A risultati del voto in Turingia e Sassonia ormai consolidati, nella giornata del 2 settembre, i mercati europei hanno visto un settore particolarmente condizionato dalle conseguenze dell’esito delle elezioni locali nei due Lander della Germania Est. Parliamo del comparto della Difesa, che ha subito un deciso arretramento sui maggiori listini in coincidenza del boom di Alternative fur Deutschland (Afd) e dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (Bsw), formazioni che da spettri opposti del sistema politico mettono un comune scetticismo verso l’assistenza militare all’Ucraina al centro del proprio programma.
A soffrire le perdite più pesanti è stata la tedesca Rheinmetall, azienda al centro di importanti programmi di riarmo e di fornitura di mezzi militari a Kiev, che ha lasciato sul terreno circa il 7% del suo valore, come la nostra Leonardo. Anche la svedese Saab ha perso in una seduta il 5%. Perdite anche per la francese Thales e la britannica British Aerospace.
Uno scivolone in borsa che dice molto del sistema, per ora molto promettente per il settore, in cui vivono e proliferano le industrie della Difesa: “Gli investitori hanno reagito riducendo le loro esposizioni nel settore della difesa, un comparto che, dalla crisi in Ucraina, aveva registrato una forte crescita“, ha commentato l’analista di eToro Gabriel Debach, il quale ha ricordato che dall’inizio della guerra in Ucraina molte delle aziende della Difesa che sono cresciute di più sono rintracciabili nella lista dello “scivolone” post-Turingia e Sassonia: “Dal 24 febbraio 2022, infatti, la tedesca Rheinmetall ha visto il proprio valore aumentare del 470%, con una capitalizzazione passata da circa 4,32 miliardi di euro agli attuali 22,9 miliardi. Simili performance si riscontrano anche per la svedese SAAB (+344%), la norvegese Kongsberg (+310%), Rolls-Royce (+294%) e l’italiana Leonardo (+246%)”.
Le commesse industriali attivate dalla guerra in Ucraina hanno inevitabilmente rafforzato la posizione di queste aziende nel panorama europeo e altrettanto ha fatto la spinta dei Paesi a potenziare la spesa in Difesa e l’ampliamento dei loro arsenali. I profitti record e gli investimenti del settore hanno attratto capitali laddove, rispetto al sistema nordamericano, la finanziarizzazione era meno spinta. Al contempo, le industrie della Difesa hanno “arruolato” un numero crescente di dipendenti per star dietro alle commesse, programmato di reinvestire molti dei loro utili anche in vista della corsa dell’Europa verso una dinamica di “economia di guerra” nel Vecchio Continente.
Dunque, il voto tedesco ha segnato indubbiamente una possibile transizione di questa dinamica verso il riflusso o il ritorno alla normalità, dunque l’esaurirsi della fase di intensa crescita in Borsa che riflette l’ingresso di capitali in cerca di rendimenti immediati ed elevati. La causa? L’aumento della disaffezione politica verso il sostegno a Kiev in opinioni pubbliche sempre più logorate si sta trasformando in quote di consenso politico. Pronte, in certi casi, a passare all’incasso. In Germania si sta verificando una dinamica simile a quella francese, ove tra i primi partiti per voti spiccano il Rassemblement National e La France Insoumise, entrambi scettici sul sostegno senza se e senza ma all’Ucraina.
La Germania, del resto, ha già annunciato un raffreddamento del sostegno a Kiev nella prossima legge di bilancio che Sahra Wagenknecht, da sinistra, ha rivendicato essere stato determinato anche dalla pressione della sua ascesa. E mentre a Berlino il governo di Olaf Scholz trema sotto i colpi delle disfatte elettorali, è lecito interrogarsi se il precedente di una giornata nera in borsa per la Difesa di fronte a un evento politico in controtendenza con la spinta a un sostegno deciso a Kiev sia destinato a ripetersi. E, se si, quanto ciò influirà sulla disponibilità di risorse per un comparto al centro dell’industria europea e delle sue dinamiche di sviluppo.
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