Cavaliere di Monferrato. Blog di Claudio Martinotti Doria
Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996
"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis
"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")
"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto." (Dalai Lama)
"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")
"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi
L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)
Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)
Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )
La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria
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Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia
Come valorizzare il Monferrato Storico
…La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.
Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …
Gli
Stati Uniti hanno inviato una poderosa flotta con due gruppi navali ed
un terzo che sta arrivando e nessuno crede che questo sia destinato a
frnteggiare Hamas, un gruppo di guerriglieri male armati e privi di basi
logistiche, assediati e messi sotto scacco dalle forze israeliane. E’
piuttosto ovvio che il vero obiettivo sia l’Iran, il grande nemico
degli USA e di Israele che ostacola i piani di Washington di riprendere
il controllo del Medio Oriente e portare avanti il piano di
balcanizzazone dell’area, fermatosi dopo l’intervento russo e iraniano
in Siria. Quale migliore occasione del conflitto tra Israele
e Hamas per riprendere il piano interrotto e imporre il Nuovo Medio
Oriente pianificato dagli strateghi israeliani e statunitensi dai tempi
del “Yinon plan” che fu
pubblicato per la prima volta nel 1982 e che prevedeva di dividere i
principali paesi arabi frazionandoli in entità suddivise per etnia e
religione. Il tutto per impedire il pericolo per Israele
dell’esistenza di entità statali forti ai suoi confini, come l’Iraq, la
Siria che costituivano un rischio per la sicurezza di Israele.
Naturalmente
l’Iran è un capitolo a parte, essendo questo, da oltre 40 anni il
nemico n. 1 di Israele e degli Stati Uniti. Un piano che fu ripreso alla
fine degli anni ’90 dall’Amministrazione Bush e da Dick Chenney per
scatenare le due successive guerre contro l’Iraq, l’ultima di queste la
guerra del Golfo a cui seguì, poco tempo dopo, la guerra in Libia (2011) e la sobillazione del conflitto in Siria, durato 11/12 anni. L’attuale
concentrazione di forze aeronavali USA/Nato è la più imponente dai
tempi della Guerra del Golfo e si spiega soltanto con la proporzione
degli obiettivi che è relazionata con un attacco all’Iran ed alla Siria.
In quest’ultimo paese sono già iniziate le prove d’attacco sulle basi
aeree e sulle strutture dell’esercito siriano. Alla elite di
potere si Washington serve una nuova guerra per far dimenticare il
rovescio subito in Ucraina dalla Nato, successivo a quello in
Afghanistan, per incrementare i profitti dell’apparato industriale
militare americano, l’unico che può trainare ancora l’economia in stanca
degli USA e il dollaro in crisi.
Il tentativo maldestro di Biden, di Blinken e
della Nuland di creare un fatto compiuto, seminare il caos, appoggiando
le velleità genocide del pazzo Netanyahu (che invoca frasi Bibliche per
giustificare la sua volontà di sterminio dei palestinesi) e regolare i
conti con l’Iran e con la Siria di Assad, potrebbe finire molto male, con un conflitto mondiale combattuto con armi nucleari.
Forze russe e siriane in Siria
La
Russia non ha alcuna intenzione di tradire i suoi alleati in Medio
Oriente e cedere il passo ad una superpotenza in declino, quale sono gli
Stati Uniti d’America. Senza contare che l’Iran è strettamente connesso
con la Cina per la sua partnerschip con Pechino per le forniture
energetiche e per essere il punto di transito più importante fra Asia ed
Europa per la Belton Road cinese, dove gli investimenti cinesi sono già
arrivati.Per
tutte queste ragioni soltanto un demente potrebbe concepire l’idea di
attaccare l’Iran e farla franca senza affrontare terribili conseguenze
ma la demenza si è impadronita dei neocon guerrafondai di Washington e
del vecchio pazzo sionista Netanyahu che si ispira a massime bibliche
per coprire la sua furia genocida.
Possiamo solo
sperare che l’istinto di conservazione riesca a trattenere i
responsabili del Pentagono e Casa Bianca a non varcare l’ultima soglia,
prima di scatenare l’Armageddon che rischia di essere fatale per tutti.
La situazione è grave e, fra guerre e genocidi di innocenti, si prospettano tempi molto bui.
Lo
spazio dell’estrema minoranza planetaria, rappresentata dai regimi
occidentali, non solo ha perso ogni legittimità nel suo discorso di
lunga data, ma deve in realtà prepararsi a conseguenze ancora più
disastrose nel prossimo futuro. Tutti i suoi tentativi di oggi per
cercare di salvare la situazione probabilmente non porteranno a nulla.
Gli
ultimi avvenimenti di attualità non solo hanno mostrato in modo molto
ampio al mondo il vero volto dei regimi occidentali, ma hanno
probabilmente distrutto ogni aspirazione di questi ultimi a pretendere
di difendere un asse cosiddetto “libero” di fronte ai suoi mandanti.
avversari geopolitici, che questo asse dei nostalgici dell’unipolarismo
chiama autocrazie. Da oggi in poi nulla sarà più come prima.
In
questo senso non è più necessario presentare i molteplici standard
dell’Occidente. Dov’erano le élite politico-mediatiche di questo
Occidente quando i civili del Donbass subivano gli abusi del regime di
Kiev dal 2014, in totale violazione degli Accordi di Minsk? Accordi in
cui due regimi occidentali, tedesco e francese, erano co-sponsor.
Dove
sono i discorsi rivoltanti di questi stessi regimi oggi quando il
regime israeliano bombarda indiscriminatamente la terra palestinese? Anzi
– agli abbonati assenti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha
giustamente ricordato qualche giorno fa questa totale assenza di
moralità in Occidente. “ Coloro che ieri versavano lacrime di
coccodrillo per i civili uccisi in Ucraina, oggi assistono
silenziosamente alla morte di migliaia di bambini, donne e innocenti ” –
ha dichiarato.
L’unica cosa che il leader turco ha dimenticato di
ricordare è che, nel quadro dell’operazione militare speciale guidata
dalla Russia, i civili nei territori sotto il controllo del regime
NATO-Kievan non vengono in alcun modo presi di mira dalle forze armate
russe. Con l’enorme differenza proprio rispetto al campo opposto –
che non solo ha bombardato quotidianamente e spesso le popolazioni del
Donbass dal 2014 ad oggi, così come gli altri territori liberati dallo
scorso anno dall’esercito russo, ma che non esita anche
utilizzare il metodo terroristico. Un metodo che i regimi occidentali
pretendono di condannare quando si tratta di difendere l’alleato
israeliano.
Del resto, come spiegare che gli abitanti di
Kiev e di molte altre città sotto il controllo del regime di Kiev
continuano a condurre una vita molto spesso perfettamente pacifica?
Tranne ovviamente quelli mobilitati nelle forze armate NATO-Kievan.
Ristoranti, discoteche, altri luoghi di svago aperti di giorno e di
notte, le infrastrutture critiche funzionano normalmente, le ambasciate
straniere, soprattutto quelle occidentali, funzionano senza alcuna
difficoltà. Tanto lontano dal calvario vissuto da anni dagli abitanti del Donbass.O
come è in gran parte il caso in Palestina, dove anche le infrastrutture
come i luoghi santi e gli ospedali che ospitano centinaia, se non
migliaia, di civili non vengono risparmiate da uno dei principali
alleati di Washington e dall’asse ovest-NATO.
L’osservazione
è comunque semplice. I regimi occidentali avranno ampiamente dimostrato
e ora ampiamente confermato che la vita dei cittadini non occidentali –
siano essi russi del Donbass, palestinesi, siriani, afghani, maliani,
centroafricani e altri – non ha assolutamente alcun valore per quanto riguarda questi regimi. Persino
gli ucraini, di cui gli occidentali affermano di preoccuparsi, non
valgono molto di più ai loro occhi, oltre ad essere carne da cannone
mandata al macello dal campo della NATO. Sperando di infliggere una
sconfitta strategica alla Russia.
E poi – l’Occidente si
dice scioccato dal fatto che i paesi del Sud del mondo si siano così
ampiamente rifiutati di unirsi al suo discorso sul caso ucraino? Ma ora è
molto più di questo. Anche lo spazio occidentale sembra risvegliarsi
gradualmente dal suo sonno e dal suo stato in gran parte passivo. Gli
eventi attuali non rappresentano più solo la caduta dell’Occidente, e
allo stesso tempo dei suoi sogni nostalgici a favore dell’unipolarismo,
ma anche l’annuncio che presto dovrà rispondere delle sue
responsabilità. Questa è una realtà con cui bisognerà fare i conti.
Mentre
scrivo, l’autoproclamato Stato Ebraico sta compiendo una vendetta
biblica sui goy di Gaza. L’IDF sta bombardando a tappeto i civili in
quella che è ora la zona più densamente popolata della Terra. Più di
5.000 persone sono state uccise, tra cui oltre 2.000 bambini.
Gli
israeliani non nascondono nemmeno che si tratta di vendetta, non di
strategia. Sanno di non poter finire Hamas, perché l’intera regione
dell’Asia occidentale e il mondo musulmano in generale sostengono Hamas e
il resto della resistenza palestinese, e la sosterranno con ancora più
fervore se gli attuali leader di Hamas moriranno come martiri durante
un’orgia di vendetta ebraica. Come avrebbe detto Medgar Evers, “non si
può uccidere un’idea”, soprattutto se condivisa da miliardi di persone.
Ricordiamo
che Hamas ha il diritto, secondo il diritto internazionale, di
attaccare i “civili” se questi si qualificano come “coloni”. Tutto il
mondo concorda sul fatto che gli israeliani che vivono sulle terre
rubate nel 1967 sono coloni e quindi obiettivi legittimi. E più della
metà del mondo, compresi essenzialmente tutti i vicini di Israele,
considera tutti gli israeliani come coloni che occupano abusivamente la
Palestina occupata, che è ovviamente il punto di vista di Hamas. Ma,
nonostante il suo diritto legale di attaccare i coloni israeliani, il 7
ottobre Hamas ha agito con moderazione. Dalle prime riprese video e
dalle dichiarazioni di Hamas è chiaro che Al-Aqsa Flood aveva come
obiettivo principale l’esercito israeliano, mentre prendere in ostaggio
dei coloni era solo un obiettivo secondario. E, se alcuni palestinesi
hanno ucciso dei coloni, si trattava di bande non organizzate che si
vendicavano per l’uccisione dei loro cari, non di soldati di Hamas.
Quindi, l’orgia di vendetta sanguinaria che sempre più spesso viene chiamata #GazaGenocide
è irrazionale sotto due aspetti. In primo luogo, questa vendetta
orribile e sanguinosa si basa su false testimonianze di fatti che non
sono mai accaduti. In secondo luogo, il suo obiettivo annunciato –
l’eradicazione di Hamas – è impossibile. E più bombe Israele sgancia su
Gaza, più diventa impossibile.
