Perversione di un privilegio
di Luciano Sesta - 27/10/2023
Fonte: Il Fatto quotidiano
L’ambasciata israeliana ha chiesto le dimissioni del
Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, “colpevole”
di aver chiesto a Israele di non violare il diritto umanitario
internazionale nella sua campagna di bombardamenti su Gaza. E ha
aggiunto che le dichiarazioni di Guterres, secondo cui Hamas è una
risposta sbagliata a un’esigenza legittima, e cioè quella di liberare le
terre palestinesi occupate illegalmente da Israele, “sono immorali”. E
tutto ciò nonostante Guterres avesse iniziato il suo discorso
denunciando per ben tre volte le atrocità commesse da Hamas, con la
precisazione che nessuna ingiustizia eventualmente subìta dai
palestinesi avrebbe mai potuto “giustificare” l’uccisione di civili
inermi. Che è e rimane un crimine, chiunque ne sia il responsabile.
Che
il clima in cui siamo immersi ci impedisca di percepire come scioccanti
le affermazioni dell’ambasciatore israeliano fa pensare. Qualcosa
dev’essere andato storto se oggi, battendo i pugni sul tavolo e con il
dito alzato, qualcuno può permettersi di considerare “immorale” non già
la propria decisione di bombardare bambini, ma le parole di chi lo
invita a non farlo. Non lo avremmo permesso a nessuna ambasciata di
nessuno stato al mondo. Nessuno, per quanto ingiustamente ferito e
attaccato, può rifarsi su bambini innocenti, che non sono mai un
ingiusto aggressore, nemmeno qualora i loro genitori li avessero votati,
gli ingiusti aggressori.
Che oggi, settant’anni dopo l’Olocausto,
uno Stato ebraico possa pretendere immunità per la sua decisione di
bombardare bambini indifesi la dice lunga su quanto sia difficile, anche
per persone intelligenti, non avvalersi del più drammatico e perverso
privilegio, quello dell’ex vittima diventata “buon” carnefice. Lo stiamo
vedendo tutti: c’è come un senso di colpa nell’avanzare critiche al
comportamento di un popolo che una certa “mitologia” ha elevato a
Vittima per eccellenza, e dunque a soggetto che per definizione non può
aver torto, perché lo ha semmai subìto. Chi soffre e ha sofferto,
infatti, ha sempre ragione. Da qui la paura di essere accusati di
“antisemitismo”, e la facilità con cui si accusa qualcuno di esservi
ricaduto.
Ci è stato sempre detto, e viene ripetuto ogni anno nella
Giornata della memoria, che ricordare la Shoah è un dovere proprio per
evitare che simili orrori si ripetano. In questi giorni, in Palestina,
sta accadendo l’esatto contrario: anziché agire come uno “scudo” che
possa difenderne le nuove potenziali vittime, la memoria dell’Olocausto
agisce come una “spada” che le trafigge “legittimamente”. È faticoso e
imbarazzante ammetterlo, ma se le parole dell’ambasciatore Onu che tira
le orecchie a Guterres non ci suonano irricevibili, è perché nel nostro
inconscio collettivo agisce l’oscura idea della Shoah come patentino
morale per nuove atrocità.
Forse è tempo di novità. Forse il dolore,
il sangue e le lacrime, come avvenne fra il 1943 e il 1945, possono
inaugurare non solo una più attenta sensibilità morale, ma anche una più
lucida visione intellettuale. Di fronte all’orribile massacro di Gaza,
che si sta consumando sotto i nostri increduli occhi, è ormai tempo di
fare un più creativo sforzo culturale, provando ad andare oltre la
“mitologia” dell’Olocausto, per evitare che la sua memoria, anziché
impedirne la ripetizione, finisca per renderla irriconoscibile. Come sta
accadendo in queste ore, in cui troviamo più persone indignate dal
discorso di Guterres che dai cadaveri dei bambini che Israele ha
“diritto” di sacrificare.
Luciano Sesta docente di bioetica e filosofia morale dell’Università di Palermo
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