Fortune, le 500 principali imprese mondiali e gli gnorri dell’estrema sinistra
di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Fortune rappresenta una pubblicazione di matrice borghese e ostile alla Cina odierna, per svariate ragioni, ma la sua classifica rispetto alle 500 imprese mondiali più grandi dimostra agli gnorri di buona parte della sinistra “antagonista” che nel 2022 ben 99 imprese dei “big 500” planetari non solo erano cinesi, ma anche prevalentemente di proprietà pubblica, statale o municipale.[1]
Non solo. Come sanno anche i molti degli gnorri di sinistra anticinesi, il 71% di tutte le imprese cinesi comprese nella classifica di Fortune per il 2022 risulta di proprietà prevalentemente pubblica, contando poi per il 78% sul fatturato complessivo di tutte le unità produttive di Pechino: ossia per più di tre quarti del totale.[2]
Non solo. Secondo i dati pubblicati da Fortune nell’estate 2023, la prima azienda cinese in lista – ossia la State Grid – prevalentemente di proprietà statale registrava da sola un fatturato di ben 530 miliardi di dollari, circa un quinto del PIL italiano.[3]
Non solo: nella lista Fortune 500 del 2023 si trovano altre imprese pubbliche cinesi anche al quinto, sesto, tredicesimo, ventottesimo e ventinovesimo posto, e persino gli gnorri dell’estrema sinistra potrebbero riuscire ad effettuare qualche addizione in merito a tali dati di fatto, inconfutabili e sicuri…
Vogliamo aiutarli, in ogni caso?
China National Petroleum: fatturato nel 2022 pari a 483 miliardi di dollari.
Sinopec: entrate nel 2022 equivalenti a 471 miliardi di dollari.
China State Construction Engineering: fatturato di 305 miliardi di dollari.
Dunque ben 1259 miliardi di dollari, che si aggiungono al fatturato sopracitato della State Grid…
A differenza di larga parte della sinistra occidentale, il bisettimanale Fortune si è accorto del serio problema politico e ideologico costituito dall’ingombrante presenza delle novantasei aziende pubbliche cinesi: un vero e proprio elefante alieno, entrato all’interno del negozio di cristalli del reale capitalismo di stato dominato dalla regola generale della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite.
Pertanto, all’inizio di settembre del 2021, sempre la rivista in oggetto ha pubblicato un polemico articolo intitolato “Bigger isn’t always better for China’s state-owned giants”, sostenendo che le principali imprese pubbliche cinesi non esprimono un livello medio di profitti paragonabile a quello delle multinazionali e delle banche occidentali.
Vero. Ma il ruolo del settore statale in Cina risulta e si rivela per l’appunto assai diverso dall’azione reale del gioco del reale capitalismo di stato contemporaneo, dato che sono i bisogni e le esigenze collettive, e non invece i profitti di una famelica minoranza di azionisti e di manager, a dettare e orientare il corso degli eventi nel gigantesco paese asiatico in esame.
[1] Business news: Cina, utili netti imprese statali hanno sfiorato i 280 miliardi di dollari nel 2022 “, in agenzianova.com
[2] ” Fortune favors the state-owned: three years of chinese dominance on the global 500 list “, in csis.org
[3] D. Yining, ” Chinese companies excel in this year’s Fortune Global 500″, 2 agosto 2023, in shine.cn
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