Qual è la fonte di un comportamento così selvaggiamente irrazionale e, in definitiva, autodistruttivo?
Le origini del complesso ebraico di vendetta: riflessioni da Mellila
Di
recente ho visitato il Museo delle Etnie di Melilla, in Spagna. Il
museo celebra le “minoranze” colorate di Melilla: Ebrei, Berberi e
Zingari. (I Musulmani di origine berbera sono, in realtà, la maggioranza
a Melilla, ma, in teoria, non dovremmo saperlo).
La prima cosa
che si vede entrando è una stanza piena di menorah, Torah, amuleti e
altri oggetti che rappresentano la comunità ebraica di Melilla.
Melilla
ospita la più antica comunità ebraica della Spagna, che risale alla
fondazione della città, nel 1497. Anche se gli Ebrei erano stati espulsi
dal resto della Spagna, erano sempre stati i benvenuti a Melilla, dove
si ritiene che abbiano giocato un ruolo importante nella prosperità
della città. Oggi qui rimangono circa 1.000 Ebrei.
Un altro
oggetto in mostra è “La sedia di Elia”. Pensavo di conoscere l’ebraismo,
avendo avuto numerosi amici e conoscenti ebrei, ma non ricordavo che
ogni circoncisione viene eseguita accanto ad una sedia vuota,
presumibilmente occupata dal profeta Elia.
La
mia prima impressione, leggendo maldestramente la spiegazione in
spagnolo fornita dal museo, è stata che il rabbino facesse sedere il
bambino sulla sedia prima di tagliare la parte più sensibile della sua
anatomia e succhiare il sangue da ciò che rimaneva del pene. Ma, alla
fine, ho capito che la circoncisione viene eseguita accanto alla sedia,
non su di essa. Quella sedia è riservata a Elia!
L’importanza
della circoncisione infantile per l’identità ebraica è sottolineata dal
fatto che la sedia di Elia è il primo oggetto esposto nella prima sala
del Museo delle Etnie. Per tre millenni, gli Ebrei si sono considerati
superiori ai goyim “impuri” (non circoncisi).
Nel
corso del tempo, anche i Musulmani hanno iniziato ad imitarli
stupidamente. I Musulmani, ad esempio, praticano generalmente la
circoncisione in età matura (ma non in quella infantile). E circa il 75%
dei non Ebrei americani fa circoncidere da un medico i propri figli
appena nati.
Così,
anche se la circoncisione non è più il marchio di eleggibilità di un
tempo, gli Ebrei possono ancora guardare dall’alto in basso gli sciocchi
Musulmani che aspettano che il bambino abbia quasi finito la scuola
elementare, o gli americani non Ebrei che fanno fare gli onori di casa a
un medico invece che a un rabbino.
I primi giorni, settimane e mesi di vita plasmano profondamente la personalità. Come avevo scritto altrove:
Gli studi sull’attaccamento
hanno dimostrato che i bambini molto piccoli – i neonati, in realtà –
sono estremamente vulnerabili ai traumi psicologici. Un’esperienza
terribile all’ottavo mese di vita o anche prima è probabile che rovini
la vita in un modo che un’esperienza molto peggiore in un’età più
avanzata non potrebbe fare. Le esperienze traumatiche che danneggiano il
legame madre-bambino, in particolare, sembrano essere responsabili di
gran parte, se non della maggior parte, dell’infelicità del mondo.
(Morale: per formare una persona felice e serena, tenete il bambino a
contatto pelle a pelle con la madre e allattatelo a richiesta per i
primi due anni di vita, come fanno molte culture tradizionali).
Quello
che NON si vuole fare è strappare il bambino dalle braccia della madre e
infliggergli torture indicibili incidendo con un coltello la parte più
sensibile della sua anatomia. Questo distruggerà il legame madre-bambino
a causa del tradimento percepito dalla madre nei confronti del figlio
(e creerà un’eccessiva compensazione, come nel caso della sindrome della
madre ebrea), mentre si formerà un ricordo inconscio di un orribile
attacco da parte di un terrificante estraneo. Più avanti nella vita, il
bambino sarà culturalmente condizionato a trasferire la sua paura e il
suo disgusto sulla figura immaginaria di un nuovo terrificante estraneo:
il goy malvagio che vuole ucciderci. È la formula perfetta per creare
un’identità di gruppo profondamente nevrotica e fortemente etnocentrica.
La brama ebraica di una smisurata vendetta di sangue contro i goy è proverbiale. È stata immortalata ne Il mercante di Venezia, è visibile nelle reazioni degli Ebrei alla Seconda Guerra Mondiale in generale e, in particolare, in film come Inglorious Basterds ed è in mostra a Gaza proprio in questo momento.
Ogni
festività ebraica, si dice, ripete lo stesso schema: “Hanno cercato di
ucciderci, abbiamo vinto, mangiamo!” I miti dell’Esodo, della vendetta
di Ester sui Persiani, della distruzione del Tempio e, più recentemente,
dell’Olocausto, ritraggono tutti i nemici degli Ebrei che complottano e
tramano per annientarli, e gli Ebrei che alla fine trionfano e compiono
una vendetta orribile e appagante.
Questa peculiare miscela
tribale di paranoia (“vogliono tutti ucciderci!”), rabbia vendicativa e
totale mendacia a me sembra un disperato tentativo di soffocare la
sindrome post traumatica provocata dalla circoncisione. Freud, che non
aveva torto su tutto, noterebbe senza dubbio che il paziente (la tribù)
proietta sui suoi nemici (tribali) crimini che, in realtà, sono stati
commessi da lui stesso (la sua tribù) e da coloro che la rappresentano e
la guidano.
Ed è per questo che “l’ebreo grida mentre ti colpisce“…
Come sta facendo oggi, dal pulpito prepotente di quasi tutti i media
mainstream occidentali, nel disperato tentativo di nascondere il fatto
che è lui il cattivo, mostruoso, psicotico e genocida, mentre Hamas e il
resto della resistenza palestinese sono gli eroi.
Qui di seguito la conversazione a strappi avuta negli ultimi 3 giorni con un giovane cittadino palestinese a Gaza.
Se in un primo momento Israele aveva interrotto le connessioni
internet al momento dell’inizio dell’invasione il 26 ottobre scorso,
tuttavia, in seguito alle pressioni internazionali, le connessioni sono
state a tratti ripristinate.
La corrente elettrica ormai viene prodotta con i generatori in tutta
la striscia, ma anche i rifornimenti di benzina per produrre energia
elettrica non sono sufficienti.
Non è pertanto facile ricaricare il telefono e lo si accende solo ogni tanto.
Ancora meno è trovare un tozzo di pane, ore in fila senza certezza che ne sia rimasto ancora quando sarà il vostro turno.
In queste condizioni è avvenuta questa conversazione.
Non è vero quindi che Gaza è silenziata.
Pur con tutte le difficoltà e con il bilancio delle vittime dei
bombardamenti oltre le 8mila vite, i Palestinesi hanno molto da dire,
sempre che gli standard della community non si offendano.
E così, seppur Hamas goda di un importante consenso, se non proprio
del sostegno della maggioranza, certamente ci sono Palestinesi contrari
ad Hamas.
E anche loro in queste ora hanno qualcosa da dire.
<<- Salve, come sta andando? Ho sentito che Israele sta cercando di entrare a Gaza...
- Ciao, Israele ha tagliato Internet, i servizi mobili e le linee terrestri da Gaza per 3 giorni, ma oggi sono tornati.
Israele sa che entrare a Gaza significa subire pesanti perdite,
usa tattiche americane (superiorità aerea) e combatte contro la tattica
che l'ha sconfitto più volte (concentrarsi sulla fanteria), hanno perso
contro le forze cinesi in Corea negli anni '50, contro il Vietnam negli
anni '70, e contro l'Afghanistan per la maggior parte degli anni 2000 e
2010.
Anche se Israele vincesse, subirebbe pesanti perdite.
E’ per questo che esitano.
Inoltre, tunnel e trincee sono ovunque a Gaza, lo sanno tutti, e sono stati la carta vincente del Vietnam.
- Questa è la linea rossa che Israele ha paura di
oltrepassare... mentre qui in Europa si condanna a volte Israele e
sempre Hamas... si dice che il popolo palestinese di Gaza non è Hamas...
- Sono ateo, e non credo che l'ospedale battista (cristiano) possa far parte di Hamas (islamista).....
- Giusto, tutti dalla stessa parte.
- Ah sì, certo, i cristiani vorrebbero vivere secondo le regole
di un'altra religione, e gli atei vorrebbero vivere secondo le leggi
religiose!!!
Ps: sarcasmo.
- Sì, certo. Ma ha senso separare Hamas dalla popolazione? Voglio dire, aiuta a capire? Spiega qualcosa?
- Hamas è un movimento politico islamista a Gaza. Non tutte le
persone qui sono politiche, e abbiamo più di 200 entità politiche di cui
Hamas è solo una. Ci sono poi altri movimenti islamisti a Gaza.
Israele ci tortura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, quindi è ovvio
che saremmo felici se qualcuno facesse loro del male in qualsiasi modo.
Anche se fossero gli Illuminati, o qualche associazione di fantasia di
serial killer, o se il Diavolo stesso picchiasse i vostri nemici,
ovviamente ne sareste felici.
- Chiaro.
- Personalmente, all'inizio di quest'anno ho avuto una
discussione con degli evangelizzatori (non so quale sia il nome
corretto per i musulmani che cercano di convertire gli altri) sostenuti
da Hamas, e molte, molte persone si sono intromesse, qualche figlio di
puttana ha detto che avrei dovuto essere punito per i miei post infedeli
e io, invece di rintanarmi, l'ho definito un “terrorista di terza
categoria” e che “merita di stare a Guantanamo”.... Ho ricevuto molte
minacce di morte da parte di fanatici dell'ISIS e le ho condivise tutte,
esponendole, sia in arabo (testo originale), sia con traduzioni in
inglese.
Alla fine persone di Hamas e dei movimenti socialisti hanno risolto
la questione prima che sfociasse in una vera e propria sparatoria.....
Quindi, sì, odio Hamas, ma odio di più Israele.
Israele e gli Stati Uniti hanno inserito l'OLP nella lista dei terroristi prima, ma hanno fatto accordi con loro dopo.
- Quanto Iran pensi che ci possa essere ora dietro Hamas?
Secondo le notizie, l'Iran ha contrabbandato armi ad Hamas, è
tutto ciò che può fare, i suoi interessi di islamisti e il nuovo ordine
mondiale polarizzato coincidono.
