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"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

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L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

LOCALISMO. Definizione. Ovvero il contrario di globalizzazione. Proposta per una teoria sociale del benessere

LOCALISMO. Definizione. Ovvero il contrario di globalizzazione. Proposta per una teoria sociale del benessere
Fonte: http://www.localismus.org
Premessa
Il Localismo - da locus, luogo, contesto, stare in, esserci - è una concezione della vita che tende al riavvicinamento emotivo dell’individuo con le fonti primarie delle sue esperienze sia all’interno di sé, sia verso la realtà esterna, per riequilibrare l’alienazione prodotta dalla società detta ‘globale’ dove gli obiettivi dominanti sono i risultati tecnologici e quantitativi.Il Localismo ritiene che il benessere venga più dal contatto con la realtà concreta e vicina che non con la realtà astratta e lontana. Ritiene che la soddisfazione non venga solo dall’ottenimento degli obiettivi, ma soprattutto dal processo esperienziale che si vive per raggiungere l’obiettivo. Ritiene altresì che la soddisfazione non venga dalla quantità o dalla dimensione delle cose che si possiedono o si raggiungono, ma dal significato che la cosa ha per il soggetto e quindi una cosa piccola che attiva all’interno di sé un’emozione profonda è più importante di una cosa grande ma che su un piano emotivo rimane astratta e lontana.Localismo quindi è un processo di riavvicinamento a questi valori interiori spostandosi dall’ideale della crescita quantitativa e dell’espansione geografica, verso il recupero della qualità di relazione con la singola cosa o la singola persona.
Si tratta quindi di preferire il “Locale” sia come luogo emotivamente interiore, sia come luogo geografico, poiché solo attraverso un restringimento dello spazio nel quale opera l’individuo si può avere un contatto più sentito con le cose o le persone che lo compongono.
Il Localismo ritiene che il perseguimento dei valori quantitativi oltre un certo limite rappresenti un costo energetico ed emotivo inutile per l’individuo e quindi un suo impoverimento e cerca di definire questo limite all’interno del soggetto per coglierne il reale vantaggio.
Questo percorso di ricollocazione interiore dei valori può avvenire attraverso un’analisi psicologica, antropologica, storica, biologica, etologica, filosofica ed esperienziale.
Si ritiene altresì che tutti gli individui abbiano in comune i sentimenti più profondi, e che questa condivisione empatica sia fonte di benessere, arricchimento della vita ed equilibrio sociale.
Questa concezione non deriva da premesse etiche, ma da dimostrazioni razionali e scientifiche, dove la ragione e il sentimento non sono scissi ma si rinforzano a vicenda.
Il Localismo chiede oggi che obiettivi quantitativi come Progresso, Sviluppo, Globalizzazione, Economia, Tecnologia, Scoperte, Invenzioni, vengano sostenuti dalla dimostrazione razionale e scientifica dei loro vantaggi per l’uomo nella sua interezza. Chiede che gli individui non siano più trascinati acriticamente da ideali ed etiche che rappresentano un rischio assai maggiore di quelli che hanno sprofondato fino ad oggi l’umanità nei baratri dolorosi della sua storia. Ritiene che sia giunta il momento di una consapevolezza più completa degli obiettivi e dei valori umani.
Il Localismo si rende evidentemente conto che la realtà mondiale è oggi unificata da una serie di connessioni di tutti i tipi, non più formata da realtà individuali e che il tutto prende il nome di Globalizzazione. Tuttavia il termine Localismo serve proprio a individuare il percorso di recupero consapevole dei valori più concreti e interiori eliminati arbitrariamente da quel processo di omologazione.
Il riavvicinamento con le fonti primarie dell’esperienza, riporta le problematiche mondiali a livello geograficamente locale. Questo facilita la soluzione di problemi e insieme il mantenimento di valori che sul piano globale andrebbero persi.

Il Localismo è una visione della vita nelle sue varie espressioni, come viene indicato nei paragrafi successivi.

1) Localismo, Empatia e rapporti umani
E’ stato dimostrato dall’antropologia e dall’etologia che gli animali superiori (tra cui l’uomo) hanno una capacità di rappresentarsi i bisogni e le emozioni degli altri soggetti come se fossero propri.
Questa capacità intellettuale ed emotiva si chiama Empatia e consente di stabilire con gli altri individui dei rapporti di cooperazione oltre a quelli di competizione. Il fatto che questo principio sia più sviluppato nelle specie evolutivamente più avanzate, dimostra che l’evoluzione ha individuato nella cooperazione un comportamento più vantaggioso della semplice concorrenza poichè aiuta l’individuo ad affrontare meglio i problemi e a resistere alle difficoltà ineluttabili dell’esistenza.
L’espressione più immediata dell’ Empatia ha luogo nelle relazioni interpersonali. Il Localismo ritiene che i rapporti umani siano una condizione necessaria per la felicità poiché essi stimolano la creatività umana, ma ritiene anche che non sia la quantità di tali rapporti a garantire la felicità quanto piuttosto l’empatia che si stabilisce tra i soggetti. Poiché le relazioni empatiche possono realizzarsi meglio tra soggetti vicini anche fisicamente e poiché le relazioni empatiche si esprimono anche verso le “cose”, si ritiene che la vicinanza con le persone o le cose che si amano sia la premessa per una maggiore felicità.
La lontananza da quello che si ama è uno stress e la facilità di comunicazione non può sostituire la vicinanza fisica.

