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Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

La strategia bellica degli USA, seppur aggiornata in seguito alla guerra in Ucraina, pecca ancora di presunzione che impedisce il realismo e l'autocritica


COME COMBATTERÀ LA NATO

La direzione in cui sta evolvendo la dottrina militare statunitense – e quindi della NATO – in vista dei nuovi confronti militari per i quali si sta attrezzando, serve a dare un idea non solo delle strategie geopolitiche perseguite, ma anche sul come queste impatteranno sulle società occidentali. Nonché a mostrare tutti i limiti del pensiero strategico nel declinante impero.

Già qualche anno addietro, il Pentagono ed il Dipartimento della Difesa si erano posti il problema di aggiornare la dottrina operativa militare statunitense, poiché quella in uso (l’AirLand Battle) risaliva agli anni ‘80; ed era “ormai ben oltre la sua data di scadenza” [1]. L’esperienza della guerra in Ucraina, a cui i comandi USA partecipano pienamente a livello strategico, e dalla quale traggono informazioni dirette a livello tattico, ha reso ancora più evidente questa necessità. Capire come questa trasformazione si stia orientando, quali lezioni abbia tratto del conflitto in corso, può in qualche misura aiutare a comprendere molto altro, rispetto a quelle che saranno le guerre future che impegneranno le forze armate NATO, e quindi le strategie geopolitiche di Washington.

Fondamentalmente, l’idea su cui si sta fondando il nuovo Joint Warfight Concept (Concetto di Combattimento Combinato) rappresenta una prima, radicale rivoluzione concettuale. Se, infatti, a partire dalla fine della guerra fredda la dottrina strategica americana è sempre stata basata sulla prospettiva di guerre asimmetriche (contro avversari tecnologicamente ed industrialmente assai più deboli), concretizzando così l’impostazione ideologica degli USA come polizia mondiale, adesso il JWC viene esplicitamente concepito in funzione di guerre simmetriche, contro un avversario di pari potenza e capacità [2]. Per converso, sembra permanere un vizio ideologico-culturale, ovvero la presunzione di una propria indiscutibile superiorità, che si manifesta sia esplicitamente, sotto forma di dichiarazioni ufficiali (“superiamo gli avversari grazie a un pensiero, a una strategia e a una manovra superiori”, “l’unico vantaggio che non potranno mai smussare, rubare o copiare, per quanto ci provino, perché è insito nel nostro popolo, è l’ingegno americano” [3]), sia implicitamente, nell’insistere su un modello di warfare tecnologico – mostrando in questo di non aver appreso appieno la lezione ucraina.

Paradossalmente, infatti, proprio nel momento in cui il dominio statunitense ed occidentale viene fortemente messo in discussione, tanto non solo da metterlo in crisi, ma da richiedere nuovi piani strategici per riaffermarlo, il senso di superiorità resta inscalfibile.
Rispetto all’esperienza della guerra in corso in Europa, ad esempio, così come si manifesta una certa reticenza ad utilizzarla per testare – in condizioni reali di combattimento – i sistemi d’arma più moderni, ugualmente si può osservare una eguale reticenza a trarne insegnamenti sul piano operativo, tattico e strategico, quando ciò comporterebbe il riconoscimento di una superiorità non meramente quantitativa e/o contingente del nemico.
Questo è ovviamente un considerevole gap, destinato a riflettersi anche sull’evoluzione dottrinale delle forze armate USA-NATO.

La seconda rivoluzione che si sta facendo strada, nella definizione della guerra futura, è il grande predominio affidato all’intelligenza artificiale (AI). Alla base, c’è l’idea che occorra mettere in campo “reti di battaglia collaborative uomo-macchina che conducono operazioni algoritmiche abilitate all’intelligenza artificiale” [4]. Questa idea si fonda sulla convinzione che il campo di battaglia futuro sarà caratterizzato da due elementi: la presenza di sistemi d’arma a conduzione umana così come di sistemi autonomi e misti, e la presenza di una infinità di sensori, in grado di generare una enorme mole di dati [5]. Da qui la necessità dell’AI, sia per raccogliere ed elaborare velocemente questi dati, sia per trasformarli in istruzioni per i sistemi d’arma unmanned. Il tutto alla massima velocità possibile, quanto più prossima alla capacità attuativa dei sistemi-macchina.
Da questo punto di vista, però, si tratta in effetti più che altro di una evoluzione, in quanto si muove all’interno di un concetto di guerra in cui è il fattore tecnologico ad essere ritenuto determinante.