L'alleanza Russia-Cina da un lato, e l'alleanza USA e NATO
dall'altro, e le innumerevoli guerre per procura, e persino le doppie
guerre per procura (nazione per procura che sostiene i propri
procuratori) giocano un ruolo importante in questo.
Questo sistema di proxy è più simile a un'alleanza tra il forte e il debole, uno combatte, l'altro fornisce supporto.
L'Iran è un proxy della Russia, e l'Iran ha i suoi proxy come
Hamas, Hezbollah, la Siria, gli Houthies nello Yemen e le milizie sciite
in Iraq.
I procuratori degli Stati Uniti sono ben noti: Israele, Regno
Unito, Francia, tutta la NATO, tutti i Paesi dell'America centrale, la
Corea del Sud, Taiwan, il Giappone, le Filippine, ecc…>>.
Da questo punto in poi la connessione è venuta meno. Tuttavia pare
didascalico che il nostro non abbia bisogno di difendere ideologicamente
Hamas per riconoscerne oggi un ruolo al di fuori dell’influenza
occidentale e piuttosto, benché legato a lungo ala Fratellanza
Musulmana, oggi Hamas sia più spostato sull’asse Iran-Russia-Cina.
Turchia ed Egitto diventano a questo punto i due attori principali.
Sono loro ad avere buoni rapporti con l’Occidente, ma ad avere pure un dialogo solido ed aperto con Russia e Brics.
Israele ha colpito ieri un ospedale turco a Gaza e anche questo non è un caso.
Dai loro posizionamenti di campo e dalla loro capacità di incidere
capiremo questa volta se l’ennesimo capitolo della guerra
israelo-palestinese è come sempre una questione interna per Israele o se
i confini del mondo stanno cambiando.
Solo
disillusioni, per il nazigolpista-capo di Kiev, Vladimir Zelenskij,
dagli incontri esteri e dal fronte di guerra interno. L'incontro del 28
ottobre a Malta, presenti rappresentanti di paesi del G7, Qatar, Sud
Africa, India, Turchia, Brasile, Messico, ha registrato un flebile
interesse alla “formula di pace in dieci punti” lanciata da
Kiev, soprattutto da parte dei paesi del cosiddetto “Sud globale”,
giustamente molto più preoccupati dalla possibile evoluzione
dell'aggressione terroristica israeliana a Gaza.
L'episodio si aggiunge alla doccia fredda dello scorso viaggio a
Washington di Zelenskij e, soprattutto, all'impietoso quadro tracciato
da Time a proposito della fantomatica vittoria cui crede
(quantomeno a parole) soltanto lui. Proprio dopo Washington, per
ragioni diverse, ha cominciato a manifestarsi sempre più apertamente la
stanchezza di molti “partner occidentali” verso l'Ucraina golpista.
Addirittura, nel più stretto entourage di Zelenskij si ammette la
delusione del capo, lasciato «senza mezzi per la vittoria in guerra» e rifornito appena quel tanto che basta per «sopravvivere ad essa»; e non viene affatto condivisa la sua ostentata fede, che «rasenta il messianismo», nella vittoria finale sulla Russia.
Una fede che gli fa rifiutare categoricamente ogni accenno anche solo
a un cessate il fuoco temporaneo. Così che, al fronte, sono proprio
alcuni comandanti che si rifiutano di eseguire gli ordini presidenziali
d'attacco: è stato il caso, ad esempio a inizi ottobre, per l'ordine di
prendere Gorlovka, uno dei centri più martoriato del Donbass sin dal
2014, cui i militari hanno risposto che «non ci sono uomini, armi. Dove è l'artiglieria? Dove sono le reclute?».
Ecco: le reclute.
A Šostka, una cittadina dell'Ucraina nordorientale nella regione di
Sumy, si sta procedendo alla formazione di una nuova unità di Difesa
territoriale. Lo scorso 24 ottobre il distretto militare cittadino ha
convocato i giovani da 14 a 16 anni da inviare a non meglio precisati
“corsi speciali”. Il timore è che i ragazzi vadano a ingrossare le file
della nuova brigata da poco formata; e anche se dal distretto negano
tale possibilità, la preoccupazione è data dal progetto di legge
presentato alla Rada lo scorso agosto sul divieto di espatrio per i
giovani maschi da 16 a 18 anni. Ancor prima, lo scorso febbraio, il
canale yankee News Nation aveva mandato in onda una
trasmissione su una generica “Accademia” ucraina in cui ragazzi da 15 a
17 anni venivano addestrati al combattimento. Se si aggiunge poi la
tradizione majdanista delle “colonie estive” organizzate da "Patrioti d'Ucraina” e poi da “Azov” per impratichire i giovanissimi all'uso delle armi, il quadro è quasi completo.
Manca da aggiungere che a partire dal mese di novembre comincia
ufficialmente la mobilitazione delle ragazze e dei giovani finora
giudicati “rivedibili”, affetti da tubercolosi, manifestazioni
temporanee di disturbi mentali, malattie progressive del sistema nervoso
centrale, HIV asintomatico, ecc. Insomma, la carne da cannone da
gettare nel tritacarne voluto da Washington e applaudito da Bruxelles
scarseggia sempre più a Kiev e la junta nazigolpista sta spremendo le
ultime riserve. Dopotutto, chi altri se non i “patron” yankee, sin dagli
anni '90, avevano predetto, per bocca del famigerato Zbigniew
Brzezinski, che negli anni a partire dal 2030 «in Ucraina non dovranno rimanere più di 20 milioni di abitanti»?
Nonostante la propaganda vaneggi di “masse di volontari” per il
fronte, le statistiche indicano che già circa ventimila ucraini in età
di mobilitazione sono stati fermati alla frontiera. E, tra quelli
mobilitati – ma questo Kiev non lo racconta – ecco che in Donbass ha già
raggiunto la linea del fronte il primo battaglione “Bogdan
Khmel'nitskij” formato de ex soldati ucraini, inquadrato nell'unità
russa tattico-operativa “Kaskad”. La fuga dei giovani ucraini dalla
chiamata alle armi non è d'altronde iniziata ora, o dal febbraio 2022.
Sin dai primi tempi dell'aggressione ucraina al Donbass, erano frequenti
i casi di espatrio di singoli o di gruppi di giovani,
con le famiglie che li nascondevano o li proteggevano in ogni modo,
anche bloccando i veicoli che portavano ai distretti i giovani renitenti
catturati. Per la verità, all'epoca la consegna, chiamiamola “forzosa”,
della cartolina precetto, rivestiva ancora forme “artigianali” e solo
raramente le tecniche “professionali” che così largo impiego hanno ricevuto negli ultimi mesi,
che ricordano da vicino i sistemi usati dai terribili arruolatori della
marina britannica qualche secolo fa, con giovani e meno giovani
(comunque, in età di mobilitazione) letteralmente accalappiati in strada, trascinati a forza nei furgoni e portati nelle caserme.
Ed è molto difficile fare di questi giovani “volontari” - ricorrenti i
casi di 40-50enni che si iscrivono all'Università per la seconda
laurea, sperando di rinviare la chiamata: sembra che dovranno essere
direttamente i rettori a decidere la loro sorte - degli ufficiali
capaci, senza i quali ogni azione bellica si risolve in disastri. È ciò
che già da mesi sta accadendo con l'esercito di Kiev e che, unito alla
“fuga” di molti istruttori occidentali, porta al conflitto tra Zelenskij
e il comandante in capo Valerij Zalužnij, che insiste per interrompere
le offensive su determinate direttrici, passando alla difesa, per
ripristinare le capacità delle truppe e tentare la sorte la prossima
primavera.
Questo, nonostante che, già così, la mobilitazione non riesca a tenere il passo con le forti perdite quotidiane.
Oggi, militari del battaglione neonazista “Lupi da Vinci” -
praticamente dissanguato dagli attacchi russi nell'area di Kupjansk -
dichiarano che se la popolazione ucraina non prenderà parte tutta
insieme al conflitto, non parteciperà, in forme diverse a seconda dei
mezzi, alla “mobilitazione totale”, il paese semplicemente scomparirà.
Scomparirà, se non in guerra, anche solo con le misure majdaniste che
da dieci anni fanno diventare realtà le previsioni di Zbigniew
Brzezinski: eliminazione del servizio sanitario-epidemiologico statale e
della fluorografia, in quanto “pratica sovietica obsoleta”,
deficit volontario dei medicinali dovuto a accordi sottobanco con
imprecisate "organizzazioni internazionali", leggi che semplificano il
trapianto di organi (per l'export), ecc.
Così che in base a cifre ufficiali del Servizio ucraino di
emigrazione, al maggio scorso la popolazione ucraina superava di poco i
23 milioni di abitanti, contro i 51,5 milioni del 1991 e i 48,5 milioni
del 2001: nel 2023 si è dunque tornati al numero di “anime” che
popolavano quello che sarebbe diventato il futuro territorio ucraino
secondo il censimento zarista del 1897.
Anche per cercare di nascondere questa voragine, Kiev ha deciso di
annullare il censimento della popolazione previsto per quest'anno – la
legge prevede che si tenga non meno di una volta ogni dieci anni – dopo
che l'ultimo era stato effettuato nel 2001: dieci anni dopo il
censimento dell'Ucraina “indipendente” nel 1991. Di fatto, la
rilevazione fissata al 2016 era stata rinviata al 2020, per esser poi
spostata al 2023; e ora annullata.
Si eviterà così di conteggiare le “anime” dei renitenti alla
mobilitazione che, per la modica cifra di diecimila dollari, acquistano
il proprio “certificato di morte”.
L’Ucraina ha cercato di ripulire etnicamente la popolazione
russa autoctona del Donbass e di genocidare coloro che sono rimasti se
avesse riconquistato la regione, che è ciò che anche Israele sembra
interessato a fare a Gaza, ma il ruolo strategico di Kiev è
concettualizzato dall’Occidente come più ampio di quello di Tel Aviv.
Mentre Israele combatte per una piccola striscia di territorio per
perseguire ristretti interessi geopolitici occidentali, l’Ucraina è
utilizzata dall’Occidente per interessi civilizzativi-imperialistici di
ben più ampia portata. L’ultima guerra tra Israele e Hamas ha messo a
nudo l’ipocrisia occidentale in più di un modo. In precedenza è stato
osservato che “i doppi standard dell’Occidente verso Israele e l’Ucraina
lo hanno screditato nel Sud globale”. Il mondo intero ha visto come la
dimensione “umanitaria” della retorica dell'”ordine basato sulle regole”
di questo blocco fosse assente dalla sua valutazione del suddetto
conflitto, nonostante Israele sia responsabile di molte più vittime
civili nell’arco di un mese di quante la Russia ne abbia presumibilmente
causate in venti. Lungi dal criticare l’autoproclamato Stato ebraico
come hanno fatto con la Grande Potenza eurasiatica, hanno
entusiasticamente esultato per il suo blocco e per il bombardamento
degli oltre due milioni di abitanti di Gaza, minimizzando le morti di
civili che ne sono derivate. Il portavoce del Consiglio di Sicurezza
Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che “Questa è una
guerra. È un combattimento. È sanguinosa. È brutta e sarà disordinata. E
civili innocenti saranno feriti in futuro”. Dopo che Israele ha
ampliato le operazioni di terra a Gaza, nonostante il rischio molto più
elevato di un numero ancora maggiore di vittime civili, ha dichiarato
alla stampa che “non stiamo tracciando linee rosse per Israele.