2) Consapevolezza dei bisogni nel Localismo
Consapevolezza dei bisogni significa il momento in cui il soggetto analizza gli obiettivi che gli possono dare maggiore soddisfazione e stabilisce criticamente la priorità delle scelte.
Tali scelte potranno quindi riferirsi sia a beni materiali sia a valori relazionali. I mezzi per ottenere i beni materiali sono studiati dall’Economia mentre la scelta dei valori relazionali proviene dalla ricerca interiore, dalla Filosofia e dalla Psicologia.
Per cui si ritiene che la Filosofia e la Psicologia (individuale e sociale) debbano guidare l’Economia e indicarle i limiti dell’accumulo di beni materiali.
Esse devono anche indicare alla Scienza Tecnologica i limiti della sua ricerca, oltre i quali l’individuo corre il rischio di perdere il contatto con la realtà e di modificarla inopinatamente.

3) Soddisfazione/Benessere nel Localismo
Si ritiene che l’individuo ottenga il massimo di soddisfazione quando investe le proprie energie fisiche e psichiche per raggiungere un obiettivo commisurato alle proprie capacità. Sia quando lo sforzo è eccessivo sia quando le energie sono sovradimensionate rispetto alla realtà, l’individuo va in crisi. All’interno di questo rapporto ogni individuo ha una sua situazione di equilibrio che il Localismo considera come un obiettivo comune.
Poiché per raggiungere il massimo di soddisfazione è necessario usare tutte le proprie capacità e le proprie funzioni, attivandole attraverso relazioni variate e complesse con il mondo sia fisico, sia psichico (lavoro manuale, intellettuale e scambi emotivi), il Localismo ritiene utile cercare di non delegarle alla tecnologia o al lavoro degli altri.
La diversità umana e naturale è essenziale per stimolare le nostre capacità emotive e creative. Le situazioni “Locali” e concrete sono quelle che contengono più diversità e maggiore quantità di variabili sensoriali. Attualmente la maggior parte degli individui, a causa della tecnologia, ha perso molti degli stimoli esterni e quindi ha perso le possibilità di esercitare integralmente le varie capacità personali: il Localismo ritiene un vantaggio cercare di recuperarle per quanto possibile.
E’ chiaro che l’investimento delle proprie energie fisiche, mentali ed emotive implica uno sforzo e un impegno ma se questo è commisurato con le proprie capacità esso dà soddisfazione. Considerare lo sforzo solo come un costo è un errore. Questi argomenti sono ampiamente dimostrati dalla Psicologia.

4) Localismo ed Economia
L’Economia è la scienza per ottenere l’incremento dei beni materiali. I beni materiali sono solo una delle componenti della felicità umana e la “ricchezza” non è formata solo dal possesso di beni ma anche dal godimento di beni senza bisogno di possederli
Contrariamente alle teorie economiche e sociali correnti, si ritiene che ogni ricchezza ed ogni soddisfazione, incluso il denaro, obbedisca al “principio dell’utilità marginale decrescente” che cioè, oltre un certo limite, ogni bene perde valore, per cui la crescita infinita non serve a nessuno in quanto sposta all’infinito la possibilità di godere. Un bene futuro dà meno soddisfazione di un bene presente.
La crescita illimitata, enfatizzata dall’Economia e attuata dalla tecnologia, non ha una base scientifica, è vero anzi il contrario: è dimostrato infatti che proprio l’esistenza del limite consente all’individuo di trovare soddisfazione.
Riteniamo altresì, che non vada accettato il “principio dei vantaggi comparati” in quanto esso spinge alla specializzazione produttiva per una massimizzazione della produzione sacrificando all’efficienza valori quali le relazioni personali, le tradizioni, l’attaccamento per il lavoro, i legami familiari, la solidarietà, i beni comuni, la giustizia sociale.
L’Economia sa dare soltanto una quantificazione monetaria alle cose e ai valori ed è per questo che viene chiamata “la Scienza triste”.
Il Localismo ritiene “povero” chi nella propria vita non da priorità a questi valori e ritiene superato il simbolo di status che deriva dalla ricchezza economica.
La massimizzazione della produzione e dei risultati con la conseguente spinta alla velocità, alla lotta concorrenziale, all’efficienza, può essere un obiettivo nei momenti di crisi, ma non la base del vivere in una situazione di normalità. Pertanto lo spirito accumulativo e concorrenziale senza limite, non ha nessuna giustificazione logica ed anzi è un inutile costo energetico ed emotivo.
Si ritiene quindi che la definizione del lavoro come “merce” sia incompleta e, in quanto tale, erronea sul piano pratico, poichè ingenera dei comportamenti che escludono la componente empatica dalla relazione umana.
Altrettanto vale per il concetto di “scambio” che prenda in considerazione solo l’aspetto monetario. In questo caso, infatti, si perde il vantaggio che ne potrebbe venire se si tenesse conto anche della parte emotiva. Esperienze in tal senso esistono in tutte le società, inclusa la nostra, come è dimostrato dall’Antropologia.
Continuare a proporre l’aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL) come indice del benessere è su un piano scientifico certamente un errore, su un piano umano è probabilmente un inganno.

5) Scienza e rapporto con la natura nel Localismo
Partendo dalla premessa che l’uomo è la risultanza di infiniti rapporti con il mondo circostante nel corso della sua evoluzione e che egli ha sviluppato una sua struttura che gli ha consentito di esistere a seguito di continue esperienze ed adattamenti, il Localismo considera pericoloso sia modificare la base biologica dell’uomo, sia modificare l’ambiente esterno con la creazione di nuovi organismi e prodotti che non esistono in natura e di cui non si possono conoscere gli effetti.
La ricerca scientifica dovrebbe invece approfondire la conoscenza dei processi naturali e la conoscenza delle pratiche che usano prodotti e processi naturali.
Il Localismo è quindi un processo di riavvicinamento con la nostra realtà costitutiva.
Esso non nega i risultati della scienza tecnologica, quelli cioè che inseriscono nella nostra realtà elementi ad essa estranei, ma ritiene che benché spesso di più rapido effetto, questi possano essere causa di squilibrio per l’organismo e per l’ambiente.
Si intende localista una conoscenza che viene dall’esperienza diretta del soggetto o dal suo accrescimento nel corso dell’evoluzione e non quella che passa attraverso la delega a strumenti tecnologici di indagine, esterni al soggetto.


