Incontro Biden-XI. Riparte il dialogo tra gli eserciti, ma la rivalità strategica continuerà
di Michelangelo Cocco - Centro studi sulla Cina contemporanea
Buongiorno da Shanghai.
Dopo un anno dal loro ultimo faccia a faccia, mercoledì mattina Xi Jinping e Joe Biden si sono rivisti a San Francisco, a margine del vertice della Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), per provare a portare un po’ di sereno in quella che il presidente cinese ha definito la «relazione bilaterale più importante del mondo», tra la potenza egemone e la Cina in ascesa. L’incontro - preparato dal viavai degli ultimi mesi tra Cina e Stati Uniti dei rispettivi ministri - è durato un paio d’ore, e vi hanno partecipato delegazioni governative ai massimi livelli. Al netto di convenevoli e traduzioni non si è trattato di un vertice lungo, segno che gli obiettivi erano minimi: guardarsi in faccia e siglare una serie di accordi “interlocutori”, in vista di una possibile distensione.
Xi (che mancava dagli Usa dal 2017, quando era stato ospite di Trump) è stato accompagnato dal suo capo dello staff, Cai Qi; dal ministro degli esteri, Wang Yi; dal capo della Commissione nazionale per la riforma e lo sviluppo (Ndrc), Zheng Shanjie; dal ministro del commercio, Wang Wentao; e dall’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Xie Feng. Al termine dell’incontro non è stato diramato un comunicato congiunto, ma due resoconti separati. Fonti Usa hanno riferito di un dialogo molto “diretto”, durante il quale Biden ha sollevato anche la questione della violazione dei diritti dell’uomo nelle regioni del Xinjiang e del Tibet. In un’intervista concessa a caldo alla CNN il presidente Usa ha definito ancora una volta un “dittatore” il suo omologo cinese.
L’accordo più importante raggiunto a San Francisco che potrebbe favorire una è quello relativo alla ripresa delle comunicazioni ufficiali tra i rispettivi vertici militari, sospese dopo l’incontro a Taipei nell’agosto 2022 (per Pechino una “provocazione”) tra l’allora speaker della Camera, Nancy Pelosi, e la presidente Tsai Ing-wen. Riavviare i canali di contatto ufficiali tra i due eserciti era una delle richieste principali dell’amministrazione Biden, che deve fare i conti con l’insuccesso della controffensiva ucraina e con il conflitto a Gaza, e che dunque non può permettersi l’esplosione di una terza crisi, con la Cina, magari nello stretto di Taiwan, nei mesi che porteranno alle elezioni del 5 novembre 2024.
Via dunque alla ripresa dei colloqui sul coordinamento della politica di difesa; degli incontri nell’ambito dell’accordo consultivo marittimo militare; e del dialogo tra i comandanti di teatro del Pentagono e dell’Esercito popolare di liberazione. Si tratta di un’intesa senz’altro positiva, ma da verificare in uno Stretto di Taiwan e in un Mar cinese meridionale militarizzati, dove Pechino non rinuncerà alle sue rivendicazioni territoriali e a far sentire la presenza e i progressi della sua marina, e Washington non sospenderà i suoi pattugliamenti a tutela della “libertà di navigazione”.
Su Taiwan, l’amministrazione Biden si è limitata a rassicurare che non vi è alcun cambiamento nella politica (per i cinesi è un principio) “Una sola Cina”, che Washington non sostiene l’indipendenza dell’isola. Pechino ha ribadito che quella di Taiwan è la questione delle questioni nella relazione bilaterale con Washington e Xi ha detto a Biden che la “riunificazione” dell’isola alla madrepatria è “inarrestabile”. Nelle stesse ore la novità più interessante arrivava da Taipei, dove è stato raggiunto un accordo tra i nazionalisti del Kuomintang e il Partito del popolo, che domani dovrebbero presentare un candidato comune per le presidenziali del 13 gennaio: le due formazioni, favorevoli al dialogo con Pechino, a questo punto hanno ottime chances di sostituire al governo gli “indipendentisti” del Partito progressista democratico, legati a Washington.
