IL RITORNO DELLA GUERRA ‘RISOLUTIVA’
La guerra di Corea è probabilmente l’ultima che gli Stati Uniti
abbiano combattuto con l’intento strategico e la volontà di vincerla sul
campo. Come sappiamo, è finita in un pareggio. Da quel momento
in avanti, gli USA – che pure sono certamente il paese più
guerrafondaio dell’era moderna – hanno fatto delle forze armate, e
quindi della guerra, essenzialmente uno strumento di deterrenza, volto a
contenere i nemici comunisti – URSS, Repubblica Popolare
Cinese – nella loro espansione politico-ideologica oltre i confini
(rispettivamente) dell’est europeo e della Cina continentale.
A
partire dalla fine degli anni cinquanta del novecento, gli Stati Uniti
non hanno mai preso seriamente in considerazione l’ipotesi di uno
scontro diretto con una delle due potenze socialiste; hanno ovviamente
ingaggiato un confronto per cercare di raggiungere la supremazia
nucleare, ed altrettanto ovviamente hanno elaborato strategie e tattiche
in funzione di un ipotetico scontro di tal genere, ma si è trattato di
pure ipotesi di scuola. Sul piano concreto, questa possibilità non è mai
stata veramente considerata possibile, né tantomeno desiderabile.
Fintanto che è esistita l’Unione Sovietica, questa ha anzi costituito
uno dei pilastri su cui si è fondata l’egemonia americana sull’Europa
occidentale. Fedele agli accordi spartitori di Yalta,
Washington non è mai intervenuta direttamente contro Mosca, anche quando
(Berlino ‘53, Budapest ‘56, Praga ‘68) ne avrebbe avuto un ottimo
pretesto. E quando il confronto militare c’è stato, si è collocato in
periferia, ed è sempre stato indiretto. Vietnam ed Afghanistan docet.
Se
guardiamo alla storia dell’espansionismo militare statunitense, ed alla
infinita serie di guerre e guerricciole che ha alimentato, dalla
seconda metà del secolo scorso in avanti, ci rendiamo però conto di come
le vittorie militari, quelle sul campo di battaglia e quelle
strategiche, non solo non si sono quasi mai concretizzate, ma
probabilmente non erano nemmeno messe in conto.
La grande strategia egemonica americana si è basata sulla deterrenza, piuttosto che sulla vittoria.
Tutti
i paesi che, per una ragione o per un’altra, si sono trovati a dover
confrontarsi militarmente con gli USA, hanno pagato un prezzo
elevatissimo, che ha quasi sempre comportato la devastazione pressoché
completa. E quanto più alta e duratura è stata la sfida all’egemone,
tanto più è stato duro il prezzo da pagare.
Oltre ai già citati Vietnam ed Afghanistan, ricordiamo l’Iraq, la
Siria, la Libia… Tutte guerre che, da un punto di vista strategico,
possiamo considerare perdute. Ma che sono costate a quei paesi un prezzo
tale che, a distanza di decenni, non ha consentito loro di riprendersi.
Questo
è l’assioma su cui si è costruita la strategia imperialista americana:
semplicemente, la deterrenza del potere distruttivo.
Nei confronti
delle potenze avverse – Russia e Cina – la strategia prevedeva il
contenimento (da qui l’enorme rete di basi militari lungo i confini di
questi due paesi), nella convinzione che prima o poi sarebbe avvenuta la
loro caduta per strangolamento, o che – nella peggiore delle ipotesi – sarebbero rimaste confinate nei propri spazi.
Ragione
per cui le forze armate degli Stati Uniti non si sono mai veramente
preparate a scontrarsi con le forze armate sovietiche o con quelle
cinesi – men che meno con entrambe.
Il conflitto in Ucraina, da questo punto di vista, rappresenta un giro di boa. Gli Stati Uniti, e la loro armata imperiale allargata,
la NATO, non si erano mai impegnati in questa misura in un confronto
diretto con una delle potenze antagoniste. Non si erano mai impegnati in
un conflitto che non fosse marcatamente asimmetrico. Non si erano mai
impegnati in una guerra d’attrito prolungata.
E lo hanno fatto senza prima mettersi in condizione di condurre e sostenere un conflitto di tal genere.
Non
erano pronti strategicamente (capacità di produzione bellica
industriale, riserve di armi e munizioni), non erano pronti al
combattimento (sistemi d’arma mai effettivamente testati sul campo,
misconoscenza delle capacità del nemico), non erano pronti sotto il
profilo dottrinario (strategie e tattiche, strutturazione delle
forze armate, sostanzialmente identiche a quelle dei precedenti
conflitti asimmetrici).
La battuta d’arresto era inevitabile.
Il conflitto russo-ucraino segna, per la prima volta dalla seconda
guerra mondiale, il passaggio ad una fase in cui la deterrenza viene
destrutturata, la devastazione si registra nel campo occidentale, e
l’inadeguatezza della potenza imperiale si manifesta nella sua piena
evidenza.
Questo passaggio, parzialmente oscurato dal difficile
scontro politico interno nel paese egemone, richiede pertanto una
radicale riconversione complessiva delle politiche imperiali, che deve
necessariamente investire sia il piano logistico-strutturale che quello
più squisitamente operativo militare. Un processo, questo, che non può
chiaramente essere portato a termine in breve tempo, e che quindi apre
ad una stagione di interludio, in cui la capacità dello strumento
militare non è più in grado di esercitare la propria storica funzione
deterrente, e non è ancora in grado di passare ad una in cui la
deterrenza viene sostituita dalla capacità di sconfiggere il nemico sul
campo.
Il mutamento del quadro geopolitico e strategico complessivo, di cui
questa crisi militare statunitense è in parte il prodotto, ma che ne è
al tempo stesso causa, finisce pertanto col determinare una estrema
instabilità – di cui ciò che accade in Palestina è la manifestazione più
evidente – che a sua volta va ad incidere sui tempi e sui modi con cui
gli USA cercheranno di rispondere alla crisi.
Ciò che possiamo vedere
già adesso, comunque, è la direzione di massima intrapresa. E che
potremmo riassumere nel passaggio dalla guerra come deterrenza alla
guerra come soluzione.
La prossima guerra Washington la deve vincere,
deve sconfiggere il nemico e metterlo in ginocchio. E poiché non sarà
un paese debole, ma una delle grandi potenze belliche del pianeta, e
quindi tra l’altro dotato di armamenti nucleari tali da distruggere
l’America, non sarà per niente facile.
Lo schema, con ogni
probabilità, sarà lo stesso della seconda guerra mondiale. Il grosso
delle truppe lo dovrà mettere l’Europa, e sarà questo il campo di
battaglia.
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