La guerra bussa alle porte dell’ospizio occidentale
di Marcello Veneziani - 12/05/2024
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Fonte: Marcello Veneziani
“La
Russia si è assunta la grande responsabilità storica di aver riportato
la guerra sul suolo europeo”, ha detto Sergio Mattarella alle Nazioni
Unite a New York. Per la verità, sul piano storico, la guerra in Europa
fu portata dagli Stati Uniti venticinque anni fa, nella primavera del
1999, intervenendo in Serbia. E l’Italia fu coinvolta per la prima volta
direttamente in un’operazione di guerra a due passi da casa: era
presidente del consiglio Massimo D’Alema e vice-presidente del
consiglio, con delega ai servizi segreti e poi ministro della Difesa
Sergio Mattarella (omonimo?). Diciannove basi Nato sul suolo italiano
furono utilizzate per due mesi per attacchi contro la Serbia, in
un’operazione chiamata Allied Force, per farvi decollare gli aerei, per
la logistica e la copertura radar: furono bombardate centrali elettriche
e la sede della televisione serba a Belgrado. I bombardamenti e le
operazioni militari, a cui partecipò il nostro Paese con nostri aerei e
nostre portaerei, non ebbero l’autorizzazione dell’ONU anche se furono
giustificati come un intervento umanitario. Le famose bombe umanitarie
del progressista dem Clinton, con l’appoggio del governo progressista e
umanitario nostrano… Fu quella la prima guerra europea dei nostri anni,
ai confini di casa nostra, con diretta partecipazione italiana. Il
precedente, ma lontano dall’Europa, era stato pochi anni prima in Iraq.
Non ricordo grandi mobilitazioni pacifiste né discorsi istituzionali sul
pericolo di una guerra alle porte dell’Europa, col diretto
coinvolgimento dei paesi europei. Eppure quella fu una guerra molto più
vicina al cuore dell’Europa e ai nostri confini, rispetto all’Ucraina.
Dall’altra
parte, sull’onda dei massacri a Gaza, monta un aggressivo pacifismo
nelle piazze, nelle università, tra le opposizioni. Come ci insegna la
storia, nessun pacifismo ha mai sconfitto e fermato una guerra; il
massimo che produce è disarmare almeno psicologicamente una parte in
campo, la propria. Comprensibile che il Papa ripeta invano l’accorato
appello alla pace, è la sua missione evangelica; meno comprensibile è il
pacifismo come linea politica, ma solo quando si sta all’opposizione
(al governo si è sempre inevitabilmente allineati alle decisioni della
Nato, degli Stati Uniti e dell’Unione europea).
La
risposta realista, invece, sarebbe allargare il gioco delle relazioni e
delle pressioni, sganciare l’Europa dalla subalternità agli Usa e
intraprendere un coraggioso piano negoziale per trasferire i conflitti
sul piano delle trattative. Ma l’Europa e gli Stati Uniti, presi
entrambi dalle loro scadenze elettorali, preferiscono mostrare i muscoli
e manifestare, ora con Macron, ora con gli inglesi, la loro
disponibilità a difendere con le armi l’Europa dalla Russia (che non ha
mai pensato di attaccare l’Europa, semmai mira a riprendere il controllo
di un’area che da secoli è nella sua orbita).
Ogni
posizione che assume l’Occidente è ormai minoritaria sul piano
mondiale, sia per quel che riguarda la guerra russo-ucraina sia per quel
che riguarda la tragedia israelo-palestinese (salvo una parvenza di
ravvedimento estremo). Ha senso in questa situazione e avendo davanti
agli occhi gli sviluppi di quelle due catastrofi, insistere sulla linea
filo-atlantista e interventista?
La riflessione a questo punto si sposta dall’attualità al piano più profondo della condizione occidentale. Che cos’è oggi l’Occidente sul piano mondiale? Temo
che la definizione riassuntiva più efficace sia quella che ha dato
qualche anno fa Eduard Limonov, scrittore russo-ucraino morto quattro
anni fa: il grande ospizio occidentale. E’ il titolo di un suo libro
pubblicato in Italia da Bietti, con un’introduzione di Alain de Benoist.
Secondo Limonov gli euroatlantici “non sentono più la vita”, non hanno
più energia, l’Europa è morta da un pezzo, ma il suo cadavere è
mummificato nell’Unione europea. Vivere nelle società occidentali
significa campare in un ospizio, gestito dagli amministratori pubblici e
popolato non da cittadini ma da pazienti che vivono sotto sedativi,
tranquillanti e antidepressivi. Ospizio anche per l’età media, ben
rappresentato dal malandato Biden.
Il
totalitarismo soft occidentale per Limonov si copre di moralismo,
diritti umani e “impero del bene” che Cristopher Lasch definì Stato
terapeutico, tra infantilizzazione programmata e opinioni prefabbricate.
I bastioni di questo canone occidentale sono la teoria gender, la
cancel culture e l’ideologia woke, che si riassumono in una sindrome
diffusa: l’autodisprezzo, la vergogna di essere quel che siamo e che
fummo nella storia. Spingendosi oltre Limonov, de Benoist nota che
l’Ospizio Occidentale, alla luce di questa ideologia, è diventato una
specie di ospedale psichiatrico. A un regime dispotico, nota Limonov è
possibile ribellarsi, ma è difficile rivoltarsi contro le proprie
debolezze. Impossibile l’agitazione dentro un ospizio, tutto viene
sedato e ricondotto alle quiete, anzi al quieto non vivere, alla sua
longeva e ricoverata sopravvivenza. L’amministrazione dell’ospizio non è
nemica dei suoi pazienti, ma si presenta come loro complice e
protettrice, e se limita la loro libertà e i loro orizzonti lo fa solo
per il loro bene. Curiosamente, nota Limonov, la libertà è la
parola-feticcio più inflazionata, con democrazia, negli ospizi
occidentali. L’aggressività, nota lo scrittore russo, è scaricata in
Occidente contro la natura, che è il secondo nemico, insieme alla
storia. I suoi abitanti, poststorici e snaturati, sono “infantili oltre
che effemminati”, gli scarsi giovani sono “vecchietti in erba” che
vivono digitando; la musica pop provvede ad abbrutirli. La rivoluzione
sessuale e il femminismo, più che innalzare la donna abbassano l’uomo;
la pornografia è l’erotismo per i poveri. Ma oggi, aggiungiamo noi,
siamo entrati in una fase di desessualizzazione dell’occidente, come si
conviene del resto a un ospizio.
In
questo quadro, conclude Limonov, l’unico patriottismo ammesso è il
patriottismo del nichilismo: non difendere la civiltà, le eredità, il
mondo di valori, ma la loro assenza, smerciata per libertà e diritti
umani. Pensate che l’Ospizio occidentale possa ingaggiare con questi
presupposti una guerra contro i mondi vitali che premono ai suoi bordi, a
est, a sud? Non vi sembra velleitario questo occidente in tuta militare
che si prepara alla guerra e al riarmo quando è interiormente disarmato
e demotivato?
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