Jonathan Cook
Declassified UK, 21.11.2023
La
storia si sta ripetendo, e ogni politico e giornalista
dell’establishment finge di non vedere ciò che ha sotto il naso. C’è un
rifiuto collettivo e ostinato nell’unire i puntini riguardo ai fatti di
Gaza, anche quando puntano in una sola direzione.
Sin dalla sua
creazione, 75 anni fa, Israele ha sempre mostrato uno schema
comportamentale coerente – proprio come si può riscontrare uno schema
coerente nella risposta delle potenze occidentali: “non vedere il male,
non ascoltare il male”.
Nel 1948, in quella che i palestinesi
chiamano la loro “Nakba”, o catastrofe, l’80% dei palestinesi aveva
subito la pulizia etnica nelle loro stesse terre da parte
dell’autoproclamato stato ebraico di Israele.
Come i palestinesi
avevano sostenuto all’epoca – e come gli storici israeliani avevano poi
confermato con documenti d’archivio – i leader israeliani avevano
mentito quando avevano detto che i palestinesi erano fuggiti di loro
spontanea volontà, su ordine degli Stati arabi confinanti.
Come
avevano scoperto gli storici, i leader israeliani avevano mentito due
volte, prima quando avevano detto di aver chiesto di rimanere nelle loro
case ai 900.000 palestinesi che si trovavano all’interno dei confini
del nuovo Stato ebraico e poi, di nuovo, quando avevano chiesto di
tornare a casa ai 750.000 precedentemente costretti all’esilio.
I documenti d’archivio avevano invece dimostrato che i soldati del nuovo Stato israeliano avevano compiuto terribili massacri per cacciare la popolazione palestinese. L’intera operazione di pulizia etnica era stata chiamata Piano Dalet.
Successivamente,
i leader israeliani avevano mentito minimizzando il numero delle
comunità agricole palestinesi da loro distrutte: più di 500 cancellate
dalla faccia della terra dai bulldozer israeliani e dai genieri
dell’esercito. Paradossalmente, questa procedura era popolarmente
conosciuta dagli israeliani come “far fiorire il deserto”.
Incredibilmente,
autorevoli studiosi, giornalisti e politici occidentali – coloro che
dominano il dibattito mainstream – per decenni avevano ignorato tutte
queste prove dell’inganno e della menzogna israeliana, anche dopo che
storici e documenti d’archivio israeliani avevano confermato la versione
palestinese della Nakba.
Erano state adottate varie strategie
per tenere nascosta la verità. Osservatori di spicco avevano continuato a
diffondere argomentazioni filo-israeliane, anche se screditate. Altri
avevano fatto finta di arrendersi, sostenendo che la verità non poteva
essere determinata in modo definitivo. E altri ancora avevano dichiarato
che, anche nel caso in cui si fossero verificati dei misfatti, c’erano
abbastanza colpe da entrambe le parti e che, in ogni caso, era un’ottima
cosa che il popolo ebraico avesse un rifugio (anche se a farne le spese
erano stati i palestinesi e non gli antisemiti o i responsabili europei
del genocidio ebraico).
Queste scuse avevano iniziato a
sgretolarsi con l’avvento dei social media e del mondo digitale, in cui
le informazioni potevano circolare più facilmente. Le élite occidentali
avevano frettolosamente cercato di chiudere tutti i discorsi critici
sulle circostanze in cui era nato lo Stato di Israele etichettandoli
come antisemiti.
Un spazio sempre più ristretto
Questo
è il quadro necessario per comprendere l’attuale dibattito “mainstream”
su ciò che sta accadendo a Gaza. Stiamo assistendo alla stessa
disconnessione tra gli eventi reali e la creazione da parte
dell’establishment di una narrazione che giustifichi Israele, fatto
salvo che, che questa volta, mentre l’inganno e la manipolazione sono in
pieno svolgimento noi, il pubblico, possiamo vedere di persona i fatti
terrificanti svolgersi in tempo reale.
Non c’è bisogno che gli
storici ci dicano cosa sta succedendo a Gaza. È in diretta televisiva (o
almeno lo è una sua versione edulcorata).
I
funzionari israeliani hanno chiesto l’eradicamento dei palestinesi da
Gaza e hanno affermato che tutti i palestinesi sono considerati
obiettivi legittimi per le bombe e i proiettili israeliani.
Ai
palestinesi è stato ordinato di lasciare la parte settentrionale di
Gaza. Israele ha attaccato gli ospedali di Gaza, gli ultimi santuari per
i palestinesi nel nord.
Gaza era già uno dei luoghi più
affollati della Terra. Ma i palestinesi sono stati costretti a
rifugiarsi nella metà meridionale della Striscia, dove sono sottoposti
ad un “assedio completo” che nega loro cibo, acqua ed elettricità. La
settimana scorsa le Nazioni Unite hanno avvertito che la popolazione civile di Gaza si trova di fronte alla “imminente possibilità” di morire di fame.
Israele
ha ora ordinato ai palestinesi di lasciare gran parte della più grande
città nel sud di Gaza, Khan Younis. I palestinesi sono gradualmente
costretti ad accalcarsi nello stretto corridoio di Rafah, vicino al
confine con l’Egitto. Circa 2,3 milioni di persone vengono stipate in
uno spazio sempre più ristretto.
Se anche Israele permettesse
loro di dirigersi a nord, la maggior parte di loro non avrebbe una casa
in cui tornare. Le scuole, le università, i panifici, le moschee e le
chiese sono per lo più scomparse. Gran parte di Gaza è una terra
desolata.
Da anni Israele ha un piano per cacciare i palestinesi da Gaza, oltre il confine, nel territorio egiziano del Sinai.
