Lo psicologo Luigi Sorrentino: "Neuromarketing e necrofilia. Così i media manipolano il nostro inconscio"
di Giulia Bertotto
Il dottor Luigi Sorrentino, psicologo e psicoterapeuta di formazione strategica, collabora con L’AntiDiplomatico da dieci anni ed è infatti con la Casa Editrice LAD EDIZIONI che ha pubblicato il suo saggio “Il Codice della narrazione globale. La soggettività dell’uomo nell’era dello storytelling” (2023).
Il problema che Sorrentino denuncia con efficacia è la deriva del branded content, sponsorizzazioni ingannevoli che occultano il prodotto ed esaltano il coinvolgimento emotivo, in un processo di profondissima sinapsi-manipolazione che agisce sull’inconscio come denuncia anche il filosofo coreano B. C. Han nel suo Infocrazia. Se queste tecniche pubblicitarie vengono estese alla politica, spiega Sorrentino, abbiamo la propaganda; ma esse si spingono ancora oltre, fino ad orientare lo stile di vita comportando il condizionamento di aspetti molto personali come la sessualità, l’educazione dei figli, la salute e le terapie scelte, la dieta...per mezzo della comunicazione deliberatamente ammalata, della demonizzazione del dissenso, della perdita del mito, del sequestro del futuro. L’azione distruttiva di questo neuro-marketing, colpisce soprattutto i giovani, i “nativi digitali”. Coloro che più consumano, coloro che più sono vulnerabili perché alla ricerca di sé stessi.
Psicologia del marketing, psicologia sociale e psicologia profonda si intrecciano in maniera armoniosa in questo saggio agile ma ricco: archetipi senza tempo e meccanismi attualissimi trattati in maniera semplice ma non banale.
L'INTERVISTA
Dottor Sorrentino, lei
recupera la relazione freudiana tra narcisismo patologico, nostalgia
(non quell’emozione romantica, necessaria alla memoria e
all’appartenenza, ma morbosa che blocca il processo di costruzione del
futuro e di elaborazione del lutto) e necrofilia. La Triade delle tre
N., nostalgia-narcisismo-necrofilia. Pare esserci una contraddizione
nella nostra società: il rimpianto del passato ma anche l’esaltazione
del progresso, di ciò che verrà, col pregiudizio che sarà di certo
migliore.
Prima del Novecento il grande tabù era il sesso, poi è diventato la morte. Eppure la morte è ovunque: i nostri film e serie Tv dicono “fare sesso” invece di “fare l’amore”, ecco già la morte! Si cerca di uccidere tutto ciò che è vivo nella musica, nell’arte, nelle tradizioni, nella vita comunitaria. E’ tipico dell’amore per la morte -sentiamo tutta la forza del paradosso- l’attaccamento ad oggetti del passato; questo è sano quando si è in fase di elaborazione del lutto, ma non lo è se restiamo fermi per tutta la vita ad un successo universitario o ad un amore adolescenziale. Questo accade perché il futuro è carico di insicurezze, e genera il narcisismo tipico della necrofilia; insomma, il terrore della morte genera la mania mortifera. Un aspetto sociale incisivo da non sottovalutare. Il nuovo marketing approfitta di questo, lo vediamo su Netflix ad esempio, su gadget e magliette. Queste sofferenze appartengono alla sfera privata ma la nostra società le alimenta in un circolo vizioso. Lo smartphone e al reperibilità continua aumentano l’ansia e l’illusione del controllo. Voglio dare una buona notizia, non controlliamo alcunché, ma possiamo esprimere tutta la nostra creatività e soggettività.
Infatti, tiriamo fuori gli antidoti. Secondo lei sono la
soggettività, il contatto con la natura e con gli altri. Per
soggettività lei intende l’esperienza unica e irripetibile di sé che non
può essere alienata. Il filosofo Mazzarella propone infatti l’eros
inteso come sentire, l’approccio per mezzo dei sensi dell'esperienza
vissuta e viva come argine alla digitalizzazione. L’azione politica nel
suo senso più alto è invece vana secondo lei?
