Quanto accaduto negli ultimi 20 anni dimostra che stiamo vivendo in un’era definibile come “post trattati” per quanto riguarda quelli sul controllo della proliferazione degli armamenti. Nel 2001, gli Stati Uniti uscirono unilateralmente dal trattato Abm sulla limitazione dei sistemi antimissili balistici, a fronte della minaccia rappresentata dall’evoluzione dell’arsenale missilistico iraniano. Questo atto ha portato Washington a sviluppare una nuova dottrina Bmd (Ballistic Missile Defense) e relativi strumenti, come il Gmd (Ground-based Midcourse Defense) schierato in Alaska e in California, e l’Aegis Ashore, posizionato dapprima in Romania e in corso di attivazione in Polonia.
Il dispiegamento di questi ultimi strumenti antimissile in Europa orientale ha provocato la reazione di Mosca che, pur restando generalmente nei limiti dei trattati vigenti, ha sviluppato nuovi sistemi – come i veicoli di rientro plananti ipersonici Avangard – e modernizzato il suo arsenale di Icbm (Intercontinental Ballistic Missile) con il programma che ha dato origine al “Sarmat” o Rs-28. Un vettore che invece ha violato gli accordi internazionali sul divieto di possedere e schierare sistemi a raggio medio e intermedio è il missile da crociera russo 9M729 (o SSC-8 in codice Nato), sviluppato da Mosca proprio in funzione del contrasto all’Aegis Ashore.
Escludendo da questa trattazione, per ovvi motivi, la fine dell’accordo Cfe sulle forze convenzionali in Europa, il processo di decadimento dei trattati internazionali è proseguito con la fine dell’Inf (Intermediate range Nuclear Forces), dell’Open Skies e, da ultimo, con la sospensione dello Start che limita testate e sistemi di consegna per le armi nucleari strategiche. Sebbene Stati Uniti e Russia, per il momento, si stiano ancora attenendo alle clausole dello Start nonostante abbiano cessato di autorizzare le rispettive ispezioni di controllo, esiste il rischio che entrambi i Paesi riprendano la corsa agli armamenti atomici innescando un “effetto domino” globale.
Sindrome cinese
Per capirne il motivo dobbiamo però guardare a una potenza nucleare che non ha mai sottoscritto nessuno dei trattati citati: la Cina. Pechino adotta una dottrina nucleare che si basa sul “no first use” e sul non utilizzo di armi atomiche contro quei Paesi che non le possiedono. Pertanto, sino ad ora, ha tenuto i suoi missili non in prontezza operativa considerandoli esclusivamente un deterrente contro un possibile attacco nemico.
Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito a due eventi che fanno ritenere che la Cina possa facilmente cambiare questa postura: lo sviluppo di sistemi missilistici nuovi e all’avanguardia, come le testate ipersoniche plananti, e l’aumento del numero di silos di lancio per Icbm. L’intelligence statunitense, da tempo, ha lanciato l’allarme sulla produzione cinese di testate nucleari, presagendo che esse possano aumentare sino a 800/900 nei prossimi 5/6 anni.
Questi fattori, oltre ad sollevare il sospetto che Pechino possa passare a una dottrina nucleare diversa considerando la possibilità di “first strike” e quindi proponendosi come potenza atomica capace di minaccia globale al pari di Stati Uniti e Russia insieme al fatto che il Politburo non intende sottoscrivere alcun accordo sul controllo degli armamenti affermando che prima debbano essere Mosca e Washington a ridimensionare i propri arsenali, pongono gli Usa davanti a un dilemma di difficile risoluzione e dalle possibili ripercussioni su scala mondiale.
Il dilemma statunitense
Il deterrente nucleare statunitense, regolato come quello russo dal trattato Start, è organizzato per fungere da deterrente nei soli confronti della Russia, non per svolgere la stessa funzione anche verso la Cina. Di conseguenza, l’aumento del numero di vettori e testate da parte di Pechino pone il rischio che un primo attacco russo (o cinese) possa esporre gli Stati Uniti a un secondo attacco della terza parte oppure che il deterrente Usa non sia sufficiente per rispondere a un attacco congiunto russo-cinese.
Pechino e Mosca hanno recentemente stabilito una “amicizia senza limiti” che potrebbe, in futuro, rendere questa prospettiva reale, ma bisogna considerare che attualmente il rapporto tra le due potenze rivali degli Stati Uniti non è una vera e propria alleanza, perché non comporta l’intervento di assistenza militare nel caso che una delle due venga coinvolta in un conflitto. Inoltre molto difficilmente Mosca vorrà spingersi a stringere una vera e propria alleanza soprattutto per evitare di dover condividere il proprio ombrello nucleare con la Cina sia perché da esso dipende molto di più la sua sicurezza stante l’aumentata fragilità del suo potenziale bellico convenzionale per le note questioni legate al conflitto in Ucraina, sia perché il futuro delle relazioni sino-americane è incerto a causa delle tensioni che si stanno accumulando nel Pacifico occidentale.
