Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Il parossistico parassitismo politico fiscale porterà l'attuale società al collasso della civiltà

Fonte: Movimento Libertario http://www.movimentolibertario.it

SARA’ IL COLLASSO DELLA CIVILTA’!

DI ALESSANDRO VITALE*

Un genio leonardesco rimasto ai suoi tempi sconosciuto, che avesse inventato nel XVII o nel XVIII secolo una macchina per viaggiare nella storia, che ne fosse rimasto imprigionato, senza fare a tempo a comunicare la scoperta ai suoi contemporanei e che fosse stato proiettato all’improvviso nella nostra epoca, rimarrebbe in mezzo a noi sgomento di fronte al modo in cui il potere politico riesce oggi a far accettare una tassazione che si aggira attorno al 65% delle risorse prodotte dai reali produttori e alle modalità – patologiche – con le quali una simile spoliazione viene accettata. In effetti, studiando la storia della tassazione e le formule di legittimazione politica e ideologica inventate nei secoli per giustificarla, c’è da rimanere atterriti di fronte alla leggerezza e al fatalismo con i quali non solo semplici cittadini, ma anche piccoli e medi imprenditori, che in alcune aree del nostro Paese lavorano ormai quasi in perdita, magari per dieci ore al giorno, che fra non molto saranno messi nell’impossibilità di produrre risorse, accettino uno stato di cose del genere.
Qui non si tratta solo di comparazione storica, ma andrebbe aggiunto un test di sanità mentale di coloro che persistono nel lavorare in simili condizioni. Nei secoli precedenti, comunque, una tassazione del 10% è stata sufficiente per scatenare le maggiori rivoluzioni della storia. La forza dell’ideologia dello “Stato dei servizi”, dello “Stato difensore dei più poveri”, dello “Stato sociale”, prodotta dall’onda lunga dello statalismo esploso fra Otto e Novecento, non ha paragoni nella storia.
In base a queste formule il potere politico, supportato da un apparato statale sempre più mastodontico (per ragioni belliche), è riuscito non solo a sviluppare il più spaventoso parassitismo politico che si sia mai visto, ma anche contestualmente ad accampare un proprio “diritto naturale” a disporre delle risorse prodotte entro il proprio chiuso e trincerato ambito territoriale, a trasformare l’investitura politica in un “naturale mandato a tassare”, indiscutibile e “di per sé evidente” e a disporre delle ricchezze private in quantità e con la libertà di gestione più assoluta, che sarebbero state considerate nelle epoche precedenti pura follia e aperta usurpazione, contro le quali sarebbe scattato immediatamente il diritto naturale di resistenza.
Ormai i cittadini sono convinti che i loro redditi siano una concessione del potere politico, al quale hanno accordato la licenza di manipolarli a piacere, favorendo seguaci e servitori, senza discutere né sul merito della destinazione delle risorse prelevate, né sulla loro quantità, che l’orgia del positivismo giuridico e dei diritti di guerra ha trasformato in virtualmente illimitata e non soggetta ad alcun diritto di contestazione. Eppure fino al XVIII secolo la tassazione era sottoposta a consenso (e nella Confederazione Elvetica, non a caso, questo diritto sopravvive fino a oggi): perfino per il maggiore teorico della sovranità, Jean Bodin, si trattava di cosa ovvia.
I cittadini ormai, ammalati di abitudine, pigrizia e credulità, hanno perduto la consapevolezza di essere portatori di diritti naturali indisponibili da parte del potere politico, che si intromette liberamente, senza incontrare ostacoli, nei contratti di diritto privato e nel mercato, alterandone l’efficacia in termini di produzione di valore economico. Ormai ben pochi hanno la consapevolezza che su quanto una persona legittimamente guadagna, senza aggredire gli altri, scambiando prestazioni utili e osservando le regole giuridiche del mercato, né i concittadini né il potere politico possono vantare pretese.
Quasi a nessuno viene in mente che questa situazione è il prodotto dell’espansione abnorme e ormai insostenibile dei compiti auto-attribuitisi dagli Stati e delle loro pretese interventiste – fondate su una presunta e indimostrata “sapienza economica” – a trecentosessanta gradi nell’economia e che solo espellendo il potere politico da ambiti che non gli competono e che ha invaso con la forza e l’inganno, è possibile risolvere il problema. Senza freni a questi mali eminentemente politici, il potere finisce per espandersi senza fine, con le conseguenze in termini di spesa incontrollata e di tassazione senza limiti, dato che i prelievi di ricchezza sono ormai in prima fila fra gli atti di governo. Le maggioranze parlamentari hanno raggiunto risultati, in tema di asservimento completo dei cittadini, che i principi assoluti non si erano mai nemmeno sognati. Chi non appartiene a categorie protette dal potere politico è ormai un suddito taglieggiabile senza alcun diritto di resistenza. La contribuzione fiscale è un dovere indiscutibile e chi lo contrasta è un nemico della Nazione e del progresso.
Non è certo un caso se, soprattutto in questo Paese, le attuali discussioni sulla riduzione della tassazione, diventata ormai insostenibile, qualsiasi sia il fine proclamato per legittimarla, si riducano a tentativi di trovare altri modi surrettizi per sostenerla, trasformandola ma non riducendola e non intacchino minimamente la spesa pubblica e gli sprechi, fonte di legittimazione elettorale e di consenso. Lo Stato moderno giunto a questo stadio è per queste ragioni una macchina impossibilitata a ridurre la spesa e a espandere la tassazione fino a un collasso di civiltà.
*Tratto dalla rivista Liber@mente