6) Localismo e Tecnologia
E’ evidente che la tecnologia consente di ottenere dei risultati maggiori con uno sforzo minore, il Localismo ritiene tuttavia che né l’uno, né l’altro rappresentino sempre dei vantaggi, come di solito viene pubblicizzato infatti:
a) il risultato della tecnologia, non è sempre commisurato al suo uso consapevole e la concorrenza tra gli uomini può portare ad usarla in modo distruttivo.
b) Ricorrendo alla tecnologia per evitare lo sforzo noi rinunciamo ad usare le nostre funzioni, che tenderanno ad atrofizzarsi.
c) Con la tecnologia si ottiene il vantaggio del risultato ma si perde la parte più importante della soddisfazione che viene dal processo per ottenerlo. Infatti è proprio nel processo psicosomatico del raggiungimento dell’obiettivo che noi investiamo le nostre funzioni (muscoli, intelligenza, emozioni, volontà, coraggio,..). Poiché da questo investimento energetico ed emotivo viene la parte più importante della soddisfazione, ne consegue che la delega tecnologica tende invece a ridurla . La vita diventa più piatta. Il riavvicinamento al “processo” è quindi un vantaggio.

7) Localismo e Virtualità
Si definisce “virtuale” una realtà sostitutiva alla realtà primaria.
Questo può avvenire sia sul piano geografico (es.: comunicazione tecnologica con una persona lontana) sia sul piano della nostra rappresentazione delle cose. Es.: quando si parla di concetti delle cose invece della specifica cosa si perde il contatto con la cosa.
Il modo di vivere oggi tende, a causa dei mezzi tecnologici, ad aumentare la virtualità dei rapporti, es.: si parla con una persona che non si vede, ci si sposta rapidamente perdendo l’esperienza dello spazio che abbiamo attraversato, si parla di prodotti alimentari senza conoscere come nascono e come crescono…
Lentamente i rapporti virtuali prendono il posto di quelli reali: da una parte perdiamo la realtà, dall’altra la comunicazione virtuale porta all’atrofia dei sentimenti e dell’affettività.
Partendo dal concetto di soddisfazione, si ritiene che man mano i contatti con il mondo esterno diventano più virtuali, tanto più si riduce la soddisfazione che possiamo trarne.

8) Localismo e Sostenibilità Ambientale
I rapporti più ravvicinati (localisti) sia con le cose, sia con le persone, hanno bisogno di minore uso di energia e consumo di materiale e hanno meno bisogno di modificare il mondo circostante, per cui essi sfruttano meno l’ambiente.
Inoltre, preferendo rapporti più ravvicinati (meno virtuali) con l’ambiente, si ha la possibilità di capire meglio e più rapidamente quali sono le conseguenze su di esso delle nostre scelte e dei nostri comportamenti.

Bibliografia:
Debal Deb
Sacred groves of West Bengal: A model of community forest management
http://www.cintdis.org/downloads/SG-UEA.pdf

9) Localismo e Comunità
Si ritiene che le relazioni ravvicinate possano consentire la creazione di gruppi dove la gente riesce ad esprimere più empatia, più solidarietà e quindi più gioia. Le relazioni con persone e cose lontane sono invece meno ricche di emozioni. Soltanto nei gruppi dove maggiore è il contatto tra la gente, è possibile conoscere i bisogni dell’altro e quindi ci si può aiutare reciprocamente e sviluppare un legame con il territorio comune. Man mano che la comunità si allarga tanto più le relazioni emotive si affievoliscono, il senso del bene comune tende a rarefarsi e la solitudine tende ad aumentare.

10) Localismo e Cultura
Sul piano culturale crediamo nella validità di ogni cultura se essa rappresenta l’equilibrio di un popolo o di un individuo con la propria storia e con il proprio ambiente naturale e relazionale. Imporre il proprio sviluppo culturale e sociale ad un altro, certamente non è un vantaggio per chi lo riceve perché stravolge un suo equilibrio, ma riteniamo che non sia un vantaggio nemmeno per chi lo impone. Infatti, non rispettare l’altro crea anche in se stessi uno squilibrio empatico che fatalmente porta tensione, ansia e in generale contrasti futuri. Opprimere o eliminare una cultura o un popolo non è un vantaggio per il più forte.
Inoltre poiché la cultura di ognuno è il risultato del particolare modo con cui sono stati affrontati i problemi dell’esistenza, la varietà di culture rappresenta la diversità degli elementi dell’animo umano che vengono mossi a seconda delle varie circostanze e necessità. Si ritiene che il rispetto di queste diversità e il non perdere la possibilità di relazionarsi con esse sia quindi un momento di arricchimento relazionale che va protetto nell’interesse tutti.
Per cultura si intende: lingua, religione, arte, architettura, relazioni affettive, alimentazione, tecniche di costruzione, di coltivazione, di produzione, modi di vestire, celebrazioni,….
Il Localismo ritiene che non abbia alcun senso la critica e l’eliminazione di queste pratiche nei rapporti individuali e tra popoli in quanto considerate meno efficienti, come fa oggi l’Economia. Il senso di queste pratiche locali sta invece nel significato emotivo e di coesione umana e sociale che esse inducono, che non è quantificabile monetariamente ma è quello che si definisce un valore umano ed affettivo.
Il Localista finchè può, cercherà di non perdere questi valori ed eviterà di darne una quantificazione monetaria. Cercherà di proteggere quello che è bello perché è bello, non perché dà profitto.

