Collasso climatico, la transizione digitale non è una transizione ecologica
di Lorenzo Poli - 14/08/2023
Fonte: Pressenza
Viviamo un’epoca di continue “emergenze” descritte con
parole apocalittiche che hanno l’effetto di impaurire e paralizzare il
pensiero e l’azione personale della gente, deprimendola: la sindemia da
Covid-19, la guerra in Ucraina con annunciato pericolo nucleare, il
fenomeno delle migrazioni e il collasso climatico.
Per il profondo
malessere che sto provando di fronte all’incredibile escalation
degenerativa del dibattito sulla crisi climatica ed ecologica, traccerò
dunque una riflessione poiché è giusto chiamare le cose con il proprio
nome, in un periodo storico dove la confusione regna sovrana.
Nell’attuale
dibattito sul clima ci sono due posizioni che stanno generando
l’ennesima polarizzazione del dibattito: quella del negazionismo
climatico, che si presenta come volgare e che offende l’intelligenza di
molti; e quella dell’emergenza climatica, che sempre più si sta
consolidando come mediatica ricca di inesattezze, di narrazioni tossiche
e di notizie fuorvianti, che se da un lato focalizzano il tema
sull’ambiente, dall’altro mandano evidentemente messaggi eterodiretti
affinché qualcuno, sulla crisi climatica, possa marciarci.
La
questione del cambiamento climatico oggi viene cavalcata come
“emergenza” dai media. Il capitalismo da sempre chiama “emergenza” ciò
che gli serve per giustificare politiche repressive. Anche in questo
caso, spacciare la crisi ecologica come un fattore emergenziale serve
per indurre alla paura, alla paranoia, ma soprattutto per fare
subdolamente della “rassicurazione sociale”: è un’emergenza, prima o poi
finisce… Quando in realtà non è vero. Un fattore strutturale rimane e
poi può sfociare nei suoi punti di non ritorno, nelle sue
contraddizioni. Perché oggi viene veicolata questa narrazione?
Il
collasso climatico è alle porte e lo si vede da molti fattori
(degradazione del territorio, inaridimento dei terreni fertili,
monocolture intensive, allevamenti intensivi e sviluppo tecnologico con
la sue abnorme impronta ecologica). Forse qualcuno non si ricorda, ma in
questi ultimi vent’anni, sistematicamente nei Paesi occidentali, coloro
che si occupavano e che sensibilizzavano sul tema dell’inquinamento,
dell’importanza di cambiare modello di sviluppo, venivano definiti
“pauperisti”, “contro il progresso”, e ridicolizzati come dei nostalgici
del primitivismo.
Ricordo benissimo quando le parole “ambientalista”
ed “ecologista” sembravano insulti all’udito della gente. É solo dal
2015, con la Cop21 di Parigi, che qualcosa è iniziato a muoversi a
livello di sensibilità collettiva fino ad arrivare al movimento dei
Fridays for Future. Eppure la narrativa sull’ambiente è molto cambiata
negli ultimi cinque anni, e ha preso sempre più un’impronta neoliberale,
spacciando per “ambientalista” ciò che “ambientalista” non è.
Oggi
vi è una reale operazione di greenwashing di massa, dove i grandi
capitalisti stanno proponendo una narrazione tossica per la quale, con
la scusa di salvare l’ambiente (che hanno deturpato e stuprato fino ad
oggi), ci stanno dicendo che è con lo sviluppo tecnologico che si salva
l’ambiente. Questo permette ai grandi capitalisti di rigenerare i loro
brand, di aprire nuovi mercati e di rigenerare anche la loro immagine
esemplarizzata di fronte al mondo.Ecco dunque che queste narrazioni
tossiche servono a consolidare il “green capitalism”, come ha spiegato
molto bene il presidente socialista della Bolivia Luis Arce; la “green
economy” fatta con gli schiavi adulti e minorenni in Congo e con il
modello estrattivista e distruttore dell’ambiente; il “net-zero
washing”, ovvero quello che la biologa Silvia Ribeiro ha chiamato
“colonialismo climatico”. Il capitalismo finanziario ha inventato,
insieme ai colossi dell’energia fossile, il mercato mondiale per lo
scambio dei permessi di inquinamento.
