Al Lupo, al lupo…
La Meloni, come tutti i suoi predecessori, non si sottrare a questa logica in quanto è già bloccata su “Conti pubblici ed immigrazione”. Salvarli entrambi è impresa quasi impossibile per cui, molto verosimilmente, le si consentirà con molti sforzi di poter ottenere l’ok dall’Europa sui conti pubblici ma troverà la strada sbarrata sui migranti. Qualcuno dirà, dimostrando ancora una volta di non conoscere la Storia, che è facile parlare con l’eredità di conti pubblici ricevuta a cui, senza polemica, si potrebbe anche chiedere: “ma non lo sapevate quando avete chiesto agli elettori il voto per governare il Paese?” ottenuta la bicicletta ora bisogna dimostrare di saper pedalare.
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Se si grida “al lupo, al lupo” senza che nessuno ancora lo abbia ancora visto è sintomo di paura. In questo caso la paura sta nell’ennesimo governo tecnico che, anche se con molti sacrifici inflitti, sono stati quelli che hanno consentito di far galleggiare la barca Italia in questo amaro e triste trentennio. Essi si sono intervallati con governi politici di tutti i colori che, dopo un poco, buttavano la spugna cedendo il banco ai tanto deprecati governi tecnici o facendo quello che questi chiedevano. La Meloni, come tutti i suoi predecessori, non si sottrare a questa logica in quanto è già bloccata su “Conti pubblici ed immigrazione”. Salvarli entrambi è impresa quasi impossibile per cui, molto verosimilmente, le si consentirà con molti sforzi di poter ottenere l’ok dall’Europa sui conti pubblici ma troverà la strada sbarrata sui migranti. Qualcuno dirà, dimostrando ancora una volta di non conoscere la Storia, che è facile parlare con l’eredità di conti pubblici ricevuta a cui, senza polemica, si potrebbe anche chiedere: “ma non lo sapevate quando avete chiesto agli elettori il voto per governare il Paese?” ottenuta la bicicletta ora bisogna dimostrare di saper pedalare. Eppure un rappresentante della “vera sinistra riformista”, di cui mi sfugge il nome ora, si insediò a Palazzo Chigi nel 1983 con questi numeri: il rendimento dei Bot era giunto al 20,0%, i Cct nell’emissione di marzo del 1983 esplosero al 21,90%, il tasso di sconto aveva toccato quota 18% e quello interbancario era schizzato al 20,28% e, dulcis in fundo, lo spread era a 1.175 punti. Costui affrontò questa disastrata situazione con due mosse: la prima fu quella di mettere in piedi un governo di vaglia, chiamando intorno a sé veri e grandi politici la seconda, invece, fu quella di spingere al massimo per far crescere l’economia reale e, successivamente, puntare sulla stabilizzazione finanziaria. All’atto dell’insediamento nel 1983, dati ufficiali alla mano, risultava che l’Italia avesse un debito pubblico del 69,4% in termini percentuali sul PIL ovvero su un Prodotto interno lordo (rivalutato in euro attuali) che era pari a € 335 miliardi e c’era un debito di 203 miliardi di euro. Quando ad aprile del 1987 lasciò la guida del governo il PIL era salito a 520 miliardi di euro ed il debito era pari all’89,1% del Prodotto interno lordo per un importo pari a 417 miliardi di euro. bisogna ricordare che all’epoca l’Italia nel 1983 viaggiava su di un tasso inflattivo pari al 16,5% e a fine 1986 era stato portato ad appena il 4,7% ed infine lo spread era passato da 1.175 a 262 punti. Per quanto concerne il rating sul debito pubblico e, a conferma dei dati positivi prima riportati, esso fu certificato dall’agenzia Moody’s col riconoscimento della tripla AAA per l’anno finanziario relativo al 1986. Di questa positiva ripresa economica, finanziaria e sociale se ne avvidero gli italiani ma anche, e soprattutto, all’estero dove la rivista americana “Newsweek” a conclusione di questo governo nel 1987 gli dedicò una copertina dal titolo evocativo e significativo “Il Nuovo miracolo economico italiano” mettendo in evidenza il fatto che il reddito medio del Bel Paese aveva addirittura superato quello della Gran Bretagna. Tornando ad oggi abbiamo che anche la Germania si prepara a toccare il 4,7%di deficit in rapporto al pil per quest’anno, ad identico livello c’è la Francia che programma di ridurlo al 4,3 per cento nel 2024. Sulla carta, le regole del vecchio Patto di stabilità prevedono procedure per deficit eccessivo per chi sfora ma, come si sa, la governance europea ha sempre previsto margini di flessibilità che si possono sfruttare a seconda della situazione e anche stavolta andrà così in quanto la “politica” quella vera è l’arte del possibile che supera i tecnicismi delle leggi economiche e finanziarie. Inoltre Olaf Scholz, Manuel Macron, Pedro Sánchez e quasi tutti gli altri nell’UE fanno parte delle antiche e mai morte storiche famiglie politiche che si aiutano e concordano le cose da fare mentre noi ci siamo consegnati, da 30 anni in qua, a soggetti inidentificabili ed impreparati che agitano la bandiera calcistica di “Forza Italia” oppure aderiscono ai “socialisti europei” senza volerlo essere o diventare e mantenendo un aggettivo, democratico, che usavano anche in Germania Est oltre il Muro di Berlino. Ai vertici dell’Eurogruppo prevale un’idea che, senza prendere alla lettera quanto prevedevano le vecchie regole, cercano