L'occidentalismo a Gaza
di Dominique de Villepin - 31/10/2023
Fonte: Italia e il mondo
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-occidentalismo-a-gaza
Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1]
sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex
primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del
governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione
alla guerra statunitense contro l’Irak.
La “vecchia Europa” (così i
neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori
del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da
dire.
Buona lettura.
Hamas ci ha teso una trappola, la
trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di
esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari,
come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave
come la questione palestinese.
C’è anche una seconda grande trappola,
che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con
Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione
dalla maggior parte della comunità internazionale.
[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]
L’occidentalismo
è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del
mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere
chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è
l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio
Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di
quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà.
Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.
Non è
questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del
moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto
sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard
che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane
quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La
critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le
popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e
siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a
Gaza.
Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che
viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce
l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle
Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite
vengono votate invano e che Israele non le rispetta.
[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]
Gli
occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico
che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.
[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]
Certo,
ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad
essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…
[Presentatrice: Uccidere il futuro?]
Uccidere il futuro, sì! Perché?
[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]
Vi
trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della
storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di
causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una
volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa
trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto
riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente
diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa
politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista,
guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non
ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è
stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da
Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte
messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a
compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema
destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente
peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi,
bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema
che sembra profondamente insolubile.
A questo si aggiunge
l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le
dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa.
Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.
[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]
Estremamente
preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la
questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata
messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani
di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli
arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per
tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…
[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]
Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.
[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]
Non
sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno
che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco
perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che
risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo
questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo
più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli,
come poliziotti del mondo.
[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]
Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.
[Presentatrice: Compresi i russi?]
Tutti.
[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]
Non
sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi
possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora
sarà un passo nella giusta direzione.
[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].
Ma
ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo
a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una
parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?
[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]
No,
è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco
di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è
sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di
sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non
confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.
La
seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici
realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un
uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel
1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare,
ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La
guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece
scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se
l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi
[francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia
che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che
batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la
comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci
troviamo.
[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]
Sì, e qual è stata la risposta?
[Presentatrice: Nessuna.]
Esattamente.
Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida
perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico
e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un
territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni
di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai
dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei
confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di
mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia
essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso
che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che
oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte
palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.
[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].
La
politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente
coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e
l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o
nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era
invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione
palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo
quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di
coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò
che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla
condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti
politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della
ritorsione è un ciclo senza fine.
[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].
Sì.
Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha
il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta
indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del
popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di
Hamas.
Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i
ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni
contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe
del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni
giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la
forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da
questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma
dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la
diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del
tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo,
può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi
avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe
firmato un trattato di pace con Israele?
Il dibattito non dovrebbe
riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi
riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono
due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di
andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È
nell’interesse di Israele!”.
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