Il Decreto Tremonti e le ripercussioni per province di Vercelli ed Asti ed il futuro di Casale Monferrato


di Claudio Martinotti Doria

Prendo spunto dal recente articolo pubblicato su Casale News dal titolo "Il futuro del Monferrato fra i tagli agli enti locali e una 'maxiprovincia del vino' La manovra bis di Tremonti riaccende il dibattito sulle prospettive del territorio" per esprimere alcune semplici riflessioni. L'articolo di Casale News lo trovate a questo link:
http://www.casalenews.it/notizia/attualita/2011/08/16/il-futuro-del-monferrato-fra-i-tagli-agli-enti-locali-e-una-maxiprovincia-del-vino/monferrato-maria%20teresa%20armosino-giulio%20tremonti-casale%20monferrato-marco%20galvagno/b39dddb95c1f319255f7c6c3b838ef4d

L'ennesimo decreto, compilato in fretta e furia da Tremonti ed i suoi collaboratori, perché praticamente obbligati, forse anche sotto dettatura esterna, ha riportato nuovamente in auge il discorso sulle province, sull'evenienza di una loro parziale abrogazione, aggregazione, modifica, ampliamento, ecc.. Ovviamente è scattata subito la peculiarità italica dell'eccezione per salvarne qualcuna in extremis con interventi ad hoc in base alla potenza dell'interlocutore politico locale e della lobbying coinvolta. Ma per noi casalesi riemerge l'occasione per valutare eventuali ripercussioni sulla nostra area e prospettive favorevoli, se lo saranno. Torna in auge ad esempio l'ipotesi di aggregarci con Vercelli, di cui si è discusso a lungo negli anni passati, grazie soprattutto all'impegno dell'Associazione Nuove Frontiere, mentre a livello politico locale si è trattato dell'ennesimo bluff mediatico ai fini elettorali con contorno di ostilità pregiudiziali. Sugli aspetti storici e culturali che giustificherebbero una simile ipotesi aggregativa, ero già intervenuto in numerosi sedi e contesti, dimostrando che sarebbe certamente legittimo e giustificato ampiamente dalle vicende storiche e sociali, citandone copiosamente. Qui aggiungo soltanto alcuni aspetti curiosi, analogie che possono essere sconosciute ai più. Ad esempio il fatto che Vercelli, esattamente come Casale era stata colpita a tradimento nel 1859 con la riforma amministrativa delle giurisdizioni territoriali (dall'alessandrino Ministro Rattazzi), infatti in quanto importante provincia, sperava addirittura in un ampliamento dei suoi confini, ed invece fu eliminata e declassata a capoluogo di circondario ed assorbita da Novara, città con la quale non aveva nulla da condividere, esattamente come Casale che fu assorbita da Alessandria, città da sempre rivale ed ostile. E' legittimo sospettare la mano pesante di qualche potente personaggio molto influente politicamente, che abbia determinato questa scelta. I sospetti si posero su Quintino Sella, che dopo il conte Camillo Benso di Cavour fu il maggiore statista italiano dell'epoca ed essendo biellese favorì enormemente il suo territorio, che con i suoi interventi di sostegno divenne insediamento della maggiore industria tessile italiana. Negli anni a venire intervenne per bloccare ogni tentativo dei vercellesi di ripristinare la provincia, infatti vi riuscirono solo nel 1927 in epoca fascista e proprio per motivi connessi al fascismo, per una rivalità pericolosa tra le due sedi fasciste di Vercelli e Novara, che fu risolta appunto con il ripristino della provincia di Vercelli per intercessione (pensate un po' il paradosso) di un casalese, Cesare Maria De Vecchi di Valcismon, potente gerarca fascista atipico in quanto non violento e scomodo per la sua filosofia pacifista, moderata e filo monarchica. Per quanto riguarda Casale invece, sappiamo tutti che l'intervento di declassazione e danneggiamento provenne dalla volontà dell'alessandrino Urbano Rattazzi, all'epoca Ministro dell'Interno, che potenziò enormemente la sua città di appartenenza fornendole una vasta giurisdizione territoriale a scapito di Casale e per tale motivo i casalesi riconoscenti gli hanno pure dedicato una statua in città ad imperitura memoria.