Cecità mediatica
Ben
più che nel 1948, ciò che Israele sta facendo è sotto i nostri occhi,
in tempo reale. Eppure, proprio come nel 1948, le bugie e gli inganni di
Israele dominano i media e la narrativa politica occidentale.
Israele
sta apertamente portando avanti una pulizia etnica all’interno di Gaza.
Secondo la maggior parte degli esperti, anche in questo caso, si sta
compiendo un genocidio. L’obiettivo è quello di effettuare un’altra
Grande Pulizia Etnica, spingendo i Palestinesi fuori dalla loro patria,
come era accaduto nel 1948, e poi ancora nel 1967 con l’espediente
della guerra.
Eppure, nessuno di questi termini – pulizia etnica e
genocidio – rientra nella copertura data dai media “mainstream” e nei
commenti sull’attacco di Israele a Gaza.
Ci viene ancora detto
che si tratta di “sradicare” Hamas, una cosa, ovviamente, impossibile da
ottenere perché non è possibile sradicare la determinazione di un
popolo oppresso a resistere al proprio oppressore. Più li opprimi,
maggiore è la resistenza che provochi.
L’Occidente sta ora cercando di focalizzare l’attenzione pubblica sul “giorno dopo”, come se questa terra desolata
potesse essere governata da chiunque, per non parlare del regime,
cronicamente debole in stile Vichy, noto come Autorità Palestinese.
È
sorprendente vedere che ciò che era vero nel 1948 è altrettanto vero
nel 2023. Israele diffonde bugie e inganni e le élite occidentali
ripetono quelle bugie. E, anche quando Israele commette crimini contro
l’umanità alla luce del sole, quando avverte in anticipo di ciò che sta
facendo, le istituzioni occidentali continuano a rifiutarsi di
riconoscere tali crimini.
La verità, che avrebbe dovuto essere
ovvia già da molti anni, almeno dal 1948, è che Israele non è una
democrazia liberale e amante della pace. È un classico stato coloniale,
che segue la lunga tradizione “occidentale” che aveva portato alla
fondazione, tra gli altri, degli Stati Uniti, del Canada e
dell’Australia.
La missione del colonialismo è sempre la stessa: sostituire la popolazione nativa.
Una significativa ragione di ordine morale
Dopo
le operazioni di pulizia etnica collettiva del 1948 e del 1967, Israele
aveva cercato di gestire la rimanente popolazione palestinese
attraverso il tipico modello dell’apartheid, segregando i nativi nelle
riserve, proprio come avevano fatto i suoi predecessori con ciò che
restava della “popolazione locale” sopravvissuta ai loro tentativi di
sterminio.
Le residue cautele da parte di Israele derivavano dal
diverso clima politico in cui si trovava ad operare: il diritto
internazionale era diventato più importante dopo la Seconda Guerra
Mondiale, con precise definizioni di crimini di guerra e di crimini
contro l’umanità.
L’Occidente chiama erroneamente “conflitto”
l’attuale processo di espropriazione e ghettizzazione nei confronti dei
palestinesi rimasti, unicamente per il loro rifiuto a sottomettersi
silenziosamente al modello di apartheid e ghettizzazione.
Ora, il modello di gestione di Israele nei confronti dei palestinesi è completamente saltato, per due ragioni principali.
In
primo luogo, i palestinesi, aiutati dalle nuove tecnologie che hanno
reso più difficile tenere nascosta la situazione, godono di un sostegno
popolare sempre più ampio e, cosa più problematica, anche tra il
pubblico occidentale.
I palestinesi sono anche riusciti a portare
la loro causa nei forum internazionali, ottenendo persino il
riconoscimento come Stato da parte della maggioranza dei membri delle
Nazioni Unite. Potenzialmente, hanno anche possibilità di fare ricorso
presso le istituzioni legali internazionali dell’Occidente, come la
Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia.
Di
conseguenza, sottomettere i palestinesi – o mantenere la “calma”, come
preferiscono dire le istituzioni occidentali – è diventato sempre più
difficile e costoso.
In secondo luogo, lo scorso 7 ottobre, Hamas
ha dimostrato che la resistenza palestinese non può essere contenuta
nemmeno con un assedio imposto facendo uso di droni e del sistema di
intercettazione Iron Dome che dovrebbe proteggere Israele dagli attacchi
missilistici. In queste circostanze, i palestinesi hanno dimostrato di
essere in grado di usare modalità inedite e creative per uscire dalla
loro reclusione e portare sotto i riflettori la loro oppressione.
In
effetti, data la scarsa sensibilità dell’Occidente nei confronti della
sofferenza dei palestinesi, è probabile che le fazioni militanti si
siano rese conto che solo i crimini di guerra da prima pagina – che
rispecchiano l’approccio storico di Israele nei confronti dei
palestinesi – costituiscono un modo efficace per attirare l’attenzione.
Israele
è consapevole del fatto che i palestinesi continueranno ad essere una
spina nel fianco e a ricordarci che Israele non è uno Stato normale. E
la lotta per correggere decenni di espropriazione e maltrattamento dei
palestinesi da parte di Israele diventerà sempre più una questione
morale decisiva per l’opinione pubblica occidentale, come lo era stata
ai tempi della lotta contro l’apartheid in Sud Africa.
Quindi
Israele sta approfittando di questo momento per “portare a termine il
lavoro”. L’obiettivo finale è chiaro, come, in effetti, lo era stato per
più di settant’anni. Il crimine si sta svolgendo passo dopo passo, il
ritmo accelera. Eppure, politici e giornalisti di alto livello in
Occidente – come i loro predecessori – continuano ad essere ciechi di
fronte a tutto ciò.
Jonathan Cook