In termini generali, sembra che gli USA abbiano dimenticato d’aver perso più d’una guerra contro eserciti primitivi (Vietnam, Afghanistan), eppure non demordono dalla convinzione che la superiorità sia essenzialmente un fatto tecnologico. Neanche la lezione ucraina viene appresa, benché mostri chiaramente come in una guerra di logoramento siano al contrario assai più importanti le quantità piuttosto che la qualità. Un carro armato degli anni ‘70 spara come uno supertecnologico, e se sei in grado di metterne in campo 10-20 ogni carro moderno nemico, il vantaggio qualitativo decade rapidamente. In più, la differenza di costi – e di tempi di produzione – è tutta a svantaggio della tecnologia. Ancora dall’Ucraina, un esempio chiaro è quello della difese aeree ed anti-missile fornite dall’occidente a Kiev; sistemi costosissimi, con tempi di produzione assai lunghi, in cui ogni singolo missile costa un’enormità, che vengono messi fuori combattimento da droni che costano si e no un centesimo del sistema distrutto. E infatti queste difese ucraine oggi sono quasi azzerate.

Ovviamente, a monte di questa visione strategica non c’è soltanto il senso di superiorità occidentale, ma anche una autentica fiducia – pressoché illimitata – nella tecnologia made in US [6], nonché (e non da ultimo) gli interessi del complesso militare-industriale, che riesce ad ottenere maggiori margini di profitto da una produzione limitata di sistemi d’arma ad alta tecnologia ed alto costo.
La questione dell’ammodernamento della dottrina strategica, infatti, non è una mera questione teorica, ma si riflette immediatamente sia sulla organizzazione complessiva delle forze armate, sia sulla tipologia di sistemi d’arma impiegati, sia sulla produzione industriale che deve sostenere tutto ciò, anche in condizioni di conflitto – e quindi, di elevato consumo.
Ancora dai campi di battaglia ucraini, la constatazione che tra il consumo di munizionamento d’artiglieria e missilistico, e la relativa produzione occidentale, c’è uno scarto considerevolissimo.

Tutto ciò comporta che la messa a punto – dottrinale, organizzativa e produttiva – di un nuovo Joint Warfight Concept comporterà uno sforzo finalizzato, la cui durata non potrà presumibilmente essere inferiore ad un lustro [7]. E tutto ciò senza considerare i tempi di addestramento del personale alle nuove tattiche di combattimento. Secondo quanto sostenuto dalla Hicks (con riferimento all’insufficiente addestramento degli ucraini), “per produrre una forza sul campo efficace, in grado di impiegare operazioni armate combinate, per sconfiggere una grande potenza che ha preparato un sistema difensivo a più cinture, è necessario prima disporre di un numero considerevole di brigate da combattimento con equipaggio completo. I battaglioni e le compagnie di ciascuna brigata devono essere dotati di capi di plotone e sergenti, comandanti di compagnia, primi sergenti, sergenti maggiori, comandanti di battaglione e ufficiali delle operazioni con esperienza nella conduzione di tali operazioni. Questi leader necessitano di esperienza da due a cinque anni a livello di plotone, da 5 a 7 anni di compagnia e 15-20 anni a livello di battaglione e brigata” [8]. E stiamo parlando ancora di guerra convenzionale, secondo i vecchi schemi dell’AirLand Battle! Il passaggio ad un JWC basato sull’AI, quindi qualcosa di totalmente nuovo per l’intera linea di comando, difficile credere che possa realizzarsi in poco tempo.