Per quanto riguarda le proposte avanzate recentemente dall'astigiano, non avrei nulla in contrario se i propositi fossero seri e non ci sarebbe neppure bisogno di sforzarsi molto per trovare giustificazioni storiche e culturali, considerando i forti legami con il Monferrato storico di quasi tutto l'astigiano. Basti pensare che Giovanni II, il marchese Paleologo che governò lo stato di Monferrato dal 1338 al 1372 (successore di Teodoro I, capostipite della dinastia dei Paleologo di Monferrato, provenienti da Bisanzio) intendeva costituire ad Asti la capitale dello stato e vi insediò la corte per parecchi anni dopo la metà del XIV secolo. Per propositi seri intendo significare (e vale esattamente per entrambe le ipotesi aggregative, quindi anche per Vercelli) che Casale dovrebbe essere considerata co-capoluogo e non solo città facente parte della provincia, altrimenti cambierebbe ben poco in termini positivi, si sposterebbe solo il baricentro geografico e politico, ed i politici locali continuerebbero ad essere privi di autonomia, come lo sono ora, subordinati al capoluogo. Forse l'unico beneficio deriverebbe dal fatto che gli astigiani, lo so per esperienza, sono più dinamici ed intraprendenti degli alessandrini, ma non è detto che riescano a contagiarci positivamente, nel lungo periodo potrebbe anche avvenire il contrario … Se invece di consentire alle province di ristrutturarsi per superare i 300 mila abitanti, lo scopo di quest'ultimo raffazzonato intervento politico fosse quello di ripristinare le vecchie province di grandi dimensioni, allora torneremmo indietro di un secolo e mezzo, ma a questo punto non avrebbero più senso le regioni, che sono un'invenzione recente e che all'epoca di Urbano Rattazzi e Quintino Sella non esistevano e salvo qualche eccezione, non hanno alcuna giustificazione storica. Per concludere, occorrerebbe che i nostri politici possedessero una maggiore cultura storica, sarebbe loro di grande utilità.

Il Signoraggio come non lo aveva spiegato ancora nessuno prima d'ora

Pubblico un esaustivo intervento sulla questione del "SIGNORAGGIO" scritto qualche tempo fa dall'amico Francesco Carbone, il più conosciuto economista italiano della Scuola Economica Austriaca, presidente dell'Associazione Culturale USEMLAB (http://www.usemlab.com/index.php) grande divulgatore e molto presente in rete da ormai una decina di anni. Spiega in maniera incontrovertibile che la pretesa dei signoraggisti di spostare la gestione della moneta dalle banche centrali allo stato non risolve il problema, modifica solo gli attori che ne abuserebbero. L'unico vantaggio sarebbe un ridotto potere di mistificazione, di ricerca di capri espiatori ed alibi per il proprio fallimento, che sarebbe maggiormente percepibile ed imputabile ai veri responsabili, mentre ora lo si attribuisce agli speculatori ed al capitalismo ed al libero mercato (peraltro mai esistito). Meno ignoranza e più consapevolezza popolare potrebbero ridurre gli spazi di manovra dei veri responsabili di questo stato di cose, i parassiti che governano a livello politico e finanziario. Dalla pace di Westfalia del 1648 in avanti il concetto di sovranità dello stato ed i successivi nazionalismi, anche esapserati, hanno preso piede e prevalso, portando a catastrofi immani, e gli ingenui hanno indentificato lo stato con il popolo, mentre si è sempre trattato di oligarchie domaninanti, spietate, ciniche e liberticide, che hanno provocato morte e distruzione, dapprima con conflitti bellici ed ora con l'abuso fiscale e finanziario. In fondo all'articolo sono esposte le soluzioni, semplici da applicare in apparenza, ma impossibili nella realtà perché richiederebbero la rinuncia al dominio di una classe parassitaria, frutto della collusione tra politici e banchieri, il cui scopo è appunto la sottrazione di ricchezza prodotta dalla popolazione che lavora a favore di coloro che sfruttano posizioni monopolistiche vessatorie e di rendita politica parassitaria. Prima lo si capisce è prima si agisce per ricercare spazi residuali di libertà individuale e comunitaria.
Claudio Martinotti Doria