11) Localismo nell’Arte
L’arte localista tende a rappresentare la realtà con i suoi colori e le sue forme in quanto essi sono la fonte primaria delle emozioni e dei sentimenti e per rappresentarli non cerca di usare modalità astratte. Quindi sarà tendenzialmente figurativa.
Il Localismo non nega l’emozione o il piacere che può venire dalla rappresentazione di un concetto con figurazioni astratte, tuttavia ritiene più importante riproporre come mezzo espressivo il contatto con il concreto e con la realtà primaria che è più ricca di elementi fonte di maggiori emozioni.
L’arte localista rappresenta un desiderio emotivo ed una concezione culturale che, contrariamente alla rappresentazione delle idee astratte, dà valore soprattutto alla rappresentazione delle emozioni che vengono dalla realtà primaria.
Da un punto di vista emozionale si ritiene che è più importante “fare” arte, “esprimere” arte che conoscerla o ammirarla soltanto. Quindi sia per il soggetto che per la comunità a cui il soggetto appartiene, è più importante ed è sentita di più la propria arte che quella di un altro. Non ha nessuna importanza se la propria arte è più semplice, meno evoluta, con mezzi ed effetti più elementari: l’importante è che sia fatta dal soggetto, o dalla comunità che il soggetto sente come propria, dove quindi il soggetto si sente attivo, prova emozione attraverso modalità comuni e non resta passivo ad ammirare opere che non si inseriscono nel suo patrimonio emotivo e culturale.

12) Localismo e Consumismo
Il Localismo è contrario al consumismo inteso come bisogno della rapida sostituzione degli oggetti d’uso. Ritiene infatti che l’attaccamento alle cose che ci contornano rappresenti un rapporto arricchente di ricordi ed emozioni che vengono invece cancellati dalla ossessiva ricerca del nuovo.
Per questa ragione la parsimonia e possibilmente la decrescita quantitativa sono considerati momenti psicologicamente arricchenti e non necessariamente simboli di impoverimento.

13) Localismo e Competizione politica
La scelta di un comportamento localista è evidentemente meno efficiente sul piano della concorrenza per l’ottenimento dei beni materiali sia tra individui che tra gruppi sociali. Per cui un individuo e più in generale un Paese che abbracci un ideale localista è più debole su questo piano e corre il rischio di essere sopraffatto da chi è più tecnologico, efficiente o aggressivo, come mostra l’espansione della cultura tecnologica occidentale e l’espansione di tutte quelle culture dove la componente maschile si è imposta in modo preponderante rispetto a quella femminile.
Tuttavia così facendo si affermano dei valori che non portano al miglior benessere, nemmeno a chi vince.
Da un lato è chiaro che la pratica dei valori localisti difficilmente potrà essere attuata se comporta rischi di essere sopraffatti, il che al mondo d’oggi è difficile da immaginare, ma dall’altro non significa che il Localismo non sia un modo di vivere migliore.
Purtroppo, poiché i valori localisti non sono condivisi da tutti, in molte situazioni è necessario difendersi usando la forza, sia tra individui che tra stati ma è un errore considerare la forza e la sopraffazione militare o commerciale come un’idea da perseguire.
E’ quindi importante affermare i valori localisti prima di tutto su un piano teorico e razionale, per stabilire un dialogo anche su un piano politico con l’altro e porre le premesse affinché anche l’altro possa capirne il vantaggio riducendo i motivi di aggressione e la necessità della concorrenza.

FONDATORI, FOUNDERS, FONDATEURS, FUNDADORES:

- Galassini Loredana, marialoredana.galassini@tin.it
(giornalista) (journalist) (journaliste) (periodista)

- Imperiali Paolo Roberto, imperiali@paoloroberto.it
(imprenditore) (enterpriser) (entrepreneur) (empresario)

- Liotta Elena, e_liotta@yahoo.it
(psicoanalista, scrittrice) (VEDESI BIBLIOGRAFIA)
(psychoanalyst, writer) (see bibliography)
(psychanaliste, écrivain) (voir bibliographie)
(psicoanalista, escritora) (ver la bibliografia)

PRIMI ADERENTI, SUBSCRIBERS, ADHERENTS, MIEMBROS:

1) Agrimi Elimia
Direttrice dell’Unità Operativa di Psichiatria dell’Osp. Di Cremona
e.agrimi@ospedale.cremona.it

2) Biserni Renata, rbiserni@tiscalinet.it
(psicoterapeuta) (psychotherapist) (psychothérapeute) (psicoterapeuta)

3) Deb Debal, cintdis@hotmail.com - debaldeb01@yahoo.com
(ecologista) (VEDESI BIBLIOGRAFIA)
Centre for Interdisciplinary Studies - (www.cintdis.org)
Barrackpore, KOLKATA 700 123, INDIA

4) Ferrara Fausto
architetto and Fondatore di/architect and founder of/
web site: www.arckeo.com, e-mail: ferrara.fausto@arckeo.com

5) Giannelli Maria Teresa
Docente di “Tecniche di gruppo” e di “Comunicazione delle conoscenze nelle organizzazioni” alla Facoltà di Psicologia 2 de La Sapienza di Roma
resigiannelli@gmail.com

6) Martinotti Claudio
(giornalista, GEVAM) claudio.martinotti@gevam.it

7) Norberg Hodge Helena, localfutures@yahoo.com,
Premio Nobel Alternativo,

8) Orati Vittorangelo,
Prof. di Economia Università di Viterbo, vitorati@unitus.it

9) Pini Auretta,
Esperta in Pianificazione Territoriale, Expert in Territorial Planning, e-mail aurettapin@tiscali.it