Se questa è la linea strategica su cui gli USA e la NATO intendono orientarsi, significa che non saranno in grado di affrontare uno scontro simmetrico diretto prima di 10-15 anni almeno; ma nel frattempo sicuramente il PLA (Popular Liberation Army) cinese avrà sopravanzato le forze americane non solo per quanto riguarda le forze di terra, ma anche per la marina. E probabilmente l’economia cinese avrà superato quella USA. Per tacere del fatto che l’accelerazione dell’aggressività statunitense sta già oggi spingendo i suoi principali nemici (Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, tutti molto ben attrezzati sul piano militare-industriale [9]) a sviluppare un’avanzata cooperazione su questo terreno, e che in caso di conflitto si attiverebbero tutti contro la NATO e l’ASEAN. Il che non lascerebbe praticamente scampo, alle forze occidentali.

A prescindere quindi dal fatto che questa dottrina strategica richiederebbe un tempo medio-lungo per divenire operativa, e che quindi la fase di transizione costituirebbe un momento di debolezza per le forze armate occidentali, essa comunque contiene – a mio avviso – una eccessiva dose di ottimismo. Innanzi tutto, e come sempre, immagina che il nemico sia non semplicemente simmetrico (anzi, “quasi pari”…) ma anche speculare, che cioè adotti la medesima prospettiva strategica. Il che non è affatto detto. Naturalmente ogni esercito d’una certa potenza integrerà forme di intelligenza artificiale, così come farà ricorso in maniera crescente all’uso di sistemi d’arma basati su macchine autonome. Ma questo di per sé non implica che saranno utilizzati con la medesima logica di quella adottata in ambito NATO.

Se guardiamo ad esempio alla categoria dei droni (che vanno dai grandi UAV da osservazione e d’attacco, ai droni kamikaze, fino ai piccoli quadcopter da rilevamento), sembra di capire che il loro utilizzo nell’ambito del nuovo JWC sia prevalentemente quello di acquisire informazioni sul campo di battaglia, trasmetterle al software AI che le elabora tutte in tempo reale, e che poi trasmette gli ordini operativi ai sistemi d’attacco (siano essi droni, unità di terra o aeree). Questo è evidentemente un approccio centralizzato – sia pure a livello di comando operativo – parzialmente attenuato dalla gestione autonoma effettuata dall’AI stessa. Se consideriamo che nell’ambito del conflitto ucraino le forze di Kiev perdono – per propria stessa ammissione – circa 10.000 droni al mese, è facile comprendere che questo tipo di approccio, strutturato per lavorare su grandi quantità di dati, è anche estremamente fragile. Se su un campo di battaglia il flusso di dati dovesse subire un calo drastico, l’intero sistema di controllo e comando rischierebbe di andare in tilt.

Non a caso, al Pentagono è stato elaborato il concetto di manovra espansa. Il succo della manovra espansa è aggregare le capacità operative per ottenere un effetto significativo, mantenendo una elevata capacità di disaggregarle per sopravvivere a qualsiasi tipo di minaccia. Ovvero, conseguire una estrema flessibilità del sistema C2. Cosa che, come dice il generale John Hyten [10], “è una cosa semplice semplice da dire. È un’aspirazione. È incredibilmente difficile da realizzare”.
In sostanza, se come abbiamo visto il nuovo Joint Warfight Concept si differenzia dal vecchio essenzialmente per l’accettazione di una prospettiva di guerra simmetrica, e per una ulteriore spinta in direzione della tecnologizzazione della guerra, porta però con sé due vecchi limiti: presumere che il nemico adotti il medesimo approccio, e presumere che la superiorità intrinseca del sistema occidentale produca conseguentemente quella del suo apparato bellico.