Continueremo a sostenerlo”. Questo approccio contrasta con il relativo
silenzio dell’Occidente nei confronti dei bombardamenti di Kiev sul
Donbass negli otto anni precedenti l’operazione speciale. In quel
periodo, hanno sostenuto pienamente questo regime fascista, ma sono
stati anche attenti a non attirare troppo l’attenzione sui suoi attacchi
contro i civili. I doppi standard etno-bigotti spiegano
probabilmente queste politiche diverse, nonostante entrambe le categorie
di civili – i palestinesi a Gaza e i russi nel Donbass – siano “altre”
dall’Occidente, nel senso di essere viste come separate dalla loro
“eccezionale” civiltà e quindi considerate “sacrificabili”. Sebbene la
fisionomia vari, i palestinesi nel loro insieme sono ampiamente
considerati dai liberal-globalisti al potere in Occidente come “non
bianchi”, mentre i russi nel loro insieme sono considerati “bianchi”. Questa
pseudo-distinzione porterebbe normalmente queste élite a simpatizzare
con i palestinesi “non bianchi” per ragioni ideologiche, ma il motivo
per cui i loro politici non mostrano alcuna compassione per loro è
perché li considerano parte di una civiltà comparativamente più
dissimile. L’ex impero russo a maggioranza slava e a guida ortodossa che
controllava il Donbass era storicamente molto più vicino alla civiltà
occidentale di quello turco-arabo ottomano a guida musulmana che
controllava Gaza. L’emergente paradigma di civilizzazione delle
relazioni internazionali è stato sfruttato da questi politici per
giustificare l’autopercepito “eccezionalismo” dell’Occidente e provocare
uno “scontro di civiltà” per dividere e governare l’Eurasia a loro
vantaggio egemonico. Per perseguire questo scopo, le loro élite
politiche stanno amplificando la narrazione fuorviante secondo cui
l’ultima guerra tra Israele e Hamas sarebbe uno scontro tra gli
israeliani allineati all’Occidente e parzialmente di origine europea e i
palestinesi allineati all’Islam e interamente arabi. Per essere
chiari, si tratta di ottiche superficiali e spurie, ma sono comunque
destinate a manipolare il pubblico occidentale mirato a fare quadrato
intorno a Israele con pretesti fintamente “civilizzativi” e “valoriali”
associati, volti a giustificare il sostegno delle loro élite a Israele
per ragioni puramente geopolitiche. L’autoproclamato Stato ebraico è
considerato la “portaerei inaffondabile” del loro blocco in Asia
occidentale, motivo per cui è sempre sostenuto da loro, anche quando è
responsabile di molte vittime civili. Le classi accademiche, gli
attivisti e i media dei liberal-globalisti sono però sempre più in
contrasto con la visione ipocritamente machiavellica del mondo
dell’élite politica della loro ideologia, il che spiega le proteste su
larga scala contro Israele che hanno attraversato l’Occidente
nell’ultima settimana. Non è compito di questa analisi approfondire le
loro differenze in questo contesto e l’interazione tra queste fazioni,
ma i lettori interessati possono fare riferimento a queste due analisi
qui e qui per approfondire la questione. Le osservazioni del
paragrafo precedente sono pertinenti al presente articolo perché
spiegano il motivo per cui l’élite politica dei liberal-globalisti ha
applaudito con entusiasmo il blocco e i bombardamenti di Israele contro
gli oltre due milioni di abitanti di Gaza. I leader statunitensi di
questa classe hanno interesse ad attirare l’attenzione sulla narrazione
fuorviante che l’ultima guerra tra Israele e Hamas sia uno “scontro di
civiltà”, nonostante alcune differenze tra loro e i loro vassalli
europei, per non parlare di altre sottoclassi. Al contrario, sia le
classi politiche occidentali che le sottoclassi accademiche, attiviste e
mediatiche transatlantiche di questa ideologia sono rimaste
relativamente in silenzio negli otto anni in cui Kiev ha bombardato il
Donbass, il che può essere spiegato con il paradigma della civiltà
introdotto in questa analisi. Gli ucraini e i russi sono considerati
“bianchi” “occidentali”, la cui civiltà condivisa, storicamente a
maggioranza slava e a guida ortodossa, può essere incorporata nella
civiltà occidentale dopo la sua “balcanizzazione”. Questa analisi di
inizio ottobre elabora questo grande obiettivo strategico, che può
essere riassunto come l’utilizzo da parte dell’Occidente dell’Ucraina
come “cavallo di Troia” per dividere e governare la civiltà cosmopolita
della Russia attraverso la guerra ibrida, dopo averla prima trasformata
in “anti-Russia” a seguito di “EuroMaidan”. I liberal-globalisti hanno
cercato di armare il multiculturalismo sotto una falsa veste di
“decolonizzazione” per mascherare l’imperialismo occidentale, come
sostenuto qui, che rischiava di fare a pezzi la Russia, come ha
avvertito Medvedev qui. L’operazione speciale della Russia ha
sventato quel complotto, ma il punto è che era e continua a essere
perseguito, il che spiega perché l’Occidente ha taciuto sui
bombardamenti di Kiev nel Donbass dal 2014 in poi. Dal punto di vista
delle loro élite politiche, la civiltà condivisa dell’Ucraina e della
Russia, storicamente a guida ortodossa e a maggioranza slava, è molto
più facile da sussumere in quella liberale-globalista dell’Occidente
rispetto alla civiltà arabo-musulmana della Palestina, storicamente
“alterata” in misura maggiore e considerata “incompatibile”. L’Ucraina
ha cercato di ripulire etnicamente la popolazione russa autoctona del
Donbass e di genocidare coloro che sono rimasti se avesse riconquistato
la regione, che è ciò che anche Israele sembra interessato a fare a
Gaza, come spiegato qui, ma il ruolo strategico di Kiev è
concettualizzato dall’Occidente come più ampio di quello di Tel Aviv.
Mentre Israele combatte per una piccola striscia di territorio per
perseguire i ristretti interessi geopolitici occidentali, l’Ucraina è
utilizzata dall’Occidente per interessi civilizzativi-imperialistici di
ben più ampia portata. L’Occidente non si è mai aspettato che Israele
ripulisse etnicamente, genocidasse e/o “balcanizzasse” tutta la civiltà
arabo-musulmana dell’Asia occidentale, ma si aspettava che l’Ucraina
facilitasse questi obiettivi e soprattutto l’ultimo, quello di dividere e
governare contro la Russia. Di conseguenza, promuovere la narrativa
dello “scontro di civiltà” nell’ultima guerra tra Israele e Hamas
difende i limitati obiettivi geopolitici dell’Occidente su una base di
finti “valori”, mentre fare lo stesso nel Donbass rischia di screditarli
in quel contesto. La Russia avrebbe dovuto essere “balcanizzata” e
poi sussunta dalla nuova civiltà liberale-globalista dell’Occidente,
cosa che non sarebbe stata possibile “alterando” i suoi popoli,
relativamente più simili dal punto di vista della civiltà, nella stessa
misura in cui hanno fatto con quelli, apparentemente più dissimili,
della Palestina. Gli obiettivi dell’Occidente nel primo conflitto sono
di espandere direttamente la portata della sua “eccezionale” civiltà,
mentre nel secondo si limitano a sostenere il ruolo geopolitico di
Israele come “portaerei inaffondabile”. È comprensibile che i lettori
possano sentirsi un po’ sopraffatti dopo essere stati introdotti a una
visione così complessa degli affari civili, geopolitici e strategici;
per questo motivo sono invitati a riflettere su quanto condiviso in
questa analisi e magari a rivederla una volta dopo essersi riposati.
Così facendo, si spera che siano in grado di comprendere meglio le
ragioni della doppia morale etno-bigotta dell’Occidente nei confronti
dei bombardamenti di russi e palestinesi, dove i primi vengono ignorati
mentre i secondi vengono acclamati.
Intervenendo al “Grande Meeting della Palestina”, una manifestazione pro-Palestina a Istanbul, Erdogan ha detto: “Israele,
anche noi ti dichiareremo un criminale di guerra per il mondo, ci
stiamo preparando e presenteremo Israele al mondo come un criminale di
guerra.”
Erdogan ha sottolineato che il mondo occidentale ha
mobilitato i suoi politici e i suoi media per legittimare il massacro
della gente innocente a Gaza, aggiungendo: “Israele sta commettendo
crimini di guerra”.
Ha detto che Israele è un “occupante”, aggiungendo: “L’Occidente ti è debitore, ma la Turchia non ti è debitore”.
Coloro che versano lacrime di coccodrillo per i civili uccisi
nella guerra tra Ucraina e Russia osservano in silenzio la morte di
migliaia di bambini innocenti a Gaza, ha affermato il presidente turco.
“Sto chiedendo a West, vuoi creare un’altra atmosfera da Guerra dei Crociati?” ha chiesto, aggiungendo: “Il principale colpevole dietro il massacro in atto a Gaza è l’Occidente”.
“Certo, ogni Paese ha il diritto di difendersi, ma dov’è la
giustizia? Non c’è alcuna difesa se non un aperto e feroce massacro in
corso a Gaza”.
Tutti sanno che Israele è una pedina nella regione che verrà sacrificata quando verrà il momento, ha aggiunto.
“Ho detto a Davos che sai come uccidere. Sanno bene come uccidere.”
Erdogan ha detto di aver salutato “la determinazione del popolo di
Gaza” a non abbandonare le proprie case e la città di fronte ai
bombardamenti dell’oppressore.
Israele ha bombardato pesantemente Gaza dal 7 ottobre, quando il
gruppo palestinese Hamas ha effettuato un attacco oltre confine,
uccidendo 1.400 persone e prendendo molti ostaggi.
Il Ministero della Sanità della Striscia di Gaza ha affermato che gli
attacchi israeliani hanno ucciso almeno 7.703 persone, principalmente
civili e molti di loro bambini.