Anche per questo, Pechino sta lavorando alacremente per dotarsi di un arsenale nucleare credibile e numericamente consistente, in modo da poter avere capacità di deterrenza atomica indipendente nei confronti degli Usa, ma anche della stessa Russia, stante dei rapporti che nel corso della storia non sono stati idilliaci e stante le rivendicazioni territoriali riguardanti l’estremo oriente russo (la regione dell’Amur) mai abbandonate.
Washington quindi si trova davanti a due avversari che presto faranno sommare un numero totale di testate nucleari maggiore rispetto a quello che la sua triade atomica schiera per il pronto impiego e non è chiaro se la politica statunitense intenda approfittare del congelamento del trattato Start per sforarne i limiti e aumentare le testate in servizio.
Questo potrebbe essere fatto in modo relativamente rapido prelevandole da quelle disattivate o in via di disattivazione presenti nei depositi e parimenti potrebbe armare gli Icbm col numero massimo di testate trasportabili. La U.S. Air Force potrebbe anche decidere di recuperare la missione atomica per alcuni bombardieri mentre si potrebbe pensare di tornare anche ad avere missili da crociera a carica nucleare per la U.S. Navy, programma che era stato abbandonato qualche anno fa.
Reazione a catena globale
Questo scenario potrebbe innescare un effetto domino a livello globale, con altre potenze nucleari che aumentano i loro arsenali: l’India, avversario regionale della Cina, potrebbe facilmente percorrere la stessa strada a fronte dell’aumento di testate cinese e della risposta statunitense che potrebbe innescare, e parimenti farebbe il Pakistan, storico nemico dell’India.
Altri Paesi, come l’Iran, potrebbero essere più invogliati a proseguire le ricerche per l’arma atomica e pertanto anche Paesi che stanno per acquisire tecnologia per il nucleare energetico dalla Cina, come l’Arabia Saudita, potrebbero fare la stessa scelta.
A fronte di una diffusione simile di ordigni atomici, difficilmente Francia, Regno Unito e Israele manterrebbero costante il numero delle loro testate, e non bisogna dimenticare che la Corea del Nord, che è già potenza atomica, da tempo sta lavorando per aumentare la consistenza del suo arsenale nucleare.
Fermare la corsa
C’è modo di mettersi al riparo da questo scenario di proliferazione degli armamenti atomici che rischia di essere catastrofico? Idealmente abbandonando la politica di “regime change” molti Paesi che sembrano accarezzare la volontà di possedere un arsenale nucleare non proseguirebbero in quelle direzione: a spingere Pyongyang e Teheran verso la strada atomica è stata la consapevolezza che gli armamenti atomici sono l’unica “assicurazione sulla vita” dei propri regimi. La Corea del Nord di Kim Jong-un ha quindi spinto molto verso la ricerca missilistica e atomica mentre l’Iran degli Ayatollah, che ancora non ha armi di questo tipo, sta arricchendo l’uranio sempre più verso percentuali atte a farne uno strumento bellico.
Questa tendenza va fermata anche proibendo alcune tipologie di ordigni. Sempre restando a un livello ideale, occorrerebbe arrivare alla stipula di un nuovo trattato che proibisca le armi nucleari tattiche, quelle che sfuggono ai controlli e che, per lo stesso concetto di impiego, sono le più pericolose per l’escalation atomica.
Inoltre occorrerebbe limitare l’arsenale missilistico disponibile arrivando alla stipula di un nuovo trattato Inf che coinvolga anche la Cina, l’India, il Pakistan, l’Iran e tutti quei Paesi che hanno in servizio o stanno sviluppando missili balistici a raggio medio e intermedio.
Auspicabile anche che si vieti lo schieramento di testate nucleari a basso potenziale o convenzionali su sistemi di consegna strategici: abbiamo già osservato che un avversario dotato di armi atomiche non è in grado di sapere che tipo di testata monti un missile balistico a lungo raggio, e risponderà in modo da preservare il suo arsenale e garantire la sua sopravvivenza.
Infine come prima mossa per dimostrare la “buona volontà” e anche per evitare possibili escalation occorrerebbe un meccanismo congiunto globale di avviso di lanci di prova che coinvolga tutte le potenze nucleari.
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