la mancanza di opportunità economiche, infrastrutture, accesso e esperienze di difficoltà di integrazione nelle periferie di metropoli europee contribuiscono tutte a creare insicurezza.
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