Ricordando i voti dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite
a favore di una risoluzione che chiede una “tregua umanitaria” a Gaza,
Erdogan ha detto: “Israele, sei condannato a essere lasciato solo”.
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato venerdì una
risoluzione che chiede un’immediata “tregua umanitaria duratura e
prolungata” a Gaza.
La risoluzione, presentata da quasi 50 paesi, tra cui
Turchia, Palestina, Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi
Uniti (EAU), è stata approvata con un voto di 120-14 e 45 nazioni
astenute.
Adottato alla decima sessione speciale di emergenza sulla situazione
nei territori palestinesi occupati, il progetto di risoluzione esprime
“grave preoccupazione” per “l’ultima escalation di violenza”.
“Ribadisco l’appello che ho rivolto al governo israeliano nei giorni
scorsi. Ascoltate il nostro appello a fornire aiuti agli oppressi e ad
aprire le porte del dialogo per stabilire la pace. Venite oggi e fate un
passo positivo, forse per la prima volta nella vostra vita. vita, per
il futuro tuo e dei tuoi figli.”
Ci sono palestinesi che sono stati gradualmente sfollati dalle loro
case e dalle loro terre d’origine, e le loro vite sono state colpite
dagli attacchi portati avanti da Israele fin dalla sua fondazione, ha
detto.
“Certamente, in un tale clima di fuoco e sangue, si sono verificati
eventi deplorevoli. Tuttavia, nessuno di questi può servire da scusa per
campagne volte a screditare la resistenza portata avanti dal popolo
palestinese sotto vari nomi.”
“Ho detto che Hamas non è un’organizzazione terroristica, e Israele
ne è rimasto molto turbato. E comunque non ci aspettavamo niente di
diverso”, ha detto il presidente.
Gli Stati Uniti sono solo una potenza aerea mascherata da esercito.
Senza l’aeronautica gli Stati Uniti non sono nulla, e anche la loro
aviazione è diventata estremamente debole negli ultimi anni: niente in
confronto a quello che era. I piloti dell’aeronautica russa ora hanno in
media un numero maggiore di ore di volo durante l’addestramento.
Prezzo da $ 9.000.000 della variante Leopard 2A6 (una delle più avanzate) contro $ 20.000 Lancet
Che cosa ne pensate? I Challenger faranno meglio dei Leopard ora che il 50% di tutti i Leopard consegnati sono stati distrutti?
“La nostra è una lotta tra l’asse le Male, Iran, Hezbollah, Hamas e
l’asse della Libertà e del Progresso, noi siamo il popolo della luce,
loro il popolo delle tenebre e la luce trionferà sulle tenebre”. Così
Netanyahu nel discorso alla nazione.
“Dovete ricordare cosa vi ti ha fatto Amalek, si legge sulla nostra
Sacra Bibbia”, ha proseguito, aggiungendo che quella attuale è parte di
una serie di guerre combattute dal popolo ebraico per la propria
esistenza da 3mila anni.
Il passo della Bibbia citato è forse il più tragico del testo sacro.
Adirato contro Amalek per le efferatezze commesse contro il popolo
eletto, il Signore invia un messaggio a
Saul tramite il profeta Samuele: “Va dunque e colpisci Amalek e vota
allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da
compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e
pecore, cammelli e asini”.
Netanyahu ha poi proseguito affermando che i tragici errori della
Sicurezza che hanno permesso l’attacco ad Hamas saranno indagati e che
tutti dovranno rispondere di quanto avvenuto – “me compreso” ha aggiunto
– ma che ciò accadrà “solo alla fine della guerra”, che egli ha la
responsabilità di guidare per portare Israele verso “una vittoria
schiacciante”.
Il messaggio messianico di Netanyahu
Tre elementi in questo discorso. Il primo è che Netanyahu si appoggia
ai suoi partner ultra-ortodossi e, abbandonando l’usuale pragmatismo,
ne sposa il millenarismo. Evidentemente reputa che questo sia l’unico
modo di salvare il collo dal cappio che gli hanno già preparato i suoi
concittadini.
Che sia terrorizzato dal futuro lo indica il tweet pubblicato
successivamente, nel quale spiegava che l’intelligence e la Difesa non
l’avevano avvertito di eventuali pericoli provenienti da Gaza. Tweet che
si è dovuto rimangiare, scusandosi, dopo l’insurrezione degli
interessati.
Un articolo di Ravit Hecht su Haaretz spiega
che il tweet in questione potrebbe risultargli fatale, avendo
incrementato la diffidenza nei suoi confronti da parte di diversi membri
del suo partito e degli ultraortodossi dello Shas. Se lo
abbandonassero, si potrebbe profilare un altro governo, non più a
trazione ultra-ortodossa.
Fin qui le previsioni della Hecht, che riecheggiano la crescente irritazione del
Paese verso Netanyahu, alla quale si aggiunge il dissidio latente
creatosi con l’amministrazione Biden, che insiste sulla necessità di
agire con attacchi chirurgici e non massivi contro Gaza.
Se riferiamo gli interna corporis di Israele, apparentemente
secondari rispetto alla mattanza della Striscia, è perché lasciare che
la risposta agli attacchi del 7 ottobre sia guidata da un leader che
lotta per la sua sopravvivenza politica e che quindi potrebbe modulare
guerra secondo tale necessità – come peraltro ha fatto in passato – è
molto pericoloso, sia per gli antagonisti di Israele che per la stessa
Israele, nonché per il mondo (visto che siamo in tema biblico, è da
presumere che Bibi conosca anche il passo riguardante
l’l’auto-immolazione di Sansone pur di eliminare tutti i filistei).
Ma la comparazione tra Amalek e Hamas non è solo una consegna alle
pulsioni messianiche che attraversano Israele, è anche altro e più
inquietante, dal momento che destina Gaza allo sterminio.
Al di là della pretesa di parlare a nome di Dio come ebbe a fare
Samuele (pretesa che appare alquanto eccessiva), resta che, in tale
chiave, l’attacco a Gaza non ha più i connotati di un’operazione volta a
eliminare una minaccia o a ricostruire una deterrenza, ma è tutt’altro.
Così al fondamentalismo di Hamas si contrappone quello del messianesimo ebraico (pure oggetto di accese critiche all’interno
dell’ebraismo). Peraltro, anche l’evocazione di una lotta tra luce e
tenebre appare alquanto eccessiva. Sul punto vale il detto: troppa luce
acceca.
Tornare all’Asse del Male
Fin qui la guerra di Gaza. Ma nelle parole di Netanyahu c’è anche
altro. Rievocare l’Asse del Male, banalizzazione posta a fondamento
delle guerre infinite post 11 settembre che tanti danni hanno arrecato
al mondo, intende riportare indietro le lancette dell’orologio, far
ripiombare il mondo in quell’incubo, in particolare per
l’identificazione dell’Asse maligno in questione, che da Hezbollah porta
all’Iran.
Da sempre Netanyahu ha una vera e propria ossessione per l’Iran,
che ha avuto il suo focus nel denunciare in maniera martellante veri o
presunti passi di Teheran verso la bomba atomica. Ne scriveva Yossi
Verter su Haaretz nel
2018 ed era notorio che tale ossessione mirava ad arrivare a una guerra
con Teheran, che ovviamente coinvolgesse gli americani.
Così iniziava un articolo di Bradley Burston su Haaretz del novembre del 2017: “Benjamin Netanyahu ha bisogno di una guerra. Ha bisogno che sia con l’Iran. E ne ha bisogno presto”.
“Netanyahu ha bisogno di una guerra perché è disperato e quindi una
guerra potrebbe rispondere a due dei suoi bisogni più immediati: in
primo luogo, creerebbe una distrazione generale e posticiperebbe
[problematiche per lui critiche] e, in secondo luogo, se la guerra
dovesse avere successo anche se coincidesse con la fine della sua
carriera, resta l’unica cosa che il primo ministro desidera di più in
questa vita: lasciare un’eredità”.
Cenni che appaiono di stretta attualità. Più procede, più dura, la
mattanza di Gaza e più il rischio che altri attori entrino in campo è
alto. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, finora silente, ha annunciato
che parlerà venerdì prossimo. Non è di buon auspicio.
Il rischio genocidio
A mietere vite a Gaza non sono solo le bombe, che nel frattempo hanno
fatto oltre 8mila vittime di cui più di 3mila bambini (vendetta portata
a compimento), ma il tiro al bersaglio sugli ospedali, le strade
intasate di rovine che impediscono ai soccorsi di giungere in tempo, la
mancanza di cibo, acqua potabile, medicine (vedi Haaretz: “Allarmanti e catastrofici: ecco come erano gli aiuti a Gaza prima della guerra – e adesso”).
“Moriremo in questa guerra, moriremo tutti, ma non sappiamo quando”, così una testimonianza da Gaza riferita in un articolo di The Intercept da leggere.
Concludiamo riportando un articolo di Consortiumnews:
“Sebbene la questione del genocidio non sia ancora emersa nella
politica internazionale relativa alla questione palestinese, ora ci sono
buone ragioni per aspettarsi che nei prossimi mesi verrà sollevata sia
dai governi arabi che dalle organizzazioni per i diritti umani”.
“Questo è certamente il momento storico per portare avanti la causa
contro il genocidio di Israele come richiesto dalla stessa Convenzione
sul Genocidio.Il requisito legale per tale accusa non è provare l’omicidio di massa di milioni di persone come fu compiuto da Hitler”.
“È sufficiente dimostrare che
uno Stato ha ‘l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso’. cosa che sta avvenendo” e
‘deliberatamente infliggere al gruppo condizioni di vita intese a
provocarne la distruzione fisica totale o parziale‘. La guerra
imposta alla popolazione di Gaza da Israele rientra ovviamente in queste
due disposizioni cruciali della convenzione”. Di tale genocidio,
conclude Consortiumnes, saranno complici gli americani.
A qualche lettore apparirà
estremo, ma se Gaza rischia di essere rasa al suolo insieme ai suoi
abitanti, Israele si sta consegnando a un marchio di infamia che lo
perseguiterà negli anni a venire. La Nabka sconvolse solo gli arabi,
quel che sta accadendo a Gaza si sta consumando sotto i riflettori
dell’opinione pubblica internazionale. Oscurare le comunicazioni non
basterà a nasconderlo.
Porre un freno alla mattanza non è
solo una questione umanitaria, pur basilare, ma è anche nell’interesse
del mondo e della stessa Israele, come ben sa anche l’ambito più lucido
dell’ebraismo, in Israele e altrove.