Credo che l’azione politica, cioè collettiva, possa scaturire
solo dalla scelta spontanea dei singoli, dal Coro di solisti,
espressione che ho sentito ad un concerto e che è rimasta una guida per
me. La disobbedienza non può che nascere spontanea nell’individuo, poi
può essere orchestrata, ma non può nascere per volontà partitica, la
storia ci ha dimostrato che non ha mai funzionato e che anche qui poi
prende piede il narcisismo, la violenza, la degenerazione della
rivoluzione. Non sto dicendo che dovremmo lasciarci andare
all’individualismo, ma che ciascuno deve ritrovare la responsabilità
personale delle proprie azioni. Ognuno deve partire da sé stesso,
altrimenti si tratta di un coro di automi, di branco senza personalità.
Se invece i singoli si ribellano ad uno ad uno altri faranno lo stesso,
lo faranno con il cuore e la convinzione. E anche questo sarà un effetto
spontaneo e non orientato e cioè fallimentare.
L’assassinio di Giulia Cecchettin ha colpito molto l’opinione pubblica, e i media, le associazioni e i partiti, servendosi anche delle tecniche spiegate da lei, hanno cavalcato l’onda del coinvolgimento emotivo dividendosi tra l’attribuire la colpa al patriarcato (causa sociale) e alla malattia mentale (causa individuale). Il filosofo Cacciari ha spiegato che il patriarcato è tramontato da un pezzo e ovviamente è stato attaccato. Lei, in quanto studioso delle dinamiche della comunicazione e psicoterapeuta cosa può dirci?
Si può rispondere a questa domanda dal punto di vista letterario-mitico, affermando che le tragedie sono sempre accadute, prendiamo Medea per esempio, perché il tragico è inscindibile dalla dimensione umana. Per questo torno a ribadire che è fondamentale leggere i classici, soffermarsi sulla poesia, integrare il tragico. Invito vivamente a leggere Eric Fromm, che non è uno “scrittore” come ci racconta la vulgata, ma uno dei più grandi psicanalisti del Novecento, ma anche C. G.Jung e J. Hillman.
Non
sappiamo se questo sia il caso delle persone coinvolte in questo
delitto, ma anche Hillman può darci a darci una chiave interpretativa,
con la sua “sfumatura della gerarchia”: la figura del padre assente o
ridicolizzato. La gerarchia famigliare è stata da tempo minata e
assediata, e il Pater ha perso rispetto dentro la sua casa, magari da
padre-padrone è passato a padre preso in giro, svilito. Il figlio che
non rispetta il genitore non rispetta il professore, le forze
dell’ordine, le istituzioni, il collega o la moglie. Chi non rispetta
una donna sicuramente non rispetta davvero neanche gli uomini, gli
amici, la natura o lo sconosciuto, perché in quella persona non c’è il
senso stesso del rispetto. Questo per quanto riguarda la psiche
profonda. Però possiamo rispondere anche mediante la lente
sociologica usata nel Codice: da ciò che sappiamo si tratta di una
giovane coppia, nella quale lui non sopporta la separazione e il
rifiuto. Vediamo qui l’incapacità di tollerare la frustrazione, la
nostalgia nel suo senso patologico, e l’atteggiamento necrofilo di cui
abbiamo parlato sopra. Scorgiamo anche la difficoltà a reggere qualsiasi
ferita narcisistica, qualsiasi “figuraccia”, sconfitta, scheggiatura
della propria immagine e dell’ego, come appunto l’essere lasciati. E
infatti non siamo più adulti, ma dipendenti come bambini, siamo la
società della dipendenza. Soggettività e creatività sono la forza per
diventare adulti, perché ciascuno diventi sé stesso.
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