10) Pollice Giudo
(Presidente VAS, Verdi Ambiente e Società)www.wasonline.it vas@vasonline.it

11) Pratesi Fabrizia,
ecologista, ecologist, ecologiste, ecologista www.equivita.it , equivita@equivita.it

12) Pratesi Fulco,
Presidente, President, Président, Presidente WWF, f.pratesi@wwf.it

13) Pucci Giannozzo,
ecologista, giannozzo@ecologist.it , www.ecologist.it

14) Rocchi Giovannino
Prof. Università di Siena, Facoltà Odontoiatria
gianni.rocchi@libero.it

15) Tamino Gianni,
Biologo all’Università di Padova gtamin@tin.it

16) Valle Geni, geni.valle@tiscali.it

Chi desidera aderire a quanto sopra può inviare il suo nome e cognome, indirizzo e-mail e recapiti telefonici a info@localismus.it
Interventi e contributi di pensiero possono essere inviati a info@localismus.it e saranno valutati e inseriti se considerati rispondenti alla filosofia dei concetti sopra esposti.

L'innovazione al Governo. Siamo messi proprio male. Sempre più netto lo scollamento tra la Società Civile neurodotata e la politica istituzionale che

L'innovazione al Governo. Siamo messi proprio male. Sempre più netto lo scollamento tra la Società Civile neurodotata e la politica istituzionale che si rivolge sempre più ai neurodeficitari, prossimamente per legge solo questi ultimi potrebbero votare …
Fonte: Punto Informatico http://www.punto-informatico.it
di Massimo Mantellini
Roma - Detta come va detta, siamo passati da un Ministro blogger ad un non Ministro. Con la cancellazione di fatto del Ministero delle Comunicazioni e il correlato annacquamento del Ministero dell'Innovazione, già accorpato con quello della PA dal precedente esecutivo, il nuovo governo ha fatto sapere, come meglio non avrebbe potuto, cosa pensa della cruciale questione dell'arretratezza italiana in campo tecnologico. Ebbene, a quanto pare, il Presidente del Consiglio Berlusconi, dopo aver sorvolato sulla questione in maniera piuttosto netta nel suo programma elettorale (forse scottato dalla sua precedente esperienza di governo dove lo slogan delle "3 I" è stato uno dei più ricordati e meno attuati e come tale uno dei più canzonati) ha deciso di conseguenza, risolvendo la questione nell'unica maniera evidentemente possibile: ignorandola.
Non solo la ventilata rimessa in pista di Lucio Stanca non si è verificata, non solo si è ritenuto di tagliare uno dei pochi ministeri che sarebbero oggi centrali in qualsiasi democrazia occidentale, preferendogli alternative orwelliane come il Ministero alla Semplificazione Normativa (a quando - viene da pensare - un Ministero per le Giornate di Sole?) ma anche le scelte di secondo livello, quelle dei sottosegretari, sono assai indicative della tendenza generale: l'unico "tecnico" del pianeta comunicazione che ha guadagnato la poltrona di Sottosegretario con delega per le telecomunicazioni è Paolo Romani, forzista dal passato tutto giocato all'interno del sistema televisivo privato ma lontano dalla parte più rilevante dell'ambito di sviluppo tecnologico nel mondo occidentale oggi, vale a dire quello della rete.
Non che ci sia troppo da rimpiangere del governo precedente che, per ragioni contingenti o di propria congenita insipienza, poco o nulla ha combinato nello scenario delle TLC. Se da un lato era difficile pensare che Gentiloni, con tutta la buona volontà, potesse sciogliere da solo la mefitica matassa dei rapporti di forza del mercato televisivo nostrano, un mercato che potrebbe portare alle lacrime qualsiasi regolatore di qualsiasi paese evoluto, dall'altro nemmeno nelle piccole scelte della ordinaria amministrazione l'ex Ministro delle Comunicazioni è riuscito a spostarsi da una assoluta mediocrità: qualche comunicato stampa "strappacore" sulla Pedopornografia online, qualche condivisibile dichiarazione di principio e nulla più. Nemmeno il decreto Pisanu, eccezione burocratica italiana all'accesso WiFi, il governo di centro sinistra è riuscito a cancellare nel corso dei suoi due anni dentro la stanza dei bottoni: un adeguamento minimo che certo avrebbe richiesto solo un quarto di buonsenso e di osservazione del mondo intorno per poter essere messo in pratica, fuori dalle pastoie della lotta al terrorismo ridotta a slogan e scaricata sulle spalle dei cittadini onesti.
Del resto, si sarà detto qualcuno, siamo già da tempo costantemente in fondo a tutte le classifiche europee dello sviluppo tecnologico, tempo qualche mese anche la Grecia o il Portogallo saranno in grado di relegarci, finalmente e con merito, all'ultimo posto del ranking europeo e allora perché dannarsi l'anima per combattere una battaglia già di fatto perduta?
Qualche mese fa uno dei consiglieri del Ministro Gentiloni mi confessava candidamente che gran parte del tempo e delle energie del suo lavoro andavano spese per arginare le proposte assurde e senza senso dei parlamentari di ogni schieramento, desiderosi di regolare e normare Internet nelle maniere più varie ed incredibili. Date le esigue risorse disponibili (ai tempi del Ministro Gentiloni le persone che si occupavano stabilmente di rete si potevano contare sulle dita di una mano) era già tanto che questa attività meramente difensiva riuscisse a dare i suoi effetti e impedisse la discesa in campo di proposte assurde come quella famosa di Franco Frattini che, dall'alto del suo scranno alla Commissione Europea, qualche tempo fa se ne uscì con la geniale idea di stabilire quali parole potessero essere cercate su Google e quali no.
Compatiti sul suolo europeo i nostri politici hanno oggi, a quanto pare, buon gioco a concentrare l'attenzione sugli unici aspetti tecnologici che per loro hanno davvero importanza, primo fra tutti quello del controllo dei canali informativi in TV. Si tratta, come al solito, di un semplice problema di scenario, che in questo paese è da tempo questione trasversale che non risparmia nessuno schieramento politico. Sono tutti da anni ostinatamente concentrati a combattersi ferocemente per il possesso dei tasti del grande megafono (la TV) mentre sempre più persone, in tutto il paese, stanche di ascoltarne l'immenso patetico fracasso, hanno indossato le cuffiette del proprio walkman (Internet) ed ascoltano tranquillamente ciò che gli pare.
Quando se ne accorgeranno, creeranno in fretta e furia un indispensabile "Ministero per la Semplificazione delle Cuffiette".
Massimo Mantellini

