Una nuova scoperta fornisce dettagli inediti sull’estinzione dei dinosauri
4 Novembre 2023
Sono pochi i dubbi rimasti, ormai, sul fatto che la grande estinzione di massa avvenuta circa 65,6 milioni di anni fa sia stata provocata dall’impatto di un asteroide, il quale causò una reazione climatica a catena che spazzò via quasi l’80% delle specie esistenti. Quello su cui ancora ci manca certezza è capire il ruolo e l’impatto delle diverse componenti coinvolte nella catastrofe. Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria pubblicato sulla rivista Nature Geoscience la causa fu qualcosa che anche oggi continua a preoccuparci in ambito sanitario ed ambientale: le polveri sottili. Lo studio suggerirebbe infatti che, più che lo zolfo e la fuliggine, furono le polveri originate da silicati ad avere un ruolo determinante nel raffreddamento globale del clima e nell’interruzione della fotosintesi clorofilliana.
L’estinzione di massa del Cretaceo-Paleogene, anche chiamata estinzione di massa del Cretaceo (o evento K-T) è il fenomeno che portò alla scomparsa di circa l’80% delle specie marine e continentali esistenti. Nessun tetrapode di peso superiore ai 25kg riuscì a sopravvivere. L’evento è indicato per segnare la fine del periodo Cretacico e l’inizio dell’era del Cenozoico, che continua tutt’oggi. La teoria più accreditata indica che la causa fu l’impatto di un asteroide (chiamato Chicxulub) nel Golfo del Messico avvenuto circa 65,6 milioni di anni fa ed i conseguenti cambiamenti climatici scaturiti dall’evento. Tuttavia, le conseguenze climatiche dei detriti emessi nell’atmosfera in seguito all’evento sono rimaste poco chiare, così come non sono ancora stati definiti gli esatti meccanismi attraverso i quali si verificò l’estinzione di massa in quel periodo.
Secondo le teorie più accreditate, i principali responsabili furono lo zolfo derivante dall’impatto dell’asteroide e la fuliggine degli incendi globali, che avrebbero bloccato il cielo provocando il lungo e buio inverno che uccise quasi tutte le specie viventi. Tuttavia, un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience suggerisce che i cambiamenti climatici siano stati causati in realtà anche grazie alle polveri di silicati, sollevate dall’impatto dell’asteroide e rimaste per circa 15 anni nell’atmosfera. Il team di ricerca ha sfruttato i dati geologici ad alta risoluzione raccolti nel 2017 da Pim Kaskes – coautore dello studio e ricercatore post-dottorato in Geochimica presso l’Università Vrije di Bruxelles – e alcuni colleghi che si sono recati in una formazione geologica nel North Dakota per eseguire le rilevazioni. I campioni misurati con grandissima precisione mediante analisi granulometrica a diffrazione laser hanno permesso agli autori dello studio di sviluppare un nuovo modello paleoclimatico, specializzato nel simulare la risposta climatica e biotica dopo la caduta dell’asteroide Chicxulub.
Secondo le simulazioni, una nuvola di polveri sottili, più sottili di una ciocca di capelli, si attaccò all’atmosfera ma, a differenza dello zolfo e della fuliggine che scomparvero nel tempo, queste particelle rimasero nel cielo per circa 15 anni, portando le temperature superficiali medie globali a precipitare fino a circa -3°C. Secondo Cem Berk Senel – ricercatore di modellistica paleoclimatica presso l’Osservatorio reale del Belgio e coautore della ricerca – la fotosintesi globale è stata interrotta entro due settimane e lo stop è durato per circa 620 giorni a seguito dell’impatto. La ripresa non sarebbe avvenuta prima di 4 anni dopo, quando l’atmosfera iniziò lentamente a schiarirsi permettendo alle piante di riprendersi. Le variazioni dell’irraggiamento solare indotte dallo “schermo” di polvere, insieme alla fuliggine e allo zolfo, avrebbero così interrotto la fotosintesi e avrebbero causato il crollo della produttività primaria, che innescò la reazione a catena di estinzioni.
Tuttavia, come confermato dagli stessi autori, saranno necessari ulteriori studi in merito per approfondire altri fenomeni che non vengono spiegati in maniera esaustiva dalla ricerca. Jan Smit – paleontologo della Vrije Universiteit di Amsterdam che non è stato coinvolto nella scoperta – ha affermato che sia l’idea che la fotosintesi sia cessata per anni sia la nuova ricerca non spiegano per esempio come siano sopravvissute le piante marine. Il dott. Kaskes, riferendosi alla leggera differenza dell’attività climatica riscontrata tra l’emisfero settentrionale e meridionale, ha poi aggiunto: «Questo è qualcosa che vorremmo capire, per vedere se ci sono differenze in tutto il mondo, se esistono alcune regioni che sono state meno colpite dall’impatto del meteorite e perché alcuni gruppi sono sopravvissuti e altri no. Penso che questo sia solo un punto di partenza per alcune interessanti ricerche e per trovare prove fossili di questa risposta globale».
[di Roberto Demaio]
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