Testimonianze – tutte di parte israeliana, affermano che gli elicotteri e poi i tank intervenuti hanno aperto il fuoco praticamente su tutto ciò che si muoveva falciando insieme ai guerriglieri di Hamas anche gli ostaggi, i civili, coloni e militari israeliani. Pare che una tale mattanza si riferisca alla cosidddeta Direttiva Annibale che stabilisce qualora vengano catturati degli israeliani, e non c’è possibilità immediata di liberarli – l’esercito deve uccidere tutti, sequestrati e sequestratori, per impedire successive trattative per liberare gli ostaggi.Questo spiega l'elevato numero di morti tra gli israeliani, si sono uccisi tra di loro. I numerosi cadaveri carbomizzati sono certamente vittime delle armi pesanti israeliane. Hamas questa operazione l'ha preparata da anni e non si presterà a giocare l di fuori delle tattiche predisposte, semmai sarà l'IDF ad adattarsi. Claudio
Una analisi politica e militare
dell’operazione al-Aqsa Flood, condotta dalle resistenza palestinese,
che non solo rimette al centro la Palestina, ma ricolloca il baricentro
dello scontro globale in atto, riportandolo in Medio Oriente – regione
fondamentale non solo per il petrolio, ma per la sua collocazione
geopolitica e la sua storia. È qui, allo snodo del continente
euroasiatico e del Mediterraneo, dove si incrociano culture (ed
interessi) diversi, che si gioca il nuovo match.
Credevamo – a ragione – che il conflitto ucraino rappresentasse un
punto di svolta importante, forse decisivo, nel processo di
trasformazione geopolitica globale, che sta transitando il mondo verso
un’era multipolare. Ne avevamo colto sia, appunto, il fatto che segnasse
un giro di boa, sia come fungesse allo stesso tempo da
acceleratore del processo che portava alla luce. Una accelerazione
riscontrabile – ad esempio – negli avvenimenti che hanno attraversato
l’Africa sub-sahariana, o nella crescente saldatura tra i grandi nemici
dell’impero americano, Russia Cina Iran e Corea del Nord – che invece il
disegno strategico di Washington voleva dividere e colpire
separatamente.
Ma quanto accaduto il 7 ottobre ha segnato una scossa ancora più
forte, più profonda. E che l’attacco sferrato dalle Brigate al-Qassam
contro l’occupante israeliano sia un momento importante dello scontro in
atto, è testimoniato proprio dalla portata delle reazioni. L’Ucraina,
già data comunque per sconfitta, è stata prontamente relegata nel
dimenticatoio, gli Stati Uniti si sono immediatamente mobilitati – con
una poderosa dimostrazione di potenza – nel sostenere in prima persona
l’alleato strategico nel Medio Oriente, e in occidente è scattata ancor
più forte e stringente che mai la negazione-repressione del dissenso. La
posta in gioco è alta. C’è sicuramente una componente di rabbia,
nella reazione israelo-americana, per l’essersi fatti cogliere a braghe
calate da un nemico cui non si dava grande credito. Ma più di ogni cosa
brucia la consapevolezza che, dopo la sconfitta di fatto subita in
Ucraina contro la Russia, subirne un’altra in un’area strategica come il
Medio Oriente, e per di più da parte di un nemico minore come l’Iran, risulta inaccettabile.
Ovviamente la sconfitta di cui si parla non è quella militare – di
cui vedremo più avanti – ma quella politica. Con la sua mossa, Hamas ha
fatto saltare gli Accordi di Abramo, con cui gli USA cercavano da tempo
di ricomporre un quadro di non-ostilità verso Israele da parte dei paesi
arabi della regione. E che soprattutto miravano a riequilibrare i
mutamenti dovuti al riavvicinamento tra Iran ed Arabia Saudita, ed alla
riammissione della Siria nella Lega Araba – due fatti decisamente
negativi per l’impero statunitense. Ha inoltre riportato alla ribalta
internazionale la questione palestinese, che Washington e Tel Aviv da
tempo cercano di mantenere in sordina. E, niente affatto
secondariamente, ha distrutto il mito dell’invincibilità israeliana, e
rimobilitato le masse arabe e musulmane, che sulla questione palestinese
sono molto più radicali dei loro governi. Questo insieme di
cose ha dato una scossa poderosa all’intero Medio Oriente, i cui effetti
si vedranno nei mesi a venire.
Cosa non certo meno importante, la necessità di dirottare prontamente
aiuti economici e militari verso Israele, ha di fatto velocizzato il
processo di disimpegno – su entrambe i piani – nei confronti
dell’Ucraina, cosa che non mancherà di avvantaggiare la Russia sul campo
di battaglia, dove peraltro ha ripreso l’iniziativa offensiva quasi
ovunque. Ma la questione cruciale è che adesso gli Stati Uniti sono
stati costretti a fare ben oltre un singolo passo in più, ed ora si
trovano sbilanciati in avanti sull’orlo di un abisso imperscrutabile. Una crisi in Medio Oriente, infatti, è l’ultima cosa di cui Washington aveva bisogno. Sul
piano interno, perché – se pure una guerra in difesa di Israele ha
maggiore consenso di quella ucraina – andare incontro alla lunga
stagione elettorale per le presidenziali, avendo ben due conflitti sulle
spalle, non è esattamente il viatico migliore per Biden ed i democrat.
Ancora peggio sul piano internazionale. La paziente ricucitura messa
in piedi tra Arabia Saudita ed Israele, e più in generale tra questo ed i
paesi arabi (i suddetti Accordi di Abramo), è andata in fumo in men che
non si dica. Nei paesi musulmani è riemerso con forza il sentimento
anti-USA (visti giustamente come padrini di Israele). Le
tensioni nell’area rischiano di far compiere un ulteriore balzo al costo
del petrolio, cosa che metterebbe in ulteriore difficoltà e
fibrillazione più di un alleato [1]. E, cosa più pericolosa di tutte,
si ritrova a dover muovere le (poche) pedine di cui dispone in uno
scacchiere esplosivo, ed in cui, comunque si muove, rischia di
sbagliare. Deve infatti ad un tempo sostenere l’alleato irrinunciabile,
cercando di tenerne a freno le pericolose irrequietezze, e
mostrare la propria fermezza nel presidiare l’area. Ma evitando
accuratamente che le cose deflagrino, trascinando gli Stati Uniti in una
guerra i cui esiti sono del tutto imprevedibili, e che oltretutto può
divampare a dimensioni fin troppo pericolose.
Questo il quadro geopolitico in cui si colloca l’azione delle Brigate al-Qassam – ma non solo. Proviamo quindi, adesso, ad esaminare più nello specifico quello che è accaduto il 7 ottobre e nei giorni seguenti. La
prima cosa da chiarire, è che questa operazione della resistenza
palestinese non ha visto in azione soltanto al-Qassam (ala militare di
Hamas). Questa narrazione è perfettamente funzionale alla costruzione,
da parte israelo-americana, di una contrapposizione dualistica: i terroristi di
Hamas contro la democrazia di Israele (né più né meno che lo stesso
schema usato per la guerra ucraina, basta cambiare i nomi degli
attori…). In realtà, l’operazione ha visto scendere in campo le
formazioni militari di più movimenti della resistenza palestinese, come
si evince chiaramente da un documento congiunto diffuso nei giorni
seguenti. Oltre ad Hamas, hanno partecipato la Jihad Islamica
Palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, il
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina ed il Fronte
Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale.
È stata quindi una operazione militare delle resistenza palestinese
in senso ampio, e questo dovrebbe far riflettere tutti coloro che si
sono precipitati a solidarizzare ma prendendo le distanze da Hamas… Quello che sappiamo, a tre settimane dall’attacco, è ovviamente ancora parziale, ed alcune cose possiamo soltanto ipotizzarle. Al
primo punto, procedendo cronologicamente, c’è ovviamente la
pianificazione. Da quanto si apprende, l’elaborazione del piano, e la
predisposizione della logistica necessaria a portarlo a termine, ha
richiesto circa due anni. Nel settembre 2011, gli USA annunciano la
firma degli Accordi di Abramo, un patto trilaterale tra Stati Uniti,
Israele e Bahrein, che rilancia il processo di normalizzazione dei
rapporti tra paesi arabi ed Israele. Obiettivo dichiarato degli Accordi
è di estenderli quanto prima all’Arabia Saudita, paese-leader del mondo
sunnita. L’articolazione degli accordi è tale da mettere praticamente
una pietra tombale sulla prospettiva di uno stato palestinese. Evidentemente, a questo punto si apre un dibattito tra le forze della resistenza, per capire come fermarne il processo.
All’incirca un anno dopo, comincia evidentemente a prendere forma
quello su cui le varie forze hanno concordato, ovvero la necessità di
sferrare un colpo capace di frantumare la prospettiva delineata dagli
accordi [2]. La pianificazione ovviamente non riguarda soltanto
l’attacco in sé, ma anche la predisposizione di quanto occorre per
fronteggiare il dopo. La prima misura presa, e questo oggi lo
sappiamo, è stata la creazione di una rete di comunicazione cablata
chiusa, cioè non connessa ad alcuna rete telefonica pubblica, da
utilizzare per le comunicazioni. Questo – insieme al non utilizzo di
internet – ha consentito di tenere rigorosamente nascosto quanto si
stava realizzando. È ragionevole ritenere (ed alcuni elementi lo
confermano) che le stesse leadership politiche delle organizzazioni
coinvolte fossero tenute all’oscuro degli sviluppi organizzativi.
Sviluppi che hanno richiesto certamente la messa in opera di una serie
di provvedimenti.
Innanzi tutto, è stato necessario tessere una rete di contatti
operativi al di fuori della resistenza palestinese. Sappiamo per certo
che in Libano è stata stabilita una sorta di centrale di coordinamento,
che mette insieme responsabili militari delle varie forze palestinesi,
oltre a quelli di Hezbollah e dei gruppi consimili in Iraq. Ed è chiaro
che, soprattutto Hezbollah, è stata importantissima nel fornire armi,
addestramento ed esperienza. Addestramento che, date le condizioni di
sostanziale isolamento di Gaza, è presumibile che sia avvenuto
soprattutto all’interno della Striscia, e quindi in condizioni di
estrema difficoltà (visto che Israele la monitora costantemente sotto
ogni aspetto). Proprio a seguito dell’inizio degli scontri con l’IDF
ai confini della Striscia, abbiamo avuto certezza che al-Qassam dispone
dei missili anticarro Kornet, che Hezbollah utilizza da tempo. La
seconda misura è certamente stata la predisposizione di nuovi tunnel,
sia come deposito di armi e munizioni (ma anche scorte di cibo, acqua,
materiali di primo soccorso…), sia come rifugi per i combattenti, sia
come vie per lo spostamento delle unità, sia infine per superare le
recinzioni che separano Gaza da Israele.