Berlusconi sbaglia. Non c’è più spazio per crescere

Berlusconi sbaglia. Non c’è più spazio per crescere
Fonte: Movimento della Decrescita Felice http://www.decrescitafelice.it
di Massimo De Maio
Apprendiamo dai mezzi d’informazione che “crescita” è la parola chiave del discorso con il quale Silvio Berlusconi ha chiesto alla Camera la fiducia al suo quarto governo.
Al Presidente del Consiglio vogliamo ricordare che sono già cresciuti a dismisura gli indicatori ambientali e sociali che suggeriscono, invece, un deciso cambio di rotta nella direzione di una riduzione drastica dei consumi. Sono cresciuti i rifiuti urbani del 12% negli ultimi 5 anni fino a raggiungere i 32 milioni di tonnellate/anno nel 2006. È cresciuta la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera fino alle 390 parti per milione - negli ultimi 650.000 anni non aveva mai superato le 300 parti per milione. Allo stesso tempo crescono le temperature medie del pianeta e i fenomeni climatici estremi crescono in numero e intensità. È cresciuto il livello di inquinamento delle nostre città e il numero di persone, soprattutto bambini, che si ammalano a causa della cattiva qualità dell’aria. È cresciuta la percentuale di terreni agricoli desertificati a causa dell’agricoltura chimica e intensiva, fino al 27%, un terzo del totale. È cresciuta l’impronta ecologica degli italiani: oggi consumiamo 2 volte e mezza le risorse naturali che un territorio grande quanto l’Italia sarebbe capace di produrre. È cresciuto il prezzo del petrolio, fino a superare i 120 dollari al barile. È cresciuta la disoccupazione e la precarietà del lavoro contemporaneamente alla crescita della globalizzazione dei mercati e dell’economia. È cresciuta la disoccupazione anche in seguito all’introduzione di impianti altamente automatizzati come gli inceneritori di rifiuti - l’inceneritore di Brescia occupa una decina di persone a fronte di un investimento di 350 milioni di euro, il centro di riciclo di Vedelago (TV), ne occupa 64!
Sono decine gli indicatori che indicano l’impossibilità di crescere ancora senza compromettere definitivamente la qualità della nostra vita: non c’è più lo spazio fisico per proporre, come si fa da decenni, una crescita infinita e senza limiti. C’è, invece, lo spazio per migliorare il nostro benessere attraverso una drastica riduzione dei nostri consumi, che in gran parte sono sprechi. Per produrre e consumare energia elettrica, sprechiamo la metà dei combustibili fossili che importiamo. Il 40% dei nostri rifiuti sono imballaggi che sprecano plastica, vetro, carta, metalli. Le nostre case sprecano oltre il 70% dell’energia usata per il riscaldamento. Crescere ancora significherebbe soprattutto far crescere ancora questi ed altri sprechi. Ridurre i consumi significherebbe, invece, creare nuove occasioni di lavoro nell’industria della riduzione dei rifiuti, del riciclaggio, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili di energia, ma significherebbe anche migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua, del territorio e, in definitiva, della vita.
La qualità della nostra vita non dipende da quante merci riusciamo a consumare. Al contrario, ridurre l’invadenza delle merci e dei consumi nella nostra vita è l’unico modo per migliorarne la qualità: siamo giunti a un tale livello di spreco che qualsiasi attività umana può essere fatta con minore impiego di risorse naturali, minori scarti e minore inquinamento. Si tratta di una riflessione che proponiamo all’intera classe politica italiana per sollecitare un cambiamento epocale di cultura e mentalità oggi più che mai necessario.

