L’ Armenia tra Russia e Occidente
Per capire le dinamiche non basta risalire alle ultime guerre, quella del 1991-94 che registrò l’avanzamento dell’Armenia in N-K e in 7 distretti azeri, e quella dell’autunno del 2020 in cui l’Azerbaigian, forte del sostegno di Ankara, recuperò i distretti occupati e parte del N-K. Occorre partire quantomeno dal 1921, anno in cui Stalin, nel contesto di una ‘politica delle nazionalità’ che oggi appare perversa, assegnò all’Azerbaigian sia il N-K, pressoché totalmente abitato da armeni, sia il Nakhichivan, quale enclave azera in territorio armeno.
È solo l’ultimo episodio della travagliata storia del rapporto armeni-azeri attorno ai destini del Nagorno Karabakh (N-K). Dal 12 dicembre dello scorso anno, 120.000 persone sono a rischio a causa del blocco del ‘corridoio di Lachin’, unico possibile collegamento tra N-K e Armenia. Mancano generi alimentari e medicinali, e anche le forniture di gas e elettricità funzionano solo ad intermittenza. Lo scenario assomiglia a un assedio di tipo medioevale. Per capire le dinamiche non basta risalire alle ultime guerre, quella del 1991-94 che registrò l’avanzamento dell’Armenia in N-K e in 7 distretti azeri, e quella dell’autunno del 2020 in cui l’Azerbaigian, forte del sostegno di Ankara, recuperò i distretti occupati e parte del N-K. Occorre partire quantomeno dal 1921, anno in cui Stalin, nel contesto di una ‘politica delle nazionalità’ che oggi appare perversa, assegnò all’Azerbaigian sia il N-K, pressoché totalmente abitato da armeni, sia il Nakhichivan, quale enclave azera in territorio armeno. La decisione fu confermata con il Trattato di Kars tra URSS e Grande Assemblea Turca (dal 1923, con il Trattato di Losanna, neo-Repubblica di Turchia) che definì i confini russo-turchi e delle Repubbliche Caucasiche Sovietiche, assorbite nell’URSS dopo un breve respiro di indipendenza, e cedette alla Turchia di Kemal Ataturk vasti territori armeni tra cui l’antica capitale Ani e il Monte Ararat.
Negli stessi anni in cui Ataturk portava a compimento il genocidio degli armeni avviato dal Sultano Hamid II nel secolo precedente. Ma anche prima dello sconquasso di Stalin, il Caucaso aveva conosciuto vicende molto travagliate. Lungo i secoli, armeni e azeri hanno incrociato i rispettivi destini con tre grandi protagonisti regionali, i Persiani Savafidi, successivamente i Turchi Selgiucidi e poi Ottomani, infine i Russi, prima zaristi poi sovietici, e con altre potenze, dall’VIII secolo gli Arabi della Conquista Islamica, dal XIII l’Impero dei Mongoli. Queste tormentate vicende comportavano continue riorganizzazioni territoriali, e quindi esodi, dislocamenti di popolazioni, conflittualità tra le stesse comunità locali. Da ultimo, la dissoluzione dell’URSS ha segnato un momento cruciale nelle vicende della regione. Alla proclamazione di indipendenza dell’Azerbaigian nel 1991 seguiva l’immediata secessione del N-K dichiaratosi a sua volta indipendente, dando luogo alla repressione azera e all’intervento militare armeno. Nel 1994 l’accordo di cessate-il-fuoco di Biskek (Kirghizistan) patrocinato da Mosca lasciava impregiudicato il nodo del contendere, lo status del N-K, tanto che l’Azerbaigian muoveva alla riconquista nel 2020. Una forza di interposizione russa di 2.000 unità confluiva per proteggere gli abitanti armeni.
Oggi, la delusione dell’Armenia per lo scarso attivismo della Russia e dei suoi peacekeepers, complice l’aggressione militare in corso dell’Ucraina, sta comportando una revisione della politica di Yerevan, da un’alleanza pressoché esclusiva con Mosca a una politica di ‘complementarietà’ che persegue un parallelo tragitto verso Bruxelles e Washington. L’Armenia ha preso le distanze dal documento finale del Vertice CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), ha disertato le esercitazioni militari della CSTO stessa, ha ratificato lo Statuto della Corte Penale Internazionale dopo l’incriminazione di Putin per crimini di guerra, ha accettato di buon grado il monitoraggio dei confini da parte dell’Unione Europea (rifiutato invece da Baku), e da ultimo la proposta di Washington di addestrare unità armene per operazioni di peacekeeping; soprattutto, ha spostato l’accento dall’ ‘indipendenza’ del N-K ai ‘diritti’ della comunità armena , aprendo la strada a formule del tipo Alto Adige. Al contempo, ha segnalato la volontà di riconoscere l’Azerbaigian a condizioni di reciprocità, e altresì di normalizzare le relazioni con la Turchia senza porre la tradizionale precondizione del riconoscimento del genocidio. Dal canto suo, Baku persegue soprattutto il rafforzamento dei rapporti con la Turchia, a partire dal collegamento Azerbaigian-Nakhichivan, e continua a rifiutare i rivendicati diritti della comunità armena del N-K. Nel contesto, Mosca è visibilmente irritata dalla perdita di influenza nel Caucaso, giungendo a minacciare Yerevan e a denunciare infiltrazioni NATO in area (Lavrov).
Le sorti del conflitto armeno-azero e dello status del N-K sono nelle mani dei protagonisti internazionali, Russia, Turchia, Stati Uniti, Europa. Ancorché il Caucaso sia da secoli zona contesa, mai come oggi una conciliazione tra i protagonisti interni dipende dal grado di impegno dei protagonisti esterni. La crisi di Lachin ha attivato l’attenzione dell’Occidente, finora pressoché assente nel Caucaso, con iniziative che segnalano la volontà di sostenere il tragitto di pace; emerge la possibilità per l’Occidente di allargare la propria influenza nel Caucaso, sventando il duopolio russo-turco in quello che è pur sempre Vicinato Europeo.
Laura Mirakian
(da “Fondazione Ugo La Malfa)
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