SIGNORAGGIO, UN FALSO PROBLEMA!

DI FRANCESCO CARBONE


Il signoraggio, ossia la differenza tra il valore nominale e il valore intrinseco della moneta (valore di facciata contro costo di produzione) viene incamerato dalla banca centrale (di proprietà privata) e dal sistema bancario (anch’esso privato), a danno del popolo e, per il non sequitur tanto amato dagli statalisti nonché dai signoraggisti che identificano strettamente il popolo con chi lo governa, dello stato. Per quanto ciò sia in parte vero, per quanto esista in effetti un grave problema legato all’emissione di moneta-debito (anzi che moneta-merce) da parte della banca centrale (quel problema della fiat-money, della moneta creata dal nulla senza alcun corrispettivo reale, da noi sempre affrontato), esso non si risolve con il passaggio della gestione del denaro dall’ambito privatistico a quello statale.

In altre parole il problema del signoraggio, così come esaminato dai cosiddetti signoraggisti, è un falso problema che niente ha a che fare con la vera questione monetaria, radice dei problemi economici di questi ultimi anni e soprattutto dell’ultimo.

Riportare la creazione di moneta dal nulla dall’ambito privato (o per essere più corretti, dall’ambito parastatale come di fatto è quello della banca centrale monopolista) in seno allo stato, non risolve quindi il problema della questione monetaria da noi discusso, che tanti danni continua a fare nella struttura economica e sociale, bensì ne sposterebbe semplicemente la sede con rischi in potenza maggiori e più gravi di quelli attuali.

Cerchiamo di spiegarne una volta per tutte le ragioni, cosa fatta finora in maniera solo approssimativa nel nostro forum di discussione. Ragioni che oramai dovrebbero essere ben ovvie a chi ha potuto leggere i nostri due libri: Prevedibile e Inevitabile, e Inflazione Malattia Primaria che affrontano in maniera ben chiara la questione monetaria.

Il problema monetario non risiede tanto nel beneficiario effettivo di un sistema monetario basato sull’emissione di denaro cartaceo, che presenta e offre quindi un ampio margine di signoraggio. I signoraggisti hanno sì ragione su una cosa: trattasi della più colossale truffa a danno del popolo. Peccato che non riescano a capirne bene i motivi, i meccanismi, e le cause economiche.


Vediamo quindi le falle del ragionamento dei signoraggisti partendo dalla loro definizione di debito pubblico dove risiede uno dei più clamorosi errori delle loro argomentazioni:

“E’ la somma di tutto il denaro che lo Stato (in generale, le amministrazioni pubbliche) è costretto a chiedere in prestito al mercato per coprire la mancanza di denaro che lo Stato stesso ha accumulato nel tempo per far fronte alle proprie spese, mancanza dovuta all’aver delegato al sistema bancario il potere di emettere moneta”.

Sbagliato: la mancanza non è dovuta all’aver delegato il potere di emettere moneta, la mancanza è dovuta al non riuscire a coprire le spese con il denaro prelevato (o meglio estorto) ai cittadini sotto forma di imposte e tasse varie, peraltro in aumento inarrestabile e che ricordiamo essere oramai in questo paese pari a circa il 75% del reddito medio del cittadino italiota (contro un prelievo forzoso di circa l’8%-10% fino a fine XIX secolo quando non esisteva neanche la tassa sul reddito… si legga a proposito For Good and Evil, l’influsso della tassazione sulla storia dell’umanità di Charles Adams, edizione liberilibri, oppure Elogio dell’Evasore Fiscale di Leonardo Facco, Aliberti Editore).

