PANTANO
In Ucraina è arrivato anticipatamente l’inverno. Pioggia e neve già
rendono impraticabili le strade non asfaltate, e la mobilità dei
corazzati è ridotta al minimo. Una tempesta di inaudita potenza ha
spazzato il mar Nero, distruggendo reti elettriche un po’ dovunque. 2000
villaggi ucraini sono senza energia elettrica, la Crimea è senza acqua
corrente, perché gli impianti di pompaggio non sono alimentati. In
alcuni punti della costa, il mare è arretrato anche di 100 metri.
Ovviamente
tutto questo si riflette immediatamente sulla linea di combattimento,
frenando fortemente l’attività aerea e di artiglieria, il che
nell’immediato costituisce un vantaggio per gli ucraini: le condizioni
climatiche, infatti, rallentano ulteriormente l’avanzata russa intorno
ad Avdeevka, così come la controffensiva sul Dniepr, nel settore di
Kherson.
La situazione sul campo è al momento, metaforicamente e praticamente, congelata.
L’arrivo del generale inverno, comunque, può tuttalpiù
agevolare le forze ucraine nel passaggio da una postura offensiva ad una
difensiva. Ma non è sufficiente per nulla di più, e come s’è già visto
lo scorso inverno, non fermerà l’esercito russo.
L’inevitabile
rallentamento delle operazioni terrestri, però, diventa terreno fertile
perché altri livelli del conflitto si manifestino più incisivamente. È
infatti evidente che la NATO è ormai entrata in modalità Minsk, ovvero è alla ricerca di una via d’uscita temporanea dal
conflitto; una qualche forma di accordo che consenta, appunto, di
congelare il conflitto, quel tanto che basta per rimettere in piedi una
parvenza di esercito ucraino efficiente, e soprattutto per mettere i
paesi europei dell’Alleanza in condizione di affrontare uno scontro diretto con
Mosca. È evidente che la NATO si sta orientando verso questa
prospettiva, una guerra con la Russia entro (relativamente) pochi anni.
Come del resto ha chiaramente detto il presidente della Repubblica Ceca,
Pavel, che oltretutto è un ex-generale NATO.
Vanno in tal senso sia gli sforzi (e gli investimenti) per adeguare
ed uniformare le infrastrutture viarie europee (sia su gomma che su
ferro), al fine di renderle adeguate agli spostamenti di truppe e mezzi
con standard NATO, sia la recente proposta di una Schengen militare [1], per agevolare la rapidità e libertà di movimento transfrontaliero per gli eserciti NATO.
Una
prospettiva che, però, richiede necessariamente che soprattutto gli
eserciti europei – e le rispettive capacità industriali – siano portati
al livello necessario per combattere una guerra di logoramento, con una
grande potenza militare come la Russia. E per fare ciò, occorre
fondamentalmente tempo. Un tempo di non belligeranza attiva,
che quindi richiede la chiusura (temporanea) del conflitto ucraino. Un
risultato, questo, che richiede l’allineamento di tre elementi: la
conversione della narrativa propagandistica, la disponibilità ucraina, e
soprattutto quella russa.
Ovviamente, i primi due sono non solo
quelli su cui è possibile esercitare tutta l’influenza della NATO, ma
anche quelli necessari (seppur non sufficienti) per avviare il dialogo
con Mosca.
Ma se riorientare la narrazione della propaganda (cosa peraltro già
in atto) è facile, convincere gli ucraini a più miti consigli sembra
esserlo assai meno. Zelensky, infatti, sembra essere determinato a
portare avanti la guerra ad ogni costo, anche perché percepisce che il
suo destino è ineluttabilmente legato al suo proseguimento, e quindi
quanto più dura il conflitto tanto più dura il suo potere.
Ne
consegue che per la NATO – o meglio, per chi in essa decide, ovvero
Washington – il problema è gestire una transizione al governo del paese;
idealmente, una transizione democratica sarebbe stata
preferibile, ma è evidente che Zelensky non ha alcuna intenzione di
tenere le elezioni presidenziali, il prossimo anno. Sarà pertanto
necessario, con ogni probabilità, ottenere il cambio desiderato in modo
un po’ più informale…
Al momento, il problema principale
sembra essere trovare un sostituto che sia affidabile (per gli USA) ma
anche credibile (per gli ucraini), cioè che sia capace di mantenere la presa sul paese, conducendolo fuori dalla guerra, senza scossoni né colpi di coda.