La British Petrolium (Bp), che
in cambio di un generoso contributo per rendere sempre più ecologiche le
produzioni agricole nello Stato messicano di Veracruz (40 dollari per
ognuno dei 133 contadini della comunità di Coatlila e per quelli di
altre 58 comunità) ha ottenuto 1,5 milioni di crediti di carbonio su
200.000 ettari, che può vendere, a un valore (nell’ipotesi peggiore)
quattro volte superiore a quello pagato alle comunità. É il capolavoro
del greenwashing, con cui i grandi inquinatori ritardano, mistificano ed
evadono l’azione a favore della tutela del clima facendo però,
contemporaneamente, grandi affari.
Come scrive Ribeiro: “Invece di
ridurre le emissioni di gas che causano il caos climatico, pagano alcune
comunità o ejidatarios [comunità agricole nate con la rivoluzione
zapatista del 1910 alle quali lo Stato assegnava delle terre in
usufrutto, ndt] perché continuino a curare i loro boschi, oppure pagano
altri soggetti perché piantino monoculture di soia, palma da olio e
altre colture. Colture che presumibilmente assorbono anidride carbonica e
che “compenserebbero” il fatto che le aziende continuino a inquinare.”
Inoltre,
oggi il green capitalism e la green economy vogliono far coincidere le
espressioni “transizione ecologica” con “transizione digitale”, due cose
che gli ecologisti di vecchia data sanno bene essere completamente
distinte. Il fine è quello di aprire al soluzionismo tecnocratico sul
clima e all’implementazione della tecnologia, fino a riproporre
l’energia nucleare come una fonte “sostenibile” . Ma sappiamo che lo
sviluppo indefinito, il mito del “progesso”, la mentalità
riduzionista-dualista-estrattiva, il mantra della “crescita economica” e
la distopica tecnofilia dei miliardari californiani (Gates, Bezos, Musk
etc… ) compresa la colonizzazione dello spazio (definita da Musk come
la più grande impresa commerciale dalla scoperta dell’America) sono la
radice della crisi ecologica.
Alcuni dati:
- Sono necessarie 13 tonnellate d’acqua per produrre 1 smartphone
- Sono necessarie 15 tonnellate d’acqua per la produzione di 1kg di carne di manzo
- Silicon Valley ha un’impronta ecologica 6, ovvero se il mondo fosse come la Silicon Valley sarebbero necessari 6 Pianeti
- Il 40% delle emissioni climalteranti è prodotto dall’agro-industria
- La colonizzazione dello spazio si concretizzerà come modo per estrarre minerali, gas e litio dai pianeti colonizzati.
Silicon Valley e Big Food sono facce della stessa medaglia e la
tecnofilia, come le soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica
proposte dai capitalisti, sono la continuazione della crisi ecologica.
Il cambiare tutto per non cambiare nulla, se non per peggiorare le cose.
Vandana Shiva questa cosa la denuncia molto bene: contro gli OGM,
contro l’ingegnerizzazione della Natura (editing genetico, ingegneria
genetica, geoingegneria), contro la chimicizzazione della vita, la
promozione di cibi ultratrattati coltivati in laboratorio (clean meat e
plantbased meat).
Come militanti ed attivisti abbiamo il dovere
politico e linguistico di dire che la TRANSIZIONE ECOLOGICA non ha nulla
a che spartire con la TRANSIZIONE DIGITALE dell’Agenda ONU 2030 (vedasi
riflessioni dell’ecogiornalista Nicoletta Dentico a riguardo). La
transizione ecologica, come sostiene l’ecofilosofa Gloria Germani,
avverrà quando cambieremo stile di vita, metteremo in discussione il
modello di sviluppo, di produzione, la stessa società industriale e le
basi conoscitive su cui si fonda tutta la scienza cartesiana-newtoniana
occidentale e il suo antropocentrismo. Oggi più che mai è un dovere
semiotico e politico partire da questa distinzione, per creare nuovi
immaginari politici e liberarci dalla colonizzazione dell’immaginario
operata sia dalla società industriale sia dai mass media.
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