Il fatto che lo stato riesca o possa coprire il buco dovuto a una mala gestione della res publica (peraltro sempre più inutile, invadente, inefficiente, macchinosa, burocratica) grazie a un’ulteriore confisca di valore dovuta al fenomeno inflazionistico (cioè dell’aumento della massa monetaria in circolazione), sia esso generato direttamente dalla banca di proprietà statale (come accadeva una volta o come accade ancora oggi in qualche altro paese), oppure indirettamente grazie all’aiuto di una banca centrale di proprietà privata con privilegio monopolistico di concessione statale (come accade oggigiorno da noi), poco cambia. Sempre di confisca trattasi, da aggiungere a quella ben più chiara di natura fiscale.

Di certo, sotto l’attuale sistema, la copertura del buco tende a redistribuire qualche beneficio ben visibile a favore del sistema bancario privato e della banca centrale (non a caso monopolista! infatti per definizione ogni monopolio STATALE si traduce in un beneficio monetario a favore del monopolista! su questo punto i signoraggisti mettono in risalto una verità autoevidente), piuttosto che cascare per intero nelle casse dello stato, ma poco conta in quanto agli effetti devastanti del fenomeno inflattivo causato dall’attuale sistema bancario moderno basato su banca centrale, denaro di carta o elettronico senza corrispettivo reale, e riserva frazionale.

La nazionalizzazione della banca centrale, e del sistema bancario da parte dello stato, non risolverebbe pertanto il problema del signoraggio, lo riporterebbe in ambito statale, peraltro senza più alcun controllo effettivo da parte di un agente monopolista tendenzialmente più oculato del gestore statalista, il quale in passato ha dimostrato di saper fare danni ben più gravi e devastanti del primo.

Nel 1962 Ropke ad esempio scriveva (in Economics of the Free Society, Libertarian Press, pag 108): “la peggior malattia che può colpire un sistema monetario è quel tipo di inflazione causata dal deficit del budget di governo.”

Storicamente i deficit pubblici hanno causato una serie di aumenti di prezzo catastrofici che in ultima analisi hanno messo a repentaglio la struttura economica e sociale del paese. Motivo per cui nel tentativo di risolvere questo problema anche da noi si è giunti alla situazione attuale di relativa indipendenza tra il gestore della moneta (di fatto pubblica anche se di emissione privata) e il gestore della res publica.

Di certo un vantaggio nel riportare nuovamente la produzione di moneta dal nulla in ambito statale ci sarebbe: la strada verso il fallimento dello stato tornerebbe ad essere sicuramente più chiara, rapida e veloce di quella intrapresa da qualche decade sotto il naso di tutti, senza che più quasi nessuno oggi ne abbia consapevolezza (signoraggisti compresi). In alternativa lo stato dovrebbe abbandonare le proprie politiche espansionistiche sulla vita del cittadino oppure percorrere di corsa la strada verso il socialismo tout court. Dal controllo diretto della moneta al controllo diretto di ogni altra attività privata.

L’abbandono della gestione del denaro oggi “indipendente”, infatti, metterebbe a nudo l’impossibilità di gestire il denaro in via centralizzata. Finalmente non si avrebbero più alcune scuse, scusanti, e fumi annebbianti che ricoprono la malagestione delle casse pubbliche e della stessa gestione monetaria.

Gli effetti tornerebbe ad essere come quelli di una volta: diretti e decisamente più immediati. Non ci sarebbe più scampo per arrivare a capire il definitivo fallimento degli stati moderni sotto il peso di un walfare quasi del tutto inutile (che oramai fa cento danni per ogni beneficio sociale che cerca di perseguire) che invece la gestione del denaro indipendente riesce ancora a offuscare.




Cosa non capisce quindi il signoraggista?

Egli identifica erroneamente il problema nel beneficiario privatistico del monopolio di emissione di moneta, e pensa di risolverlo sostituendolo con un beneficiario statale, sempre per il non sequitur che stato = popolo, e che quindi i benefici che ne trarrebbe lo stato sarebbero a tutto vantaggio del popolo, sollevato e rimborsato pertanto dagli effetti malefici della tassa di signoraggio intascata invece al momento dalla banca centrale e quindi dal sistema privatistico delle banche commerciali. Pia illusione. Anche molto ingenua.