Quest’ultimo punto, in particolare, non è proprio scontato. Anche se,
infatti, la popolazione ucraina è stremata (e decimata), e vedrebbe
generalmente bene la fine delle ostilità, non bisogna dimenticare che
una parte significativa delle forze armate è costituita da unità
dichiaratamente filonaziste, la cui reazione potrebbe essere del tutto
imprevedibile (o prevedibilissima, secondo come la si guardi). Non
dimentichiamo che la storia europea racconta di ben due, clamorosi casi
in cui una pace vista come tradimento dei sacrifici della guerra,
produsse nella Germania sconfitta dapprima i freikorps e poi il
nazismo, e nell’Italia vittoriosa il fascismo. Non si tratta quindi di
un pericolo da sottovalutare, anche in considerazione del fatto che
queste unità banderiste sono molto ben armate ed addestrate.
Serve insomma un candidato che abbia l’autorevolezza per tenere sotto controllo i settori più inquieti della società ucraina, durante una fase necessariamente tempestosa.
Allo stato attuale, le alternative possibili a Zelensky sembrano essere due, il suo ex consigliere Arestovich, ed il capo delle forze armate Zaluzhny. Il primo è sicuramente in linea con la prospettiva del compromesso per la pace, ma è anche un personaggio non particolarmente limpido, e comunque noto ma non popolare. Diversamente il comandante in capo gode di molta stima, sia tra i militari che nella popolazione, ma seppure spesso in contrasto con il presidente non sembra però molto convinto dell’opzione pacifista; va da sé che, in virtù del suo ruolo attuale, non può sbilanciarsi troppo in tal senso, ma talune sue prese di posizione sembrano suggerire che il dissenso sia più che altro relativo alla migliore strategia per opporsi alla Russia, e non sull’idea di continuare a combattere o meno. E ovviamente, il fatto di essere il comandante dell’esercito renderebbe più difficile dissimulare la sostanza del modo in cui avverrebbe il cambio al vertice, cioè un golpe.
Naturalmente Zelensky è ben consapevole di tutto ciò, e si muove
cercando di prevenire le mosse di chi vorrebbe detronizzarlo. Sul piano
internazionale, è evidente che l’unico alleato di ferro su cui possa
contare è la Gran Bretagna (che diversamente dagli USA sono per
continuare la guerra sino all’ultimo ucraino), mentre sul piano interno è cominciata una vera e propria guerra fratricida, che oppone il gruppo di potere zelenskiano a quello (quasi esclusivamente militare) di Zaluzhny.
Del
resto, il presidente ucraino capisce bene che questa non è soltanto una
battaglia sulla scelta tra guerra e pace, e neanche una questione
meramente di potere; di fatto, a questo punto c’è molto di più. Come ha
scritto recentemente di lui Politico [2], “finché Zelensky sarà in vita,
continuerà a muovere l’Europa nella direzione che desidera”. Il che, se
non proprio come una minaccia, di certo suona come un oscuro
pronostico. Sta quindi usando il suo potere per indebolire gli
avversari.
Quello che sta accadendo in Ucraina, infatti, è un vero e proprio regolamento di conti, una sorta di notte dei lunghi coltelli [3]
protratta nel tempo. Secondo l’ex Deputato della Verkhovna Rada (il
Parlamento ucraino) Oleg Tsarev [4], due sono le strutture in grado di
realizzare un golpe senza bisogno di schierare i carri armati nelle
strade: la Divisione Speciale Alfa e le Forze per le Operazioni Speciali.
Il vice Comandante di Alfa, General Maggiore Shaytanov, è stato accusato di tradimento. Viktor Khorenko, Responsabile delle Forze Speciali,
è stato rimosso. La comandante dei reparti della sanità militare,
Tatyana Ostashchenko (una fedelissima di Zaluzhny), è stata rimossa.
Zelensky ha inoltre licenziato e sostituito quattro vice comandanti
della Guardia Nazionale ucraina.