di proiettarsi verso le nuove,che di certo renderanno“tassativa una riduzione del debito annuale”di ogni Stato membro, come ha già chiesto ed ottenuto la Germania, solo la percentuale è ancora da decidere. L’Italia, col debito oltre il 140% superato per ora dalla sola Grecia, sarà un doppio salasso. Ma questo significa che forse per quest’anno, con la manovra economica annunciata il governo Meloni potrebbe farcela a meno che non prevalga l’altra impostazione che pure è presente ai vertici dell’Ue. Cioè quella fortemente determinata afar partire lo stesso le procedure per deficit eccessivo. Il dibattito, anche interno alla Commissione UE e con gli Stati membri, potrebbe essere, a dir poco, vivace per decidere la linea da seguire. E non aiuta il fatto che la scelta dovrà essere operata proprio alla vigilia delle europee 2024 nel cuore della campagna elettorale, quando ogni forza politica avrà necessità di sbandierare vessilli indipendentemente dai dati reali. E lo Spiegel che non si comporta come le anarchiche testate italiane che, oltre a portare i panni sporchi in piazza, si azzuffano tutti i santi giorni come giornali di partito per cui Elkan, con la Repubblica e la Stampa, appoggia l’incomprensibile Schlein del PD con il Domani del “povero” De Benedetti. La scorsa settimana lo Spiegel, che vigila sugli interessi tedeschi in chiave UE, pubblicava che “Debito elevato, crescita zero, tassi di interesse in rialzo: in nessun altro posto in Europa la politica finanziaria è così sensibile come in Italia. Finora, il governo conservatore di destra sta mantenendo la rotta. Se fallisce, l’Europa sarà lasciata in rovina”. Nel frattempo i nostri inutili sedicenti giornali si “scannavano” su uno spot pubblicitario. A suo tempo l’ingresso dell’Italia nell’euro fu truccato. Il nostro paese non avrebbe avuto i requisiti economico-finanziari necessari, ma per ragioni di opportunità politica la Germania di Helmut Kohl avrebbe chiuso un occhio. Lo sostiene un’inchiesta del settimanale Spiegel, dal titolo “Operazione autoinganno”, basata sulla desecretazione di centinaia di pagine di documenti del governo Kohl sull’introduzione dell’euro tra il 1994 ed il 1998. La ragione per cui il vecchio Helmut chiuse un occhio fu dovuta al determinante ruolo che Giulio Andreotti, primo ministro e Gianni De Michelis, agli Esteri, ebbero nella battaglia fra Kohl e gli altri leader europei quando, dopo una cena, si riunirono intorno al caminetto per un caffè con Mitterand al centro, attorno a lui i capi di Stato o di governo disposti a semi cerchio, poi una seconda fila con i ministri degli Esteri. De Michelis: “Io sono seduto alle spalle di Andreotti e Kohl. Mitterand parla e fa subito capire che per lui la questione dell’unità tedesca è un’eventualità storica, da verificarsi in un futuro imprecisato. Sullo stesso tono gli interventi degli altri, da Gonzales alla Thatcher. Kohl diventa sempre più rosso di rabbia e quando tocca a lui sembra quasi che stia per piangere. Il succo del suo intervento è questo: voi non potete farmi tornare a Bonn, dal mio popolo, senza un messaggio chiaro di appoggio dell’Europa alla riunificazione tedesca. È emozionatissimo perché capisce che sta rischiando di restare a mani vuote.” De Michelis che gli è sedutodietro sa che a quel punto la parola tocca ad Andreotti e da valente ministro degli Esteri si china per parlargli all’orecchio: “Presidente, adesso tutti si aspettano da te la stoccata finale. Sanno benissimo come la pensi sull’unificazione tedesca (amava così tanto la Germania da volerne due per inciso Andreotti veniva da una riunione della Nato in cui aveva avuto uno scontro molto forte con Kohl nda), ma qui hai un’occasione unica. Qui non bisogna badare alle proprie idee, ma alla politica. Proprio perché tutti sanno come la pensi, se tu apri uno spiraglio a Kohl le tue parole varranno doppio. Io e Fagiolo (diplomatico e consigliere di De Michelis) abbiamo preparato una frasetta per fissare la posizione italiana. Con tutte le cautele diplomatiche, questa frasetta dichiara che l’Europa auspica e promuove l’unificazione della Germania. Niente di definitivo, ma è ciò di cui Kohl ha bisogno per superare l’impasse». Andreotti coglie al volo l’idea e legge quella frasetta, immortalata poi nel comunicato finale. Gli altri sono presi in contropiede. Se Andreotti, che ama tanto la Germania da volerne due, dà via libera a Kohl, è difficile non tenerne conto. Di colpo l’impasse è superata e il vertice si chiuse con un esplicito appoggio della Comunità all’idea della riunificazione tedesca. “Credo che Kohl non abbia dimenticato quel momento e che il nostro buon rapporto con i tedeschi nasca anche di lì.” Annotò Gianni De Michelis, ecco spiegata la posizione molto benevola di Kohl sull’Italia ma “quelli” erano politici veri di partiti veri.
Si tratta di rapporti dell’ambasciata tedesca a Roma, di note interne dell’esecutivo e di verbali manoscritti di colloqui avuti dal cancelliere della riunificazione.
Se sui conti la partita è quanto meno aperta e Roma se la si può giocare, sui migranti il rischio isolamento è elevatissimo, anche se in qualche modo, è già realtà.
Raffaele Romano
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