Cisgiordania: l’altra guerra non dichiarata di Israele contro i palestinesi
17 Novembre 2023
Lontano dai riflettori dei media occidentali e con l’opinione pubblica internazionale concentrata su quanto sta accadendo a Gaza, nella Cisgiordania occupata si stanno moltiplicando le violenze da parte dell’esercito e dei coloni israeliani contro i palestinesi. Si tratta dell’altra guerra non dichiarata che sta portando avanti Israele con l’obiettivo evidente di impossessarsi di nuovi territori e non giustificata dagli attacchi terroristici di Hamas. A partire dallo scorso 7 ottobre, infatti, gli assalti dei coloni sono raddoppiati, così come i raid dell’esercito – in media 40 al giorno – e il ministro per la Sicurezza nazionale Ben Gvir, un suprematista ebraico, ha addirittura fatto distribuire pistole e fucili ai coloni – che secondo la legge internazionale sono occupanti – invitandoli a usarli contro la popolazione palestinese: i coloni israeliani non si sono fatti ripetere l’invito e hanno ammazzato almeno 8 persone nell’ultimo mese, mentre l’esercito israeliano ne ha uccise almeno 203 in Cisgiordania. Secondo le Nazioni Unite, in tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, “la violenza ha raggiunto livelli senza precedenti mai visti negli ultimi 15 anni”. Una violenza fuori controllo, al punto che anche il governo francese ha usato parole insolitamente dure verso le politiche israeliane in Cisgiordania, parlando di “politica del terrore”.
L’emittente araba Al Jazeera, ha riferito che la scorsa notte l’esercito israeliano ha circondato almeno quattro ospedali e ha lanciato un attacco con droni sul campo profughi di Jenin uccidendo almeno cinque persone e ferendone 14. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno attaccato anche l’ospedale Ibn Sina portando avanti un’operazione militare durata diverse ore. Già nella serata di giovedì, 80 veicoli militari di Tel Aviv sono arrivati nella città di Jenin e i soldati hanno fatto irruzione nelle case palestinesi arrestando diverse persone: «Decine di veicoli blindati sono arrivati, insieme anche a bulldozer, danneggiando auto e strade», ha riferito Sara Khairat di Al Jazeera. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito che l’IDF ha impedito ai servizi di emergenza di raggiungere i feriti. Inoltre, giovedì tre palestinesi sono stati uccisi da soldati israeliani che hanno aperto il fuoco a un posto di blocco.
La Cisgiordania – in inglese West Bank – è territorio palestinese occupato da Israele dal 1967 e quindi solo in parte sotto l’amministrazione dell’Autorità nazionale palestinese (ANP): negli anni, Tel Aviv vi ha costruito un numero crescente di colonie, trasferendovi circa 500.000 cittadini israeliani. Tutti i governi dello Stato ebraico hanno favorito la politica di ampliamento delle colonie, ignorando gli appelli – provenienti anche dai principali alleati statunitensi – a fermarne l’espansione. L’intera area è suddivisa in tre zone, A, B e C: la zona A è amministrata dal punto di vista civile e della sicurezza dall’ANP (è la zona di proporzioni più piccole pari al 18%); la zona B, che occupa il 22% del territorio, è amministrata dal punto di vista civile dall’ANP, ma la sicurezza è sotto il controllo di Tel Aviv. Infine, la C, che comprende il 60% del territorio, è sotto il pieno controllo israeliano che quindi amministra ben più della metà dell’area, facendo quotidianamente pressioni affinché i residenti palestinesi abbandonino le loro case e i loro terreni e rendendo la vita impossibile alla maggior parte di essi attraverso i posti di blocco, che sono disseminati in tutta la zona, e le restrizioni di movimento: la Cisgiordania è infatti chiusa in una rete di “divieti di accesso” validi solo per i palestinesi, i quali per aggirare le zone vietate sono spesso costretti a percorrere chilometri per raggiungere luoghi vicini poche decine o centinaia di metri. Per passare ai centinaia di posti di blocco sparsi in tutto il territorio, i palestinesi devono avere dei permessi, il cui rilascio è stabilito esclusivamente da Israele. Si tratta di pratiche che proseguono da decenni e che dal 7 ottobre sono aumentate, in quanto gli occupanti israeliani fanno affidamento sulla loro assoluta impunità, anche grazie al fatto che l’attenzione è rivolta principalmente all’eccidio che si sta consumando nella Striscia di Gaza.
Dall’inizio della guerra, gli attacchi dei coloni e le restrizioni di movimento hanno avuto come effetto l’espulsione di più di 800 palestinesi. La gran parte dei coloni non nascondono che il loro obiettivo principale sia quello di occupare tutta la terra della Palestina storica eliminando la presenza palestinese, secondo quella che si può definire una vera e propria pulizia etnica. Per reprimere e cacciare i palestinesi, gli israeliani hanno aumentato notevolmente anche il numero degli arresti in Cisgiordania: dal 7 ottobre ben 2.650 persone sono state trattenute con il metodo della detenzione amministrativa, senza accuse né processo, compresi politici, studenti universitari, attivisti per i diritti umani e artisti. Gli arrestati provengono prevalentemente da Ramallah, Jenin, Betlemme e Nablus e sono spesso sottoposti a torture e trattamenti umilianti. Secondo quanto riportano alcune organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, subiscono gravi percosse e sono costretti a inginocchiarsi, a volte nudi e con la testa coperta da un sacco, e a cantare canzoni israeliane.
Gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania sono illegali per il diritto internazionale, per le Nazioni Unite e per gli stessi governi occidentali che non li riconoscono. Tuttavia, la cosiddetta “comunità internazionale” e le Nazioni Unite non riescono a fare nulla per fermare le violenze e le violazioni degli accordi internazionali che si perpetrano ormai da più di settant’anni, anche perché le politiche in Cisgiordania sono sostenute pienamente dal potente governo dello Stato ebraico, che, a partire dal 7 ottobre, sta compiendo un’operazione di pulizia etnica non sono a Gaza, ma anche nei restanti territori palestinesi.
[di Giorgia Audiello]
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