Di più, Zelensky ha recentemente
lanciato un attacco diretto a Zaluzhny – sia pure senza nominarlo – in
un’intervista al quotidiano The Sun, dichiarando che “se un militare
decide di impegnarsi in politica, e ha tutto il diritto di farlo, allora
lascialo fare, ma poi non potrà impegnarsi in una guerra. Se sei in
guerra, pensi di entrare in politica o di candidarti alle elezioni
domani, allora sia a parole che in prima linea ti comporterai come un
politico e non come un militare, commettendo, secondo me, un grosso
errore” [5].
La situazione interna ucraina, quindi, è altrettanto impantanata
quanto le truppe al fronte. È probabile che, con il peggiorare delle
condizioni lungo la linea di combattimento, e con l’avvicinarsi della
campagna elettorale per le presidenziali USA, le pressioni da parte di
Washington per arrivare ad una Minsk III si faranno sempre più
forti, utilizzando la leva degli aiuti e delle forniture militari – la
cui entità e fattispecie sarà via via sempre più finalizzata a spingere
Kiev verso un accordo.
Naturalmente, in tutto ciò (come del resto
ormai d’abitudine) la NATO fa i conti senza l’oste. Non si capisce
infatti per quale ragione la Russia dovrebbe accettare oggi un
compromesso, dal quale non ricaverebbe null’altro che una presa d’atto occidentale
della realtà sul campo (ovvero qualcosa che già ha ottenuto), non solo
rinunciando agli obiettivi strategici della guerra – demilitarizzazione e
neutralità dell’Ucraina – ma nella consapevolezza che, proprio come è
stato per i precedenti accordi firmati nella capitale bielorussa, si
tratterebbe di meri espedienti, utilizzati dalla NATO per guadagnare
tempo e riprendere fiato.
Certamente in presenza di una disponibilità formale ucraina, e di una sostanziale statunitense,
la Russia subirebbe pressioni da più parti affinché quantomeno non
respinga pregiudizialmente la possibilità di un accordo. È chiaro che
questa guerra risulta scomoda, anche per alcuni importanti amici di
Mosca – la Cina tra tutti. Ma è anche vero che un accordo di compromesso
al ribasso, non solo potrebbe provocare malumori nel paese (ancora la vittoria tradita…),
ma sarebbe soprattutto un errore strategico. È infatti assolutamente
evidente che la NATO si sta preparando per la guerra, e che – a meno di
clamorosi eventi – nel giro di 5/7 anni si sentirà pronta per ripartire
all’offensiva; magari proprio da un’Ucraina ritirata sù alla bell’e
meglio, che riapre il conflitto col pretesto di riprendersi i territori
perduti.
Qualsiasi accordo che non preveda il conseguimento certo degli
obiettivi, risulterebbe pertanto una manovra a dir poco avventata.
Probabile quindi che Mosca, pur accettando di sedersi ad un tavolo, non
accetterà invece alcun cessate il fuoco, e soprattutto non sottoscriverà
alcun trattato rispetto ai cui termini sia garantita non già dalla
parola della NATO, ma da risultati concreti ottenuti sul campo di
battaglia.
Indipendentemente da quanto accadrà a Kiev nei prossimi mesi, quindi, la prospettiva che si sta delineando sul medio periodo è quella di una nuova guerra con la Russia, ma in cui l’Ucraina (o i baltici, o chi altro sia disposto a ricoprire il ruolo) farà da innesco, ma a fare la parte dei prossimi proxy saranno gli eserciti europei della NATO. Mentre l’impero manovra per linee esterne, come si addice ad una potenza thalassocratica, a combattere sulle frontiere vanno gli eserciti coloniali.
1 – Cfr. “La NATO esorta gli Stati membri a costruire una ‘Schengen’ militare”, Euractiv.it
2 – Cfr. “The most powerful people for 2024”, Politico Europe
3 – Cfr. “La notte dei lunghi coltelli”, Rai Cultura
4 – Cfr. “Sul licenziamento del responsabile delle forze speciali dell’ucraina, General Maggiore Viktor Khorenko”, Telegra.ph
5 – Cfr. “Zelensky warns Ukraine generals that getting involved in politics puts country’s unity at risk”, The Sun
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