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Lezioni russe per Pechino. Vladimir Putin aveva fatto ricorso all’impiego dei cosiddetti little green men per mascherare, almeno all’inizio, l’intervento diretto dei suoi militari nelle conquiste territoriali in Crimea e Donbass. Xi Jinping, suo stretto alleato, ha studiato il piano d’azione di Mosca messo in scena nel 2014 e, secondo la CNN, lo rimette adesso in pratica nel Mar Cinese Meridionale, probabile teatro nei prossimi anni di un conflitto tra le due maggiori superpotenze.
La Cina rivendica sin dalla sua fondazione nel secolo scorso la propria sovranità su un’area geografica dagli interessi vitali attraverso la “linea dei nove tratti”, una rappresentazione che delimita, o sarebbe meglio dire estende, le rivendicazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale ponendola in diretto contrasto con altri stati della regione tra cui l’Indonesia, le Filippine, la Malaysia e il Vietnam.
La sentenza di illegalità emessa nel 2016 dal tribunale dell’Aia, sostenuto dall’ONU, secondo cui la linea viola la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è stata liquidata da Xi Jinping come irrilevante. Nel frattempo, Pechino continua a costruire isole artificiali e basi militari, esegue pattugliamenti e conduce operazioni di intimidazione nei confronti delle imbarcazioni da pesca di altre nazioni.
Scintille tra Cina e Filippine
L’ultima missione di questo tipo si è svolta nell’arcipelago delle isole Spratly – conteso da almeno cinque stati – e ha coinvolto una nave di rifornimento militare filippina che è stata bloccata e attaccata con un cannone ad acqua dalla guardia costiera del paese del dragone. I cinesi, come spesso fanno, hanno giustificato la loro ultima operazione denunciando il trasporto di materiale illegale in un’area su cui rivendicano la propria sovranità. Il carico bloccato era destinato alla Sierra Madre, una nave in disuso della Marina filippina fatta incagliare nell’arcipelago e usata come base per diversi militari di Manila. In pratica un facile obbiettivo per l’ingombrante vicino.
L’inquietante novità riportata dalla CNN, la rete all news americana, arriva dall’analisi dei video dell’incidente delle Spratly. Assieme alle navi della guardia costiera cinese fanno la loro comparsa almeno un paio di imbarcazioni blu da pesca. Secondo gli esperti queste barche farebbero parte di una milizia navale segreta controllata dall’Esercito popolare di liberazione (PLA) e composta da centinaia di unità sempre più in prima linea nel compiere azioni di disturbo. La milizia degli omini blu, non riconosciuta ufficialmente da Xi Jinping e che è stata già protagonista di un’azione simile nel 2021, agisce da sola o in concerto con la guardia costiera, da due anni passata sotto il controllo del PLA.
La flotta fantasma di Pechino
Per Ray Powell, analista della Stanford University, la flottiglia fantasma permette a Pechino di operare in una zona grigia intraprendendo iniziative che nella sostanza raggiungono l’obiettivo di acquisire territorio senza sparare un colpo. Le manovre di questa unità corrispondono ad azioni di blocco navale, una circostanza che in pochi a Washington sono disposti a riconoscere in quanto, trattandosi di atti di guerra, comporterebbero una risposta muscolare dalle conseguenze imprevedibili. Nel caso specifico le provocazioni nelle isole Spratly potrebbero far scattare gli impegni di mutua difesa siglati dagli Stati Uniti con le Filippine dopo la fine della Seconda guerra mondiale ma gli Usa non sembrano disposti ad alzare il livello dello scontro dispiegando proprie navi a difesa di quelle di Manila.
Per molti esperti, l’interruzione delle operazioni di rifornimento della Sierra Madre, una nave che avrebbe bisogno di urgente manutenzione e rischia l’affondamento, potrebbe condurre al paradossale salvataggio dei marinai filippini da parte dei little blue men e la successiva definitiva occupazione cinese dell’area. Quello che succede nell’arcipelago delle Spratly è la riprova di come Pechino non intenda chiudere la partita in tempi brevi. Il waiting game praticato da Xi Jinping ha lo scopo di prendere il controllo del Mar Cinese Meridionale con uno stillicidio di interventi e blitz impossibili da fermare se non con un’escalation militare, al momento improbabile, guidata dagli Usa assieme ai suoi alleati. A Washington la posta in gioco è ben chiara. L’esito della guerra di nervi in una regione centrale dal punto di vista commerciale ed economico – e dove la tensione è già alta per Taiwan – determinerà se questo sarà davvero il secolo cinese.
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