Europa disarmata: l’incapacità di rifornire Kiev rivela quanto sia indifesa
Sfuma la promessa di un milione di munizioni all’Ucraina. I 27 Ue producono meno della Russia, non riescono a sostenere nemmeno indirettamente un conflitto moderno
All’inizio del 2023, prima che la guerra in Ucraina si trasformasse definitivamente in una logorante guerra di posizione, l’Ue aveva promesso un milione di munizioni all’esercito ucraino, entro il marzo del 2024. Ora siamo alla fine del 2023 e possiamo già dire che l’obiettivo è stato ampiamente mancato. All’Ucraina è stato dato un terzo di quanto era stato promesso.
Le munizioni, di tutti i calibri, sono fondamentali in una guerra di posizione, dove vince chi sopravvive, dunque chi ha più riserve, non solo umane, ma anche materiali, da gettare in battaglia. L’Ucraina ha perso gran parte della sua produzione nazionale, a causa dei continui bombardamenti russi. Quindi è molto più dipendente dagli aiuti europei e americani. Se l’Ue non riesce a mantenere le promesse, nel prossimo inverno Kiev sarà in guai seri.
Capacità produttiva e volontà politica
Perché mancano le forniture europee? A parte qualche crepa (Slovacchia e la solita Ungheria) il sostegno dei Paesi Ue alla causa ucraina è ancora unanime e non è in discussione. Manca proprio la capacità produttiva. Lo spiegava, nei giorni scorsi, Boris Pistorius, ministro della difesa tedesco: “Dobbiamo presumere che l’obiettivo di un milione (di proiettili all’Ucraina, ndr) non sarà raggiunto”. E aggiungeva, “C’è da chiedersi se un milione sia mai stato realistico. Un milione è facile da dire e i soldi ci sono, ma dovrebbe esserci anche la capacità produttiva”.
Deprimente. La locomotiva d’Europa ammette che i membri dell’Ue, che tutti assieme hanno un Pil pari a un quinto di quello mondiale, non riescono a produrre più munizioni della Russia, che ha (aveva, prima della guerra) un Pil pari a quello della sola Spagna.
Si fa presto a misurare i rapporti di forze tenendo conto solo dei conti economici, come si faceva abitualmente prima che la Russia, invadendo l’Ucraina, suonasse la sveglia. La triste e cruda realtà è che i 27 Paesi dell’Ue non sanno sostenere neppure indirettamente un conflitto moderno, prolungato e ad alta intensità. Secondo statistiche attendibili, l’Ucraina spara, in media, 180mila proiettili d’artiglieria ogni mese, pari a circa la metà di quanto l’intera Ue produce in un anno.
Non c’era tempo? Considerando come gli ucraini hanno saputo adattarsi in fretta, ce n’era eccome. È dunque mancata la volontà politica di affrontare seriamente il conflitto. Non costa nulla schierarsi dalla parte del Paese europeo aggredito e dichiarare la propria solidarietà. Costa molto, invece, soprattutto in termini di consensi, aumentare la spesa militare. Una volta esaurite le scorte disponibili a costo zero (e conservandone a sufficienza per la propria difesa), è venuto meno il sostegno di una produzione di nuove armi e munizioni nella quantità necessaria a sostenere la resistenza ucraina.
La guerra in Europa
Eppure la situazione in Europa non consente più di cullarci nell’illusione della lunga pace. Comunque vada a finire la guerra in Ucraina (con un congelamento delle linee attuali, un arretramento russo, o una vittoria russa), Putin non sarà sazio, né soddisfatto. E la crisi nei Balcani è sempre sul punto di scoppiare. I membri dell’Ue, oltre ai membri europei (non Ue) della Nato, devono seriamente pensare alla guerra in Europa, esattamente con lo stesso senso di urgenza che c’era nella Guerra Fredda.
L’idea che i Paesi del vecchio continente possano contare, in eterno, sull’aiuto del nuovo mondo è superata. Donald Trump continua a ripetere che intende uscire dalla Nato. E anche se il Congresso glielo dovesse impedire, è chiaro che non interverrebbe in difesa degli alleati europei. Non riterrebbe più vincolante (obbligatorio non lo è mai stato) l’articolo 5, che prescrive la mutua difesa.
Sarebbe una follia dare per scontato che Trump si ravveda, una volta alla Casa Bianca. Se anche l’ex presidente repubblicano non dovesse vincere nel 2024, pure Joe Biden mostra chiari segni di disaffezione alla causa europea.
Poco e tardi anche dagli Usa
E non ha mai creduto seriamente alla causa ucraina. Soprattutto non ha mai creduto nella possibilità di una sua vittoria. Lo si vede dall’arrivo, col contagocce, degli aiuti militari americani.
Anche gli Usa hanno un problema di produzione. Hanno, in più, l’esigenza di continuare a rifornire altri alleati in pericolo: Taiwan e soprattutto (da ottobre) Israele. Ma ciò non spiega l’andamento a singhiozzo delle forniture di armi e munizioni all’Ucraina, se non con la mancanza di una volontà politica ad impegnarsi fino in fondo nella sua causa.
Nel primo inverno di guerra, gli Usa inviarono solo armi leggere (lanciamissili a spalla, anticarro e anti-aereo), dando per scontato che le linee ucraine sarebbero state travolte e che dunque fossero necessari i mezzi per alimentare una resistenza partigiana. Solo nella primavera del 2022, gli Usa hanno iniziato a mandare armi pesanti, ma difensive e a corto raggio, fra cui i lanciarazzi Himars e molta artiglieria.
Si è dovuto attendere il 2023 prima dell’arrivo di armi di prima schiera, fra cui carri Abrams, missili anti-missile Patriot e missili balistici Atacms a corto raggio. Troppo poco e troppo tardi rispetto alle perdite che gli ucraini ormai hanno subito.
Ritiro Usa?
Gli Usa stanno arrivando alla conclusione che è meglio ritirarsi dall’Europa, ancora una volta, come era di norma fino alla prima metà del Novecento? Troppo presto per dirlo, ma i Paesi europei devono prepararsi a questo scenario.
Non potremmo mai affrontarlo senza una nostra capacità di produrre armi a sufficienza per una guerra moderna. A meno che non si ricorra allo sport preferito dei più corrotti politici del Vecchio Continente: la corsa a farsi comprare dalla dittatura che urla di più, magari sognando future spartizioni di potere.
Nessun commento:
Posta un commento