Un'Italia sempre più figlia della tv, decerebrata e vittima di se stessa …

Un'Italia sempre più figlia della tv, decerebrata e vittima di se stessa …
di Alessio Marri, Megachip http://www.megachip.info - da ilbenecomune.net
Nel 1988 Guy Debord nei Commentari alla Società dello Spettacolo sentenziava profeticamente: “Chi non fa che guardare per sapere il seguito, non agirà mai: proprio così deve essere lo spettatore”. E proprio così è diventato l'italiano medio, in un processo lento e vizioso di mutazione antropologica. La “vecchia-piccola borghesia” nostrana, spettatrice assopita per più di trent'anni, si è lasciata troppo a lungo distrarre dalla forte luce emanata nel buio del proprio salotto.
Mentre la televisione culturalmente sbriciolava ogni capacità critica, il paese inesorabilmente si trascinava alla deriva lacerato dalla corruzione e dal dominio incontrastato di banche e grandi interessi. E un sonno, che pareva eterno, ha trovato invece un brusco risveglio: anche per i più facoltosi, i risparmi hanno cominciato ben presto a dissiparsi, gli stipendi a dimezzarsi, mandando in crisi quel tipico stile di vita iperconsumista, insostenibile per qualunque stato, persino per il più ricco. E' stata dura ma finalmente si è arrivati a comprendere che rateizzazioni e prestiti facili sono solo specchi per le allodole: è giunto il momento di tirare la cinghia. Quasi per tutti. E il fatto ha irretito soprattutto chi da poco aveva iniziato a gustarsi auto nuove e cellulari all'ultima generazione. L'avidità ha preso il sopravvento, la frustrazione ha fatto tutto il resto. E un popolo, abituato a emigrare per necessità persino al proprio interno, ora si ritrova a puntare il dito contro l'immigrazione, come se le colpe di cinquant'anni di democrazia cristiana, tangenti e mafia dovessero ricadere solamente su chi da qualche anno a questa parte raggiunge l'Italia coprendo magari quei posti di lavoro troppo degradanti per le nuove generazioni improvvisatesi studenti universitari a vita.
Da tempo l'Italia è malata e da forti segnali di cedimento strutturale. L'economia da stagnante si è trasformata in recessione. E nemmeno Berlusconi è stato più in grado di promettere il nuovo miracolo italiano. Anzi ha fatto tutto quello che poteva per perdere le elezioni. Battute infelici sui precari, una gestione strumentale e criminale della crisi Alitalia, un'emorragia consistente di voti al suo estremo destro con Storace e al centro con Casini. Ma non è bastato. Le votazioni hanno espresso un solo desiderio: la svolta a destra. E la vittoria di Alemanno nella capitale ne rappresenta la più grande conferma. Secondo il verbo popolare è giunto il momento di abbandonare ogni forma di solidarietà sociale e passare la mano alla repressione. Tutto in mano ai garanti di una sicurezza ormai ufficialmente entrata in crisi, semmai proprio per l'esplosione di contraddizioni interne e non per il sopraggiungere di elementi esterni. Siamo stati tutti travolti dalla precarizzazione della vita comune, da un innalzamento vorticoso dei costi dei beni primari, da un capitalismo sempre più lontano e al tempo stesso mai così vicino negli effetti. E la soluzione populista ha trovato terreno fertile: mettere poveracci italiani contro poveracci extracomunitari. Ma chi ha invocato la repressione, a questo giro, sarà il primo a subirla. E per gli stupri e le violenze arriverà una soluzione ancora più creativa: dopo il bombardamento delle ultime settimane nessuno ne accennerà più nulla. E le paure indotte cesseranno per essere nuovamente provocate entro breve. In modo tale da riscatenarsi contro i nuovi falsi colpevoli.
E mentre la cultura, quella lontana dalle applicazioni commerciali che spopola ormai ovunque, diventa sempre più un lusso per pochi elementi avulsi da ogni contesto, la gente comune, sempre più avvezza alla distrazione fornita dal coperchio spettacolare di quella pentola in ebollizione chiamata realtà, diventa giorno dopo giorno più egoista e razzista.

Si approssima la ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia, ma per il momento c’è poco da festeggiare … come consolazione rimane solo il LOCALISMO

Si approssima la ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia, ma per il momento c’è poco da festeggiare … come consolazione rimane solo il LOCALISMO
Di Claudio Martinotti. 4 maggio 2008
Vi confesso che non mi sento affatto fiero di essere italiano e quindi sento poco il desiderio di festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia, ma la speranza è l’ultima a morire e di conseguenza spero in qualche miracolo da oggi al 2011 che possa rimuovere questa mia mortificante amarezza, che deriva dalla degenerazione indotta politicamente dalla partitocrazia patologica e parassitaria (che considero un’organizzazione criminale alla pari delle altre più famose e citate mediaticamente) che attaglia questo Paese, che altrimenti sarebbe meraviglioso per viverci e rappresenterebbe un faro culturale e spirituale per l’intera umanità. Del resto in questi 150 anni quasi raggiunti, non siamo riusciti a liberarci dei fardelli sociopolitici che già ci insidiavano e caratterizzavano fin dalle origini, cioè il particolarismo, il clientelismo, il trasformismo, ecc., anzi in alcuni casi si sono potenziati e l’oligarchia che ha sempre dominato questo paese si è semplicemente allargata, divenendo più numerosi i parassiti e supponenti che attingono alla cosa pubblica, con pressoché totale garanzia di impunità e continuità.
Premesse queste brevi note, cui aggiungo solo la precisazione che io sono un LOCALISTA e non certo un campanilista e meno che mai un nazionalista (semmai un cosmopolita), vi vorrei fornire una mia considerazione storico culturale, su eventi che hanno contribuito significativamente all’Unità d’Italia, con molto anticipo rispetto al 1861. A tal proposito vi allego un mio articolo che è stato pubblicato su “Il Monferrato” all’inizio del 2008, che è un giornale locale molto letto appunto nell’area monferrina (80 mila lettori) ed è stato ripreso da diversi media on line. Il giornale locale è prodotto e letto soprattutto a Casale Monferrato, che è la Capitale storica del Monferrato (che è stato uno Stato preunitario per oltre sette secoli ed ha influito notevolmente sulla Storia del Mediterraneo e d’Europa). Infatti se partiamo dall’assunto che una capitale è il luogo dove si compiono gli atti di governo e si conservano i documenti di stato, Casale Monferrato è da considerare a tutti gli effetti storici l’unica vera Capitale del Marchesato di Monferrato (dal 1434-35 dopo che i Paleologi si sono insediati nel Castello del Borgo casalese, divenuta poi Città con Diocesi nel 1474 con il Marchese Guglielmo VIII). In precedenza la corte marchionale era itinerante, pertanto quelle che vengono spesso chiamate Capitali del Monferrato, in realtà sarebbe più corretto definirle Residenze Marchionali, quali Trino, Moncalvo, Pontestura, Occimiano, Pomaro, Borgo San Martino, ecc.. Anche Chivasso, considerata da alcuni storici la prima Capitale del Marchesato di Monferrato, in realtà era la principale Residenza Marchionale, ma non una vera capitale dal punto di vista formale.
L’articolo che segue contiene anche un’idea da integrare possibilmente nei festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia …

