E dopo aver ucciso l’ultimo terrorista di Hamas che si fa?
Un mese di guerra, con la lista quotidiana di vittime che si allunga sempre più nella striscia di Gaza. E quasi sempre sono civili, bambini, donne e uomini che fino a un mese fa pensavano soltanto a come arrivare a fine giornata, a come vivere in maniera normale in una terra dove di normale da anni non c’è più nulla. Quando si bombarda, quando ci sono i soldati di mezzo, dicono i generali, si possono limitare i cosiddetti danni collaterali ma non eliminarli.
Un mese di guerra, con la lista quotidiana di vittime che si allunga sempre più nella striscia di Gaza. E quasi sempre sono civili, bambini, donne e uomini che fino a un mese fa pensavano soltanto a come arrivare a fine giornata, a come vivere in maniera normale in una terra dove di normale da anni non c’è più nulla. Quando si bombarda, quando ci sono i soldati di mezzo, dicono i generali, si possono limitare i cosiddetti danni collaterali ma non eliminarli. Diciamo subito che i terroristi di Hamas, la loro ideologia religiosa incentrata sulla morte e sul martirio, sono il nemico numero uno del popolo Palestinese. Sono l’alleato principale di chi punta sull’odio, sulla guerra e la sua economia, in poche parole di quelli che guadagnano dalle stragi di innocenti. Siamo ancora nel pieno dell’azione militare, la risposta di Israele al massacro di oltre 1.300 cittadini ebrei per mano di Hamas. Una reazione che finora, come dicono fonti Onu, ha già causato la morte di 10mila palestinesi e costretto altre decine di migliaia di loro a lasciare il posto che avevano e che adesso è un cumulo di macerie, per trovare scampo altrove.
Non voglio commentare le parole di qualche comandante israeliano secondo cui ogni palestinese è comunque corresponsabile. Servono soltanto a caricare di rabbia chi deve rispondere colpo su colpo, chi deve far prevalere la propria forza a colpi di mitraglia e bombe. Ci sono responsabilità politiche gravi, a partire dal premier Benjamin Netanyahu che in tutti questi anni ha sempre combattuto l’idea di arrivare ad una soluzione di pace, dei due popoli e due stati. Anzi, come hanno denunciato esponenti di spicco della politica di Israele, è stato proprio Netanyahu che ha favorito il rafforzamento di Hamas, garantendo l’arrivo di miliardi di dollari da paesi arabi. Sapendo che proprio Hamas sarebbe stato l’ostacolo principale alla possibile soluzione. Quando c’è una guerra in corso bisogna far di tutto per fermarla, è giusto, anche uno stop temporaneo può servire a mettere in salvo tanti innocenti. Ma bisogna anche essere realisti, prendere sul serio i proclami del premier israeliano, che si farà di tutto per stroncare Hamas, proseguire la guerra fino ad eliminare l’ultimo terrorista. Ecco, io vorrei però soffermarmi a questo punto sulla domanda delle domande: e dopo che si fa? Perché dopo, prima o poi, bisognerà trovare una soluzione per far vivere in pace, senza scannarsi, due popoli che vivono nello stesso territorio.
Dopo una tragedia c’è sempre un inizio, tocca alle parti più consapevoli, a livello locale e internazionale, far di tutto per ritrovare una possibile via d’uscita. Che non passerà per Netanyahu, politico screditato e additato anche in Patria come inetto e colpevole di gravi reati. Il popolo israeliano saprà trovare il suo nuovo leader, quello che, insieme al ‘Mandela’ palestinese, potrà avviare un negoziato per la futura convivenza. Bisognerà quanto prima trovare il ‘Mandela’ di Palestina (Marwan Barghouti?) che, come il futuro leader e presidente Sudafricano, fino all’inizio del processo di superamento dell’apartheid stava marcendo in carcere da 27 anni.
Anche lui era stato accusato di essere un terrorista ma dopo decenni di prigionia fu proprio lui a trovare la via per garantire un futuro al suo popolo. Non incitò alla rivolta o al massacro di quanti per decenni avevano oppresso la sua gente. Pensò al futuro, a quello che bisognava fare per far vivere insieme chi fino a poco prima si odiava. Abolì l’apartheid, estese gli stessi diritti a tutto il popolo. Questo, alla luce degli scandali politici che poi si sono susseguiti in quel paese, non significa che un nuovo inizio di per sé risolva tutti i problemi. Siamo uomini e gli uomini sbagliano. L’importante è che poi insieme si possa migliorare, attraverso il confronto ed anche lo scontro istituzionale trovare una soluzione accettabile. Solo l’odio fossilizza, rende immobili, non fa guardare all’altro come un proprio simile ma come ad un oggetto da distruggere. Vorrei finire questo mio commento con una strepitosa poesia di Danilo Dolci (andate in rete, scoprite quello che fece senza guardare in faccia nessuno finendo anche in galera). Un italiano non violento, che negli anni Cinquanta lasciò il ricco Nord per trasferirsi nell’ultimo dei più miserabili paesi della Sicilia. Dove compì gesti memorabili, che aiutarono veramente gli ultimi della terra a ritrovare una propria dignità, un possibile futuro per loro e i loro figli.
Ciascuno cresce solo se sognato
C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato.
C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo,
aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato.
Nico Perrone
(direttore responsabile Agenzia Dire)
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