Come prevedibile, la crisi nelle relazioni tra Canada ed India ha compiuto un salto di livello con la reciproca espulsione di diplomatici dalle rispettive ambasciate. Il gelo tra le due nazioni è calato quando a inizio settimana il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato in parlamento che sono in corso delle indagini per chiarire se ci siano agenti di New Delhi dietro all’omicidio di Hardeep Singh Nijjar, un attivista di spicco della comunità Sikh, avvenuto a giugno a Vancouver.
Le accuse lanciate dal premier canadese sono state respinte con forza dal suo omologo indiano Narendra Modi e definite come “assurde”. Per gli analisti si tratta di una questione che covava sotto cenere da tempo e che affonda le sue origini nel trattamento della comunità separatista dei Sikh. Tale popolazione è in parte favorevole della creazione del Khalistan, uno Stato indipendente nel nord del Paese.
I rapporti di questa comunità con il governo indiano si sono incrinati in maniera irreparabile a seguito dell’irruzione nel Tempio d’Oro ad Amritsar, il loro luogo più sacro, ordinata nel 1984 dall’allora primo ministro Indira Gandhi. Una decisione che segna la sua condanna a morte. L’omicidio politico viene eseguito da due guardie del corpo Sikh e provoca ritorsioni e violenze in tutto il Paese nelle quali muoiono migliaia di persone appartenenti alla minoranza.
La violenta risposta dello Stato, il sottosviluppo economico e il disagio sociale causato anche da un alto consumo di droga affligge quindi il Punjab dagli anni Ottanta e ha determinato un’emigrazione di massa in particolare verso il Regno Unito e il Canada. Prima dell’omicidio di Vancouver si erano già registrate, a Lahore in Pakistan e a Birmingham in Inghilterra, un altro paio di morti sospette di attivisti. Per questi episodi alcuni commentatori indiani hanno evocato la responsabilità di gang criminali interne alla diaspora.
La crisi tra i due Paesi membri del Commonwealth non è un fulmine a ciel sereno e si inserisce in un contesto di relazioni piuttosto tese. Nel 2020 Trudeau aveva criticato la repressione da parte del premier indiano delle proteste dei contadini innescate dalla proposta di riforma agricola. Durante il G20 svoltosi quest’anno a New Delhi Modi ha espresso preoccupazione per le “attività contro l’India di elementi estremisti in Canada”. Inoltre, di recente sono stati sospesi anche i negoziati per un accordo sul libero commercio.
La tensione in corso tra India e Canada ha delle rilevanti ripercussioni geopolitiche. Essa rappresenta infatti una sfida rischiosa per Joe Biden chiamato a muoversi su un terreno impervio in un momento in cui non può permettersi di creare frizioni con un alleato importante come Modi. In passato omicidi compiuti da Paesi come la Russia e l’Arabia Saudita sul territorio di un’altra nazione avevano raccolto la condanna unanime delle capitali occidentali. Nel caso Nijjar Washington sembra invece aver adottato una linea d’azione differente e in ogni caso è improbabile che prenda una posizione prima della fine delle indagini.
Il silenzio di Biden sulle scelte illiberali e sul trattamento riservato alle minoranze religiose da parte del Bharatiya Janata Party, il partito di Modi, oltre al suo invito alla cena di stato alla Casa Bianca, sono segnali di un fitto “corteggiamento” degli Stati Uniti nei confronti dell’India. Il presidente americano ha costruito negli scorsi mesi una delicata alleanza con l’India con l’obiettivo di limitare l’influenza della Cina nel continente asiatico. Una strategia che ha la priorità sui diritti umani.
Nel frattempo, a beneficiare della tensione indo-canadese è proprio la Cina di Xi Jinping che spera di sfruttare qualsiasi debolezza non solo della comunità occidentale ma anche del grande rivale e vicino asiatico.
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