La guerra dei tubi del Gas nel Quadrante Est
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
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Come ci è già capitato sovente di dire, i conflitti contemporanei ben difficilmente sono combattuti con l'obbiettivo di annientare l'avversario, questo soprattutto se si tratta di conflitti tra grandi potenze. In realtà, nei conflitti contemporanei le potenze in lotta hanno tutta una gamma di obbiettivi – posti spesso su diversi piani – che possono essere raggiunti in tutto o in parte, sia durante il conflitto vero e proprio che nelle successive ed inevitabili trattative di pace.
Immagine 1: Quadrante Est comprensivo del Sub-quadrante caucasico
(Armenia-Azerbaijan e Georgia) e del sub-quadrante mediorientale.
Certamente nell'ambito dei conflitti esplosi nel Quadrante Est - ovvero quella vasta area che va dal Caucaso, scende all'Iran e alla Turchia per poi abbracciare il Golfo persico e la penisola arabica da una parte e la Siria, il Libano la Giordania e Israele dall'altra - vale la pena soffermarsi sulla guerra dei tubi del gas e sulla più generale guerra delle rotte energetiche. Certamente questa particolare angolazione non spiega tutto ciò che sta accadendo su questo quadrante e, più in generale, sullo scontro tra le tre superpotenze (USA, Russia e Cina) ma aiuta certamente a cogliere alcuni degli obbiettivi parziali del conflitto in corso.
Caucaso Meridionale
Nella vasta area che abbiamo definito Quadrante Est certamente è molto rilevante la sotto-area del Caucaso meridionale che comprende tre paesi ex sovietici: l'Armenia, l'Azerbaijan e la Georgia. In quest'area come certamente il lettore sa, vi è in corso un conflitto aperto tra Armenia e Azerbaijan per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, area storicamente popolata da armeni (e dunque cattolici) ma ricompresa formalmente nel territorio dell'etnicamente islamico e turcofono Azerbaijan. Già con il crollo dell'Unione Sovietica e la nascita di questi due stati indipendenti si sono verificati conflitti armati che hanno portato il cristiano Nagorno-Karabakh a proclamarsi stato indipendente. Una situazione questa, che è andata avanti fino al 19 Settembre di di quest'anno quando l'Azerbaijan, diventato ricchissimo grazie alla vendita di gas e petrolio e super armato da potenti alleati (Turchia e Israele), è passato all'offensiva sbaragliando le truppe dello stato secessioniste del Nagorno-Karabakh fino alla sua completa capitolazione avvenuta pochi giorni dopo l'inizio delle operazioni. Attualmente questo conflitto sembra vivere una fase di stanca dove, tuttavia, la brace cova sotto la cenere. Infatti si parla di un possibile ulteriore conflitto tra Azerbaijan e Armenia per il cosiddetto corridoio di Zangezur (altrimenti noto come corridoio di Nakhchivan); si tratta di una lingua di terra sotto la sovranità dell'Armenia ma che se passasse sotto il controllo diretto dell'Azerbaijan consentirebbe di collegare direttamente al paese anche l'exclave che dovrebbe collegare l'Azerbaijan alla Repubblica autonoma di Nakhchivan, che è sempre territorio azero ma che è fisicamente distaccato dalla madrepatria. Inutile dire che per l'Azerbaijan il corridoio di Zangezur è ulteriormente strategico per il fatto che congiungerebbe direttamente il paese con il suo più potente alleato: la Turchia di Erdogan.
Immagine 2: Area dell'Armenia e dell'Azerbaijan comprendente le zone contese del Nagorno-Karabakh e del corridoio di Zangezur
Alzando lo sguardo dal conflitto azero-armeno vediamo che nel sub-quadrante caucasico vi è un altro paese dove il fuoco cova sotto la cenere. Si tratta di quella Georgia che nel 2008 ebbe un conflitto aperto con la Russia, suo potentissimo vicino. Si trattò di un breve conflitto, durato appena cinque giorni, da cui la guerra è denominata oltre che guerra russo-georgiana – appunto - anche “Guerra dei cinque giorni”. La causa del conflitto – come al solito nello spazio ex sovietico – è stata la presenza di due regioni filorusse e russofone: l'Abkazia e l'Ossezia del Sud, entrambe facenti parte della Georgia ma desiderose di indipendenza se non direttamente di annessione da parte di Mosca. Senza poter proporre l'esegesi delle ragioni e dei torti dei contendenti e senza ripercorrere tutte le fasi del conflitto per le ovvie ragioni dei limiti di questa trattazione, al momento, la situazione è che le due regioni sono de facto indipendenti e sotto la diretta tutela di Mosca e delle sue forze armate. E' di qualche settimana fa la notizia, direi emblematica, della prossima apertura di una base navale permanente russa nella regione secessionista dell'Abkazia. Segno evidente che anche in questo paese ci si attende una possibile deflagrazione di una nuova guerra.