Questo può a prima vista apparire un vezzo (o un vizio) culturale, di secondaria importanza sotto il profilo strategico, ma come si è visto si tratta di qualcosa di più, e di più significativo. Questo pregiudizio, infatti, non solo produce la sopravvalutazione delle proprie capacità (e spesso la sottovalutazione di quelle nemiche), ma costituisce un ostacolo per apprendere dall’esperienza, anche e soprattutto quando è negativa.
Anche se l’elaborazione del nuovo JWC è iniziata nel 2018, è abbastanza evidente che quanto sta emergendo dalla guerra ucraina non sta incidendo in alcun modo significativo su di esso. Mentre da questo punto di vista i russi si stanno rivelando assai pragmatici, e capaci di adeguarsi tempestivamente alle mutazioni che si producono sul campo di battaglia, da parte americana si evidenzia invece una riottosità a riconoscere gli errori – che è poi la premessa per ripeterli, o quanto meno per non correggerli.

Pur riconoscendo, ad esempio, che “la cruda verità della guerra tra Russia e Ucraina oggi è che l’offensiva all’ultimo respiro di Kiev è fallita, e nessun tentativo potrà cambiare il risultato” [11], i comandi NATO ne scaricano la responsabilità su quelli ucraini, che sarebbero stati incapaci di eseguire correttamente ciò che gli era stato insegnato durante i frettolosi addestramenti in Europa. Omettendo però non solo che era ben noto come i piani suggeriti dalla NATO fossero per più ragioni del tutto impraticabili, ma che l’offensiva in sé risponde assai più ad esigenze politiche dell’occidente, che non a quelle militari dell’Ucraina.
Il rifiuto di ammettere una sconfitta, di assumersene la responsabilità quantomeno condivisa, se può avere un senso sul piano della propaganda e della comunicazione mediatica, è invece esiziale se si manifesta sul piano dell’analisi e della riflessione teorica.
Il rischio, per l’impero americano, è che la fantascientifica cyber-guerra che immagina di combattere in futuro, si riveli invece null’altro che una favoletta di fantascienza. E che, diversamente da ciò che accade nei fumetti, a vincere potrebbero essere i cattivi.


1 – Cfr. “A Joint Warfighting Concept for Systems Warfare”, Robert O. Work, cnas.org

2 – È interessante notare che, nel suo discorso “L’urgenza di innovare” (pubblicato su www.defense.gov), la Vice Segretaria alla Difesa Kathleen Hicks faccia esplicito riferimento alla Cina, senza mai menzionare la Russia, segno che – nel disegno strategico globale statunitense – viene contemplato lo scontro diretto con la Repubblica Popolare Cinese, ma non con la Federazione Russa.  Ciò, nonostante nei grandi disegni strategici di Washington la Russia sia considerata un avversario minore, e se ne persegua la distruzione come apparato statuale, mentre la Cina è considerata un avversario quasi pari, che però va solo piegata.

3 – Cfr. “L’urgenza di innovare”, ibidem

4 – Cfr. “A Joint Warfighting Concept for Systems Warfare”, ibidem

5 – “Il campo di battaglia comprende un intero teatro di operazioni, sorvegliato da migliaia di sensori multi-fenomenologici che forniscono troppi dati e informazioni perché qualsiasi comandante umano possa elaborarli e comprenderli”, ibidem

6 – “la nostra capacità di innovare, cambiare le carte in tavola e, in ambito militare, di immaginare, creare e padroneggiare il carattere futuro della guerra”, “L’urgenza di innovare”, ibidem

7 – Cfr. “La scacchiera di Brzezinsky”Giubbe Rosse

8 – Cfr. “L’urgenza di innovare”, ibidem

9 – Per quanto riguarda l’Iran, è noto che la sua produzione di droni è tra le più avanzate e massicce al mondo, così come che ha sviluppato a sua volta missili ipersonici (gli USA stanno ancora alla fase di test), mentre la meno nota Corea possiede un possente esercito, ed ha sviluppato sistemi d’arma d’avanguardia. Al riguardo, cfr. “Four North Korean Weapons Types Russia Could Seek to Import Urgently: How Each Could Shift the Balance in Ukraine”Military Watch Magazine

10 – Citato in “The Joint Warfighting Concept Failed, Until It Focused On Space And Cyber”, Theresa Hitchens, breakingdefence.com

11 – Cfr. “L’urgenza di innovare”, ibidem

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