Questa è stata probabilmente la parte più impegnativa, poiché è stato
necessario farlo nella massima segretezza, sapendo che i servizi
segreti israeliani controllano tutto ciò che avviene nella Striscia, e
certamente dispongono anche di numerose spie tra la popolazione. Fondamentalmente,
quindi, i problemi da superare sono stati: l’accumulo di scorte, senza
che si notasse l’aumento delle importazioni di cibo; lo smaltimento dei
materiali di risulta degli scavi; le operazioni di scavo stesse;
l’evitare variazioni evidenti nel consumo di energia elettrica… Si
deve tenere presente che parliamo di una rete estremamente vasta (si
ritiene estesa per circa 500 km), con ambienti ampi e strade
percorribili anche con mezzi motorizzati, spesso su più livelli, ed a
profondità variabile tra i 20 ed i 100 metri. Ovviamente gran parte
di questa rete era preesistente, ma di sicuro è stato necessario
ampliarla in base alle esigenze del piano, così come è stato necessario
accumulare grandi scorte per fronteggiare il prevedibile assedio che
inevitabilmente sarebbe seguito all’attacco.
Una volta predisposte le misure necessarie – addestramento,
logistica, selezione delle unità da impegnare e loro preparazione – è
stato necessario predisporre anche le misure esterne, per consentire il successo dell’operazione. E ciò, fondamentalmente, significava essere in grado di superare le mura della prigione, e possibilmente cogliere impreparate le forze israeliane al di là della barriera. Quello
che sappiamo al riguardo è che le guarnigioni di confine (appartenenti
alla Divisione ‘Gaza’ dell’IDF) erano assolutamente rilassate, poiché da
tempo non c’erano particolari problemi, né c’erano stati preallarmi da
parte dei servizi d’informazione. Inoltre, nei giorni precedenti
l’attacco, una parte delle truppe era stata spostata da sud al confine
con la Cisgiordania, dove invece si era registrato un aumento della
tensione. Possiamo presumere che ciò sia stato organizzato proprio dalla
resistenza, che in tal modo ha distratto parte delle forze di pronta
reazione dal fronte di Gaza.
Sappiamo inoltre che la penetrazione oltre confine è avvenuta almeno
in duplice modalità. In parte, superando il muro di recinzione con dei
tunnel scavati ben oltre la capacità di rilevamento dei sensori disposti
dagli israeliani (si parla di tunnel a 70 metri di profondità), ed in
parte disattivando con piccoli droni sia le telecamere di sorveglianza
che le torrette con le mitragliatrici automatiche collegate alle
telecamere. Laddove necessario, la recinzione è stata abbattuta con
bulldozer. Una cosa importante da tenere a mente, anche per
sottolineare la natura militare dell’operazione, è che i combattenti
penetrati nei territori occupati da Israele erano in divisa, e ad un
certo punto è stata persino effettuata una rotazione delle unità
impegnate in combattimento.Ciò per sottolineare, ancora una volta, che
non si è trattato di un attacco terroristico, come è stato presentato dalla stampa occidentale.
L’operazione, scattata alle prime luci dell’alba per cogliere di
sorpresa le guarnigioni militari, aveva come obiettivo sia le caserme
dell’IDF che i kibbutz dei coloni. Sappiamo sin dal primo momento,
grazie al materiale video prodotto, che i combattenti palestinesi hanno
immediatamente occupato la caserma al posto di valico di Eretz (nord
della Striscia) ad almeno un altro insediamento militare, dove si
trovavano numerosi mezzi corazzati, tra cui alcuni carri Merkava.
Inoltre, mentre partiva un massiccio lancio di razzi verso le città
israeliane, alcune unità si sono spinte in profondità, sia verso nord
che verso est, e ad un certo punto erano avanzate talmente tanto che
mancavano pochi chilometri per raggiungere la Cisgiordania. L’effetto
sorpresa (che in una guerra moderna, in cui le capacità di sorveglianza
sono elevatissime, è quasi impossibile) è stato semplicemente totale. E
con ogni probabilità ciò è stato dovuto (e poi amplificato) anche dalla
convinzione che questi goyam (letteralmente: animale,
sub-umano) palestinesi non potessero fare altro che lanciare di tanto in
tanto i loro razzetti fatti in casa [3].
A questo punto, occorre valutare quali fossero gli obiettivi militari dell’operazione. E si sottolinea militari, perché quelli politici (ovviamente assai più importanti) sono già stati chiariti. Appare
evidente che l’operazione non poteva che avere obiettivi limitati,
nello spazio e nel tempo. Essenzialmente, quindi, doveva infliggere un
colpo quanto più duro possibile alle forze israeliane, e quindi
ripiegare su Gaza. Al tempo stesso, dovevano essere catturati quanti più
possibili militari e civili, in funzione di un successivo scambio con i
quasi 8.000 prigionieri palestinesi. Questo obiettivo – la cattura
di prigionieri – è chiaramente sempre stato di massima rilevanza, così
come è chiaro che quanto maggiore ne fosse stato il numero, tanto più
sarebbe stata un leva potente nelle successive trattative di scambio. A
tal proposito, abbiamo come riferimento la registrazione video
dell’interrogatorio di un combattente palestinese catturato, il quale
afferma che gli ordini prevedevano l’uccisione solo dei civili maschi in
età di servizio militare. È importante sottolineare questo aspetto
poiché, tenuto conto che stiamo comunque parlando di una operazione di
guerra, che ovviamente prevede scontri a fuoco col nemico, serve a
comprendere quale fosse l’interesse prevalente.
Una delle cose che sappiamo, è il numero di morti israeliani
comunicato dal governo di Tel Aviv. Già pochi giorni dopo è stata
diffusa una cifra elevata, che poi è via via aumentata, stabilizzandosi
infine a 1.400. Di questi, circa il 25% sarebbero militari dell’IDF. Se
questa cifra fosse attendibile (e vedremo perché non lo è, ed in che
misura), ne conseguirebbe che circa 350 soldati israeliani sono stati
uccisi nel corso degli scontri, e che ben più di mille civili sarebbero
stati assassinati. Una cosa che contraddice quanto abbiamo considerato prima. Ma, riguardo a questo gran numero di morti dichiarati, c’è più di una perplessità. La
prima è che, ad oltre tre settimane dai fatti, Tel Aviv ha comunicato i
nominativi di circa la metà (meno di 700). E sinceramente appare assai
difficile credere che, in oltre venti giorni, non sia stato ancora
possibile identificare un così gran numero di persone. Se si tratta di
militari, infatti, questi sono indubitabilmente identificabili dalla
targhetta metallica che portano al collo (esattamente per questo scopo) .
Se si tratta di civili uccisi per strada, molto probabilmente avevano
con sé i documenti; se sono stati uccisi in casa, sono quasi sicuramente
gli abitanti. Ed in ogni caso, in un modo o nell’altro, questo lasso di
tempo sarebbe più che sufficiente per identificarli tutti, non solo la
metà.
Ma dietro questo numero – che appare sproporzionato sia agli
obiettivi dell’azione militare, sia al suo svolgimento, sia appunto per
la mancata identificazione – c’è con ogni probabilità ben altro. Un’altra
delle cose che oggi sappiamo con certezza, è che la reazione militare
israeliana all’attacco non è stata soltanto (in parte) un po’ tardiva,
ma che soprattutto è stata indiscriminata. Ci sono numerose
testimonianze, sia di sopravvissuti sia – come vedremo – di militari,
dalle quali emerge con chiarezza che numerose vittime militari e civili
sono state fatte dall’IDF stesso. Le ragioni di ciò risiedono in un
insieme di fattori. Dalle testimonianze – tutte di parte israeliana –
emerge che le forze dell’IDF intervenute erano costituite dapprima da
squadre di elicotteri da combattimento, e quindi successivamente da
unità corazzate. Ad esempio, quando i combattenti palestinesi hanno
attaccato il valico di Eretz – dove si trovavano numerosi militari ed
impiegati del ministero della difesa – una parte dei militari,
sopravvissuti al primo scontro a fuoco, si sono rifugiati nella sala di
guerra sotterranea, e da lì hanno lanciato l’allarme. Quando sono
arrivati gli elicotteri, hanno semplicemente aperto il fuoco sulla
caserma, radendola al suolo. Ciò sia nell’intento di impedire ai
guerriglieri di entrare in territorio israeliano (occupato), sia in virtù di una precisa disposizione.
Ugualmente, sia i piloti che numerosi testimoni civili, hanno
confermato che gli elicotteri e poi i tank hanno aperto il fuoco
praticamente su tutto ciò che si muoveva, distruggendo auto in
movimento, gruppi di persone in corsa, ed anche abitazioni dove si
sospettava fossero presenti gli uomini di al-Qassam. I militari
coinvolti hanno poi dichiarato di essersi trovati in condizioni di
urgenza, senza una precisa capacità di distinguere miliziani e civili, e
che in quella situazione hanno quindi scelto di aprire il fuoco sempre.
Sicuramente, al di là delle giustificazioni ex-post, va aggiunto che
l’intera catena di comando israeliano era in quei momenti nella
confusione più totale, e probabilmente anche nel panico, e che questa
sensazione di pericolo – amplificato ed imminente – si è trasmessa ai
militari inviati in prima linea. Va però tenuto presente un altro elemento, per certi versi illuminante, ovvero la cosiddetta Direttiva Annibale.
Si tratta di una procedura militare istituita nel 1986, a seguito di
uno scambio di prigionieri (3 soldati israeliani per 1.150 prigionieri
palestinesi). Questa direttiva segreta, emanata al fine di evitare il
ripetersi di situazioni simili, stabilisce sostanzialmente che – qualora
vengano catturati degli israeliani, e non c’è possibilità immediata di
liberarli – l’esercito deve uccidere tutti, sequestrati e sequestratori [5].
Questo serve a spiegare sia l’elevato numero di morti israeliani
durante la fase attiva dell’attacco palestinese, sia l’evidente
indifferenza con cui Tsahal bombarda la Striscia, nonostante la presenza di oltre duecento civili e militari israeliani. Ovviamente,
allo stato attuale è impossibile stabilire con certezza se quel numero
fornito (1.400) sia gonfiato o meno, così come quante siano le vittime
di fuoco amico. Di sicuro sono in numero elevato, proprio per
il tipo di armi utilizzate. Mentre i combattenti palestinesi infatti
utilizzavano soltanto armi leggere e spalleggiabili (gli RPG al-Yassin anticarro),
l’IDF sparava coi cannoni dei carri Merkava e con i missili degli
elicotteri. Tutti i cadaveri carbonizzati, che sono stati mostrati, sono
certamente riconducibili all’esplosione dei missili Hellfire. Anche rispetto alla questione del festival rave,
le cose stanno diversamente da quanto raccontato ai media. Innanzi
tutto, come si vede dai video pubblicati, quando sono arrivati i
combattenti palestinesi con i deltaplani erano presenti guardie di
sicurezza armate ed in divisa, per cui è presumibile ci sia stato un
primo scontro a fuoco con queste. Dai testimoni sappiamo che molti
ragazzi sono fuggiti verso il vicino kibbutz di Be’eri, dove poi sono
stati raggiunti dagli uomini di al-Qassam, che li hanno catturati.