Xi e Biden si sono confrontati anche sul conflitto tra Israele e Hamas. Su questa crisi l’amministrazione Biden ha chiesto la collaborazione della Cina sia nell’assistenza umanitaria a Gaza, sia nella difesa di Israele, perché - ha spiegato il portavoce della Casa bianca, John Kirby - Pechino «ha in Medio Oriente canali di comunicazione che in qualche mondo a noi mancano». L’intercessione di Pechino presso Tehran è importante per ottenere un obiettivo che sta a cuore agli Stati Uniti: evitare che l’Iran - attraverso Hezbollah dal Sud del Libano - entri nei combattimenti, rischiando di provocare una reazione (contro Tehran) che potrebbe trasformare l’attuale crisi in una guerra regionale.
Per quanto riguarda il contrasto al cambiamento climatico, gli Stati
Uniti e la Cina hanno concordato di riavviare i colloqui sulle politiche
energetiche e di lanciare un gruppo di lavoro per rafforzare l’azione
comune in quello che hanno definito “il decennio critico degli anni
2020”. I due governi si sono impegnati ad aumentare in maniera
significativa l’impiego di energie rinnovabili, tra cui quella eolica,
solare e di stoccaggio delle batterie, in modo da sostituire sempre più i
combustibili fossili. Xi e Biden hanno inoltre raggiunto convenuto di
lavorare assieme per regolamentare o bandire l’applicazione
dell’intelligenza artificiale dai sistemi di armamento a guida autonoma,
dalle applicazioni militari e dagli ordigni nucleari. Inoltre sarà
istituito un gruppo di lavoro congiunto per contrastare l’esportazione
illegale dalla Cina di Fentanyl, l’oppioide sintetico che nell’ultimo
anno ha causato decine di migliaia di morti per overdose negli Stati
Uniti.
Nel corso degli incontri degli ultimi mesi tra i
rispettivi ministri che hanno fatto la spola tra Cina e Stati Uniti è
stato raggiunta un’intesa sull’istituzione di tre gruppi di lavoro
congiunti su economia, finanza, commercio. I due governi si sono inoltre
accordati per aumentare il numero di collegamenti aerei tra i due
paesi, la concessione di visti (anche giornalistici), favorire gli
scambi tra i due popoli.
Resta il fatto che sulle questioni più spinose che dividono Cina e Stati Uniti (Taiwan, il commercio internazionale, i conflitti globali, la competizione tecnologica, il Mar cinese meridionale) non si è registrato alcun progresso sostanziale. Il guardrail per evitare uno scontro aperto tra Washington e Pechino viene giustamente accolto come un passo avanti semplicemente perché lo è in un contesto, quello attuale, in cui le relazioni tra i due paesi sono al livello più basso degli ultimi 40 anni e, dunque, qualsiasi progresso è benvenuto.
Nella strategia di sicurezza nazionale pubblicata dall’amministrazione Biden il confronto con la Cina, definita «la sfida geopolitica più significativa per l’America», occupa un ruolo centrale. Ciononostante, secondo Xi:
Il conflitto e lo scontro hanno conseguenze insopportabili per entrambe le parti. Sono ancora dell’idea che la concorrenza tra i principali paesi non sia la tendenza prevalente dei tempi attuali e non possa risolvere i problemi che affliggono la Cina e gli Stati Uniti o il mondo in generale.
In serata, Xi ha incontrato i rappresentanti di corporate America. «La speranza delle relazioni Cina-Stati Uniti è rappresentata dai nostri popoli», ha detto Xi a un folto gruppo di amministratori delegati tra i quali spiccava Tim Cook (Apple), ai quali ha ricordato che il suo paese è una «mega economia e mega mercato» e che «la modernizzazione per 1,4 miliardi di cinesi è un’enorme opportunità che la Cina offre al mondo».
A San Francisco Biden e Xi hanno piantato un guardrail per evitare uno scontro aperto tra Cina e Stati Uniti. Ma Xi Jinping ha ripetuto a Biden - che non a caso potrebbe diventare il primo presidente Usa dal 1979 a non aver visitato la Repubblica popolare cinese - che la Cina ha «interessi che devono essere salvaguardati, principi che devono essere sostenuti e linee rosse che non devono essere oltrepassate».
Più che una vera e propria distensione nella relazione bilaterale, l’incontro di San Francisco sembra aver suggellato un patto per non farsi del male di qui alle prossime elezioni americane. Poi si vedrà.
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