Elezioni in Serbia: una nuova Maidan all’orizzonte?
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Domenica 17 dicembre ci sono state le elezioni politiche in Serbia. Le urne hanno confermato (come era largamente previsto) la prevalenza del Partito del presidente Vucic, che ha ottenuto circa il 47% dei suffragi totali, seguito a grande distanza dall’opposizione filo-europeista, con la metà circa dei suoi consensi. Il secondo partito governativo, i socialisti, si sono attestati intorno al 7%, garantendo quindi alla coalizione una solida maggioranza assoluta, che peraltro la coalizione stessa già deteneva. Sì, perché il fatto strano di queste elezioni era l’apparente mancanza di motivazioni: il presidente Vucic, infatti, governava da dieci anni (ultime elezioni nel 2022) e la sua maggioranza non mostrava segni di debolezza, né erano previste uscite, rimpasti etc. Niente. E allora, perché andare al voto di nuovo? Forse la risposta è arrivata prima di quanto fosse prevedibile, e l’hanno data le manifestazioni di piazza che si sono svolte subito dopo le prime notizie sui risultati.
L’opposizione, infatti, ha subito contestato il risultato del voto invocando brogli ed irregolarità e, a stretto giro, sono scesi in piazza folle di sostenitori che hanno assaltato la sede della Commissione Elettorale, cercando anche di aggredire alcuni suoi esponenti (cfr. video).
Il copione sembra voler ricalcare quello delle numerose “rivoluzioni colorate” le cui modalità operative (chiamiamole così) proprio in Serbia ebbero a fine anni ’90 il loro laboratorio originario, con l’organizzazione “Otpor” che fu alla base dei moti che portarono alle dimissioni di Milosevic. Oggi, dopo avere fatto un lungo giro, che ha toccato, dopo la Serbia, diversi paesi arabi fino all’Ucraina di Maidan, mancando peraltro l’obiettivo in Siria, la prassi di cercare di ribaltare un risultato elettorale (o un governo eletto) attraverso manifestazioni “spontanee” di piazza torna prepotentemente alla ribalta. E forse è proprio nel timore di questo tipo di situazione che Vucic è tornato al voto pur senza averne bisogno: una nuova, forte, legittimazione elettorale gli avrebbe poi permesso di procedere su una strada che, evidentemente, poteva non essere gradita da qualcuno degli attori con cui la Serbia oggi deve avere rapporti e che in passato si sono poi rivelati spesso come i veri ispiratori di tali manifestazioni nei vari paesi. Parliamo dei paesi occidentali, UE in primis, ma anche gli stessi Stati Uniti, che stanno cercando in qualche modo di tirare la Serbia verso di sé, sottraendola all’influenza Russa. Belgrado, infatti, ha oggi rapporti di partenariato strategico con Russia, Cina ed Emirati Arabi, ma anche con Francia e Italia e Azerbaigian e riveste anche un importante ruolo di transito nella Belt&Road Initiative cinese; è posizionata in mezzo a paesi UE e/o NATO, ma la Serbia oggi è ancora uno dei pochi stati europei a non avere imposto sanzioni alla Russia. Del resto, solo chi ignori tutto di storia e cultura serba (e probabilmente ce ne sono parecchi in giro) può pensare di impedire ai serbi di sentirsi profondamente legati a Mosca, all’Ortodossìa religiosa e a tutta la cultura orientale, e di trarne poi le normali conseguenze anche in termini geopolitici. Vucic forse sta preparando un qualche tipo di “strappo” in questo senso, o forse vuole semplicemente continuare a stare dove sta, mantenendo rapporti con la Russia, ma anche con quei paesi europei trascinati da Washington nel baratro delle sanzioni, senza piegarsi a quei diktat che, magari, pretendono delle abiùre non accettabili sulle sponde del Danubio. Una fra tutte: la questione del Kosovo, dove continue provocazioni sembrano da mesi voler mettere a dura prova la fragile situazione di non-guerra, prendendo di mira con tutti i pretesti le minoranze serbe presenti della regione (ricorda qualcosa?).
Le manifestazioni, anche violente, di queste ore sembrano far pensare che le forze che tirano ad occidente la Serbia vogliano giocare d’anticipo e, di fronte al risultato elettorale a loro sfavorevole, stiano provando a negarne la legittimità, o addirittura di cancellarlo, chiedendo nuove elezioni: del resto, votare fino a che non si ottiene il risultato voluto è già stato uno schema largamente utilizzato in vari paesi (Spagna più volte e Austria, tanto per fare due esempi, ma anche la Brexit è stata a lungo seguita da richieste simili), perché non provarci anche a Belgrado? In conclusione, solo le prossime settimane potranno dirci cosa aveva veramente in mente Vucic chiamando gli elettori al voto, ammesso che riesca a farlo (sono già attive le sponde UE per “mediare” tra Vucic e le opposizioni): nel frattempo, via libera agli assalti e le proteste (vedi anche QUI ).
In questi tempi di neolingua, non è ironico sottolineare che il nome del principale partito di opposizione che sta organizzando le proteste è “Serbia contro la violenza” (SIC).
19.12.2023
Di Franco Ferrè per ComeDonChisciotte.org
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