Lo stato e soprattutto chi lo governa non è il popolo. I conti del primo e dei primi niente hanno a che fare con i conti individuali di coloro che costituiscono il secondo. I deficit rimarrebbero deficit, l’inflazione rimarrebbe inflazione, l’eccesso di credito generato dal sistema a riserva frazionale rimarrebbe tale, e la spoliazione di valore continuerebbe ad avere sempre la stessa direzione: dal secondo ai primi.

Il problema della questione monetaria invece sta nel fatto che la moneta è stata sottratta al libero mercato, è stata sottratta agli individui per essere messa in mano a un gestore monopolista. Che esso sia statale parastatale o privato poco importa ai fini pratici. E’ innanzitutto il monopolio a rappresentare il problema.

Un monopolio per privilegio che si fonda sul diritto di emissione arbitraria di un numerario utilizzato come moneta che non ha a fronte più alcun corrispettivo reale. E questo è un secondo problema, in quanto nessun gestore è in grado di poter gestire arbitrariamente e centralmente del denaro di carta o elettronico (riproducibile a volontà in quanto senza più alcun corrispettivo reale) nè tantomeno il suo costo (il tasso di interesse) senza prima o poi causare gravi problemi al sistema economico e alla struttura del capitale.

E infine, il terzo e ultimo grave problema che riguarda la questione monetaria è la riserva frazionale del sistema bancario che permette allo stesso di emettere moneta fiduciaria (anche’essa senza alcun corrispettivo reale) in eccesso rispetto alla base di fondi che costituiscono le riserve reali di capitale del sistema economico.

Anche in questo caso ha poca importanza che le banche siano statali o private. Il danno economico causato dalla riserva frazionaria, in termini del ciclo economico di boom e bust analizzato dagli economisti austriaci, dispiega i suoi effetti alla stessa maniera, sia che esso abbia natura privata che pubblica.

Il problema quindi è mal analizzato e mal posto dai signoraggisti. La soluzione al problema della questione monetaria è riportare il sistema bancario a un gold standard con copertura totale del 100% dei depositi a vista, eliminando del tutto la banca centrale (a questo punto inutile), ovvero il monopolista per privilegio statale, e lasciare che la moneta venga emessa in libera competizione da emittenti privati senza alcuna interferenza statale, al limite quella di garanzia e di certificazione di buon operato dell’emittente (attività peraltro inutile, il mercato risolverebbe il problema da solo).

Solo in tal modo il differenziale del signoraggio si ridurrebbe ai minimi termini, la moneta tornerebbe ad essere di proprietà del popolo, custodita e intermediata dalle banche, i cui profitti nel tempo si riallineerebbero con quelli di qualunque altra attività imprenditoriale. In tal modo i banchieri perderebbero il privilegio, e lo stato la tendenza a ingigantirsi.

Spostare l’attività di emissione sempre per monopolio, dalle banche private a un sistema totalmente pubblico, non eliminerebbe il problema inflazionistico connaturato alla gestione arbitraria del denaro a corso forzoso, e d’altra parte il mantenimento di una riserva frazionale continuerebbe a causare le sempre più rapide e violente oscillazioni di un ciclo economico oramai impazzito, con le conseguenze catastrofiche appena sperimentate nel 2008 e ancora tutte da sperimentare in futuro, con un danno alla popolazione sempre più ingente.


Solo il ritorno a una moneta merce generata dal libero mercato, come l’oro, e
l’allontamento completo del governo dalla scena monetaria sarebbero pertanto in grado di risolvere il problema della questione monetaria, di cui il problema del signoraggio cosi come presentato è un clamoroso falso che non identifica le cause, né offre le soluzioni al problema stesso della questione monetaria ben analizzata invece da autori come Rothbard in semplici libretti come Lo Stato Falsario.

Infine una ultima nota. A sentire i signoraggisti sono i banchieri che oggi tramite il controllo della moneta dominano la politica. Ora se esaminiamo la questione ancora una volta prendendone a cuore gli effetti (secondo le loro parole la più grande truffa ai danni del popolo), poco importa che la relazione stia in questi termini, o che un domani siano nuovamente i politici a dominare i banchieri, se l’effetto rimane sempre quello della spoliazione di ricchezza ai danni del popolo.

Di fatto se con la separazione artificiale di stato e banca centrale, in termini di indipendenza uno dall’altro, il banchiere può in effetti avere assunto maggior peso e potere nei confronti del politico, sempre di collusione più o meno equilibrata tra i due soggetti si tratta. E tale deve rimanere.