Immagine 3: Georgia con le due regioni filorusse ribelli dell'Ossezia del Sud e dell'Abkazia.
Sul perché questo specifico sub-quadrante caucasico sia così importante dal punto di vista della cosiddetta guerra dei tubi del gas è presto spiegato. L'Azerbaijan è un colosso dell'energia che commercia sia gas che petrolio estratto soprattutto dall'area del Mar Caspio di sua competenza per lo sfruttamento energetico. Questo specifico flusso di gas è – oserei dire – vitale per l'intera Europa. A maggior ragione dopo la demolizione del gasdotto North Stream che portava il gas dalla Russia alla Germania (e da qui all'Europa intera) passando sotto il Baltico; per non parlare poi dell'ormai quasi certo blocco del gas russo verso l'Europa attraverso i gasdotti ucraini visto che anche il presidente della azienda ucraina Naftogaz, Alexey Chernyshov, ha dichiarato che l'accordo di transito del gas russo (in scadenza nel 2024) non verrà rinnovato, cosa che ovviamente comporterà il blocco completo del flusso.
Dunque il gas azero è sempre più vitale e importante per l'Europa,
soprattutto in considerazione del fatto che fluisce in abbondanza (e a
buon mercato) attraverso un gasdotto, il Trans-Adriatico (Trans Adriatic
Pipeline), il quale a sua volta si riconnette al gasdotto turco
Transanatolico (TANAP) che a sua volta si riconnette al gasdotto
sud-caucasico (SCP) che parte dai giacimenti azeri e che passa
attraverso la Georgia per arrivare in Turchia. Dunque una colossale
opera che complessivamente parte in Azerbaijan, continua in Armenia,
attraversa l'Anatolia e infine arriva prima in Grecia, poi in Albania e
qui attraversa l'Adriatico arrivando finalmente in Italia con i suoi
preziosissimi 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Oro per
un'Europa ormai affamata di energia.
Immagine 4: i gasdotti Trans-Adriatico, Trans-Anatolico e Sud-Caucasico che portano il gas azero in Italia e in Europa.
E' chiaro che una nuova esplosione dei due conflitti del sud Caucaso (quello Azero-Armeno e quello Russo-Georgiano) metterebbe in pericolo anche questa fondamentale fonte di approvvigionamento energetico per l'Europa. Cosa questa che sanno benissimo sia i russi, che gli americani e ovviamente i turchi sempre bravissimi a trarre ogni vantaggio possibile da qualsiasi arma di ricatto utilizzabile contro l'Europa; fate memoria su come Erdogan - il nuovo Sultano della Sublime Porta - ricattò l'Europa sulla gestione dei flussi di profughi provenienti dalla Siria in guerra.
Concluderemo questa analisi sulla guerra dei tubi del gas con un ulteriore articolo sul sub-quadrante mediorientale anche esso in forte fibrillazione e anche esso di importanza fondamentale per la sicurezza energetica europea (ma questa volta anche per quella cinese). Ma possiamo già anticipare che l'arco di crisi che parte in Ucraina, continua nel Mar Nero, si dirama a est verso il Caucaso meridionale e a sud verso tutto il Medio Oriente fino al Sinai assume sempre di più – se visto dal punto di vista energetico – come una guerra contro l'Europa che rischia di rimanere con l'energia al lumicino e con ciò a forte rischio di desertificazione industriale. Cosa questa ben notata proprio in questi giorni dall'ex Presidente russo Dmitry Medved che in un post su Vkontakte ha commentato: "Gli Stati Uniti approfittano della difficile situazione in Europa per avviare la reindustrializzazione a spese degli altri. Un altro conflitto nel Vecchio Mondo rappresenta un'eccellente opportunità per rilanciare l'economia americana sia attraverso il tradizionale complesso militare-industriale che attraverso le nuove industrie high-tech provenienti dall'Europa. Le aziende europee, colpite dai prezzi del gas e di altre materie prime, stanno spostando le loro operazioni all’estero. Gli Stati Uniti si stanno reindustrializzando con l’aiuto esterno, e i paesi europei più forti stanno attraversando una fase di stagnazione e deindustrializzazione”.
Parole emblematiche e molto significative.
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