Quando poi sono giunte le forze IDF, come raccontato alla radio
israeliana da una dei partecipanti al rave, queste “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi perché c’era un fuoco incrociato molto, molto pesante” [6].
Sempre in merito alla questione dei morti israeliani, ci sono ancora altri elementi da considerare. Uno di questi, sicuramente alquanto ruvido,
è ricollegabile a quanto riportato prima, relativamente all’ordine di
uccidere i civili maschi. Si deve infatti tener presente che tutta
l’operazione palestinese, a parte i lanci di razzi, si è svolta
nell’ambito di territori occupati. Col termine territori
occupati si intende precisamente riferirsi a delle porzioni di
territorio che Israele ha occupato in seguito a guerre con i paesi
vicini, e che in base al diritto internazionale – nonché a numerose
risoluzioni dell’ONU – non solo avrebbero dovuto essere restituite da
tempo, ma che non possono essere annesse né tantomeno vi si possono
insediare abitanti del paese occupante. In termini di diritto
internazionale, quindi, quella che si svolge in Palestina è una guerra
di liberazione. Nello specifico, i coloni che abitano nei kibbutz,
nei villaggi e nelle città edificate nei territori occupati, non
soltanto vi si trovano in violazione delle leggi internazionali, ma sono
a tutti gli effetti parte del sistema di occupazione.
Oltretutto, i settler sono anche la base elettorale delle
forze dell’estrema destra sionista più radicale, e sono costantemente
impegnati nella persecuzione dei loro vicini arabi. Solo in queste
ultime tre settimane, ad esempio, i coloni hanno attaccato i palestinesi
in più di 100 incidenti, in almeno 62 città e villaggi della
Cisgiordania, a volte accompagnati da soldati.Sono quindi forze di
occupazione. E la decisione di uccidere i coloni maschi, seppure
ovviamente contraria al diritto di guerra, trova la sua ratio nella volontà di terrorizzare i settler,
e spingerli ad abbandonare le terre occupate illegittimamente. Una
cosa, questa, che peraltro i palestinesi hanno appreso proprio dagli
israeliani, che fanno esattamente ciò dal 1948. E per quanto suoni
sgradevole, se semini vento per settantacinque anni, prima o poi
raccogli tempesta. Non a caso, l’operazione militare si denominava al-Aqsa Flood.
Un elemento importante da sottolineare, anche perché peserà non poco
sugli avvenimenti successivi ed ancora in corso, è l’impatto che
l’attacco palestinese ha avuto sulle forze politiche israeliane, sulle
forze armate, e sulla popolazione. Come già detto, la sorpresa non è
stata solo tattica – la capacità militare di cogliere alla sprovvista le
difese israeliane – ma strategica: semplicemente i vertici
politico-militari di Israele non concepivano nemmeno che la resistenza
palestinese potesse realizzare qualcosa del genere. Di conseguenza,
quando è accaduto, si è generato il caos. Al caos ha fatto seguito il
panico, e poi la rabbia. Ovviamente sono tutti consapevoli che
saranno ritenuti responsabili di questa impreparazione. E ciò non fa che
aumentare la rabbia, il desiderio di vendetta – quasi che questa
potesse cancellare gli errori fatti. Mentre tutto sommato la società
israeliana ha in buona parte reagito bene, nonostante lo shock,
parlando apertamente sia delle responsabilità interne, sia della realtà
degli accadimenti, la reazione di politici e militari è stata di ben
altra natura.
Il governo, già consapevole di avere contro una fetta importante del paese, e di non essere particolarmente simpatico all’alleato
americano, ha compreso immediatamente come questo evento rivoluzionasse
completamente il quadro politico, interno ed internazionale.
Ovviamente, la sua componente più estremista ha reagito mostrando senza
remore la propria arabofobia, e mettendo in luce i propri sogni di pogrom.
Ma Netanyahu, da politico navigatissimo, ha capito anche la delicatezza
del momento. Paradossalmente, da uomo simbolo del radicalismo sionista
contemporaneo, ha in effetti agito con prudenza, avendo chiaro da subito
che il coinvolgimento (e quindi l’approvazione) degli USA è essenziale.
Atteggiamento questo che lo ha portato ad entrare in frizione con i
vertici militari, che invece scalpitano dalla voglia di vendicare l’onta subita. Oltretutto,
gli alti ufficiali israeliani sanno bene che – prima o poi – saranno
chiamati a rispondere non solo della mancata previsione dell’attacco, e
della risposta tardiva, ma anche delle numerose morti israeliane dovute
al caotico svolgersi di questa. E cercano quindi, in una ordalia di
sangue, di emendarsene per quanto possibile.
Evidentemente, quella che si è aperta con il 7 ottobre è una finestra
di opportunità. Riportare drammaticamente al centro del dibattito
mondiale la questione palestinese, significa concretamente rintuzzare i
tentativi di seppellirla, e rilanciare le possibilità di fare dei passi
avanti. Possibilità che sono legate anche al fatto che la tempesta scatenata dalla resistenza ha messo a nudo la debolezza di Israele. Il
quale però è adesso un animale ferito, che non solo sta reagendo con
rabbia e ferocia, ma si trova ad un tornante impegnativo della propria
storia; insistere a perseguire la via dell’apartheid e dell’occupazione,
spinge sempre più il paese verso l’isolamento e – forse – la
distruzione, ma imboccare la via che conduce alla fine dell’occupazione è
altrettanto impervio, e potrebbe portare all’implosione di Israele.
Rinviare questa scelta è stato possibile sinché il mondo era comunque
dominato dalle potenze occidentali, che ne hanno resa possibile la
nascita, e che ne hanno garantito la sopravvivenza. Ma il mondo non è
più lo stesso. E così come la rabbia e la ferocia che imperversano su
Gaza tradiscono la consapevolezza che quell’era è tramontata,
altrettanto fanno le squadre navali americane fatte accorrere in fretta e
furia.
Il senso profondo del 7 ottobre 2023 (una data che resterà nei libri
di storia) è che gli arabi – non solo i palestinesi – hanno alzato la
testa. Questo è il significato di ciò che accade al confine libanese, in
Siria, in Iraq. Nell’immediato, Israele non ha altra alternativa che
attaccare. È la mossa sbagliata, strategicamente parlando, ma non può
fare altro, non può farne a meno. In qualche modo, dovrà andare oltre i
bombardamenti dall’aria. Dovrà, come si dice, mettere boots on the ground.
E “Hamas ha preparato il campo di battaglia. Il campo di battaglia è
esattamente quello che Hamas vuole che sia, si sono addestrati per
questo, sono pronti per questo. Israele invece ha mobilitato 300.000
riservisti che non sono stati addestrati a questo scopo, che non sono
motivati a fare una battaglia come questa” [7]. Da quanto riusciranno a
calibrare l’operazione di terra, dipende non solo se il conflitto si
estenderà o meno, ma anche come ne uscirà Israele. E, in fondo, con lui
l’intero occidente. Il nocciolo della questione è molto semplice: “Il
sionismo politico deve essere sconfitto. Deve essere sconfitto
politicamente e deve essere sconfitto militarmente” [8].
Siamo tutti seduti su un barile di esplosivo (oltre che di
petrolio…), e basta una mossa falsa a far sì che quella finestra si
spalanchi sull’abisso. Se la guerra in Ucraina ha fatto temere a
qualcuno che ci stessimo avvicinando ad una deflagrazione ben maggiore,
una guerra regionale in Medio Oriente condurrebbe quasi sicuramente ad
un confronto totale tra le superpotenze. Gli attori in gioco sono tanti, e ciascuno è anche portatore di interessi specifici – non ci sono semplicemente due fronti – il che rende estremamente complessa la partita. Per il momento, ci saranno (nella auspicabile ipotesi che nulla vada oltre)
mesi e mesi di tensioni, di guerra ad intensità più o meno limitata.
Poi, passata la tempesta, si aprirà la strada verso l’inevitabile
ridisegno strategico dell’intera regione. E noi europei dovremo capire
quanto sia più importante Gerusalemme di Kiev.
1 – Uno dei problemi enormi che implicherebbe un conflitto esteso,
anche solo parzialmente, all’Iran, è che questo potrebbe agilmente
bloccare lo stretto di Hormuz. Come sottolinea l’analista Pepe Escobar (“Iran-Russia set a western trap in Palestine”, the Cradle), “Il
cuore della questione in ogni strategia russo-iraniana è lo Stretto di
Hormuz, attraverso il quale transita almeno il 20% del petrolio mondiale
(quasi 17 milioni di barili al giorno) più il 18% del gas naturale
liquefatto (GNL), che ammonta ad almeno 3,5 miliardi di piedi cubi al
giorno”. 2 – Ciò che doveva essere fatto era un’operazione
militare di tale portata e scala da cambiare l’intero paradigma in Medio
Oriente. E questo è quello che è successo”, intervista all’analista americano Scott Ritter sul canale ‘Dialogue Works’. 3
– Per quanto riguarda il disprezzo e l’odio verso gli arabi che nutrono
molti israeliani, basti ricordare le dichiarazioni di alti esponenti
governativi e diplomatici, dal Ministro della Difesa al rappresentante
presso l’ONU, Gilad Erdan, un fanatico estremista che – parlando
all’Assemblea Generale – urlava “stiamo combattendo animali”. Secondo
numerosi video, registrati dagli israeliani stessi, li si vede mentre
profanavano i cadaveri degli uomini di Hamas uccisi dalle forze di
sicurezza, spogliandoli nudi, urinando su di loro e mutilandone i corpi. 4 – Secondo quanto riportato da Max Blumenthal (“October 7 testimonies reveal Israel’s military ‘shelling’ Israeli citizens with tanks, missiles”, theGreyzone), “almeno
340 soldati attivi e ufficiali dell’intelligence sono stati uccisi il 7
ottobre, rappresentando quasi il 50% delle morti israeliane confermate.
Tra le vittime figuravano ufficiali di alto rango come il colonnello
Jonathan Steinberg, comandante della Brigata Nahal israelian”. 5
– Sul tema, di fondamentale importanza il già citato articolo di
Blumenthal, ricco di riferimenti alla stampa israeliana; un vero e
proprio report sulla questione. 6 – Cfr. Max Blumenthal, ibidem 7 – Cfr. intervista a Scott Ritter su ‘Dialogue Works’. 8 – Cfr. intervista a Scott Ritter, ibidem