L’uno infatti non potrebbe prosperare senza l’appoggio dell’altro. Il banchiere centrale ha bisogno del privilegio statale per mantenere il proprio monopolio, e lo stato ha bisogno della banca centrale e del sistema bancario di fiat money su riserva frazionale per potersi espandere a dismisura sotto le pretese delle proprie politiche di walfare, dirette al perseguimento del benessere sociale.

Il fatto di coprire i buchi ai propri bilanci grazie all’indebitamento pubblico, peraltro annacquato costantemente tramite l’inflazione generata dall’amica banca centrale, serve quindi lo scopo di poter ingigantire gradualmente il potere pubblico invadendo di anno in anno la vita privata del cittadino.

Qualora si conciliassero le richieste dei signoraggisti con quelle degli economisti austriaci, riportando cioè la banca centrale in seno statale ma sotto i vincoli in grado di risolvere la questione monetaria, con copertura aurea e 100% di riserva bancaria, non solo la banca centrale di fatto non servirebbe più a niente, e sarebbe un controsenso in un sistema così reimpostato, ma lo stato stesso dovrebbe entro brevissimo tempo risanare il proprio debito tramite un gigantesco ridimensionamento di se stesso e delle proprie politiche redistributive, pena il fallimento immediato. Cosa ovviamente non desiderabile dal potere politico.

La collusione pertanto è necessaria e indispensabile, ed è solo in virtù della stessa, ago della bilancia più o meno a favore di uno o dell’altra fazione, che entrambe stanno riuscendo a ridurre l’uomo a uno schiavo del potere. Che quest’ultimo sia perfettamente bilanciato, o leggermente sbilanciato a favore di quello bancario o di quello statale, poco cambia in quanto ai deteriori effetti della collusione stessa. Senza un bilanciamento, le cose diverrebbero semplicemente più chiare agli occhi del pubblico, che pertanto potrebbe, come detto in apertura, rendersi conto dell’inganno e smascherare il processo di schiavitù in atto molto più velocemente di quanto invece sta avvenendo.

E quindi si va avanti con le fette di salame sugli occhi, e con tanta nebbia intorno. Le vere cause della questione monetaria continuano a venire ignorate se non dagli economisti austriaci, e il mondo ad andare avanti verso una resa dei conti ancora posticipata di qualche mese, anno… chi può saperlo, quello che sappiamo alla luce dei megasalvataggi bancari attuati dagli stati nel corso dell’ultimo anno, è che la collusione ancora una volta si è rinnovata e rafforzata, e i due gruppi di potere scavano sempre più a fondo nelle nostre tasche, mentre tanti, troppi confondono cause con effetti e litigano per la risoluzione di problemi di poco conto che lasciano di fatto le cose invariate e i danni penetrare sempre più a fondo nella struttura sociale ed economica.

La fine di un paese che si credeva importante, governato da un insipiente megalomane

di Claudio Martinotti Doria

Era ampiamente prevedibile che Berlusconi parlando in Parlamento avrebbe fatto ulteriori danni al paese. E' da quando è sceso in politica per curare i suoi interessi che ho sempre affermato che avrebbe danneggiato il paese fino a portarlo alla distruzione, e non poteva che finire nel peggiore dei modi, non essendo possibile che avvengano miracoli psicologici e culturali in un individuo megalomane e soggetto a delirio di onnipotenza, privo quindi della seppur minima traccia di umiltà, condizione indispensabile perché possa esserci una qualsiasi reazione di redenzione, riscatto o recupero di responsabilità e sensatezza. Essendo incolto, debosciato ed insipiente, circondato da cortigiani paraculi, non potevano che partorire un pessimo discorso, inadeguato e stantio, per l'ennesima volta autoreferenziale ed autocelebrativo, che ha fatto definitivamente crollare la fiducia residua nel paese e soprattutto nei loro governanti. Quindi l'Italia è ormai pronta per fare la fine della Grecia. Se gli italiani avessero ancora un briciolo di dignità e coraggio, dovrebbero prendere Berlusconi ed i suoi cortigiani a calci in culo fino a rendergli i glutei poltiglia, che manco la chirurgia plastica cui si sottopone regolarmente potrebbe riplasmare. Lui se ne andrà in qualche sua villa all'estero e gli italiani rimarranno a condurre una vita di stenti causata dalla sua incompetenza e disonestà. Chi lo ha votato, anche ripetutamente, è responsabile di questo stato di cose, e potrà ringraziare anche la sua stoltezza.