Personalmente sento da molto tempo il senso d’appartenenza alla terra natia, sento d’essere casalese (d’origini) e di appartenere al Monferrato e quindi d’essere “monferrino”, ma sono anche consapevole che non è così per tutti e soprattutto non è facile percepire ed assumere quest’identità culturale, soprattutto per i giovani. Questa difficoltà deriva dal fatto che troppo a lungo si è trascurata la ricerca delle nostre radici, lo studio della nostra Storia come “Stato di Monferrato”, e la città di Casale ha perso da qualche tempo il suo ruolo di leadership e di legante territoriale del Monferrato. I segnali di questo declino sono molteplici e non intendo annoiarvi elencandoli. Sono evidenti i segnali centrifughi, di disaffezione sociale, perdita di prestigio, disgregazione e dispersione territoriale verso altre forme d’aggregazione che si allontanano da Casale e sembrano rinnegare le proprie radici monferrine, mentre altre località e territori, paradossalmente ed abusivamente, sembra vogliano appropriarsene, per questo per scopi turistici rischiamo di dover subire degli “arrembaggi pirateschi” che forzeranno la storia cercando di prostituirla ai propri voleri ed interessi.
Casale di vestigia e privilegi del Suo nobile retaggio e d’opportunità di valorizzazione ne ha perse parecchie e probabilmente ne perderà altre, ma non vorrei che perdesse anche quella che a mio avviso è tra le più importanti, sia come potente evento culturale e mediatico, di riscatto e di visibilità, e sia come progettualità prospettica con importanti ricadute turistiche ed economiche, che inoltre fornirà rinnovate occasioni d’aggregazione sociale e d’identità territoriale e culturale. Mi riferisco alla ricorrenza e conseguente celebrazione dei 300 anni del passaggio del Ducato di Monferrato dai Gonzaga ai Savoia. Perdonatemi se riferisco qualche nota storica, ma è necessaria per rendersi conto della straordinaria importanza dell’evento.
Nel giugno 1708 la Dieta di Ratisbona pronunciò la sentenza definitiva contro il duca Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers, dichiarandolo traditore dell’Impero (fellonia) per aver accolto i francesi nel Mantovano. Pochi giorni dopo, l’ultimo citato duca “regnante” (si fa per dire, essendo troppo impegnato in attività mondane …) moriva a Padova, si suppone stroncato da crepacuore ma forse fu avvelenato. Il 7 luglio l’Imperatore del Sacro Romano Impero Giuseppe I accordava l’investitura del ducato di Monferrato a Vittorio Amedeo II di Savoia, che peraltro era da parecchi mesi che dominava militarmente il territorio. Nell’agosto del 1708 la Nobiltà, la Cittadinanza, i Rappresentanti delle Comunità monferrine prestavano il giuramento di fedeltà al nuovo Sovrano. I Savoia presero ufficialmente possesso del Monferrato soltanto nel 1713 con il trattato di Utrecht (che perdurò nel suo lento svolgimento fino al febbraio 1715), ma il Ducato di Monferrato aveva cessato di esistere politicamente nel 1708.
A mio avviso, è più che legittimo inserire il progetto celebrativo dei 300 anni del passaggio del Monferrato dai Gonzaga ai Savoia, nell’ambito dell’importantissimo evento dei 150 anni dell’Unità d’Italia che si celebrerà nel 2011. L’inserimento è giustificato storicamente e cronologicamente (l’annessione del Ducato, come ho citato avvenne dal 1708 al 1713, e quindi ben può rientrare nelle celebrazioni del 2011 …), considerando che l’annessione ai Savoia del Ducato di Monferrato ha fortemente contribuito all’unificazione del Piemonte, e a dare all’antico Casato le dimensioni ed il prestigio di un Regno, dandogli consistenza e legittimazione (dapprima formato dal Piemonte e la Sicilia, dopo pochi anni sostituita dalla Sardegna). A evidenziare l’importanza dell’annessione del Monferrato, ricordiamo che il Re di Sardegna si fregiava anche del titolo di Duca di Monferrato, ed ha costituito base di partenza per l’unificazione, per il successivo Regno d’Italia …
Considerando che di solito quando ci sono eventi importanti di livello nazionale o internazionale come le grandi celebrazioni e ricorrenze, i finanziamenti sono distribuiti con dei criteri assai discutibili, e finiscono nelle mani di enti, istituzioni ed associazioni che poco o nulla centrano con l’evento stesso, dando spesso adito ad indagini della Magistratura e successive contestazioni della Corte dei Conti, noi in questo caso avremmo pieno diritto di partecipare e richiedere quanto ci spetta come Monferrato e Casale in quanto Capitale del Marchesato nell’ultima sua fase storica e poi come unica Capitale del Ducato di Monferrato …
Il progetto celebrativo dei 300 anni è gestito sotto il profilo culturale e scientifico dal Circolo Culturale "Marchesi del Monferrato" cui mi onoro di aderire e collaborare da tempo, nel cui sito web www.marchesimonferrato.com potrete trovare ogni informazione al riguardo, essendo indubbiamente il più ricco di informazioni storiche sul Monferrato. Ritengo sia prioritario ed essenziale che le istituzioni cittadine e gli enti locali senza alcun’esitazione diano la loro adesione ed il loro sostegno a tale progetto celebrativo del 2008, agendo di comune intesa per inserirlo in quello successivo del 2011, perché le ricadute positive per il nostro Monferrato saranno enormi. L’occasione è irripetibile!
Calorosi saluti
Claudio Martinotti