di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org
https://comedonchisciotte.org/quali-conseguenze-con-le-dosi-ripetute/
Gli attuali vaccini anti-Covid sono stati presentati con la promessa di proteggerci da una malattia trasmissibile.
Non si può dire che sia stata mantenuta dal momento che abbiamo visto
che anche chi si è vaccinato può infettarsi, contagiare e finire in terapia intensiva.
In più si sono verificati problemi di reazioni avverse molto superiori a tutti gli altri vaccini finora conosciuti, sono migliaia, infatti, i casi segnalati sul sito Eudravigilance dell’agenzia del farmaco Ema (e si sta parlando solo dell’Europa e di numeri sottostimati, trattandosi di vigilanza passiva).
In
un mondo normale ciò dovrebbe bastare per fermarsi un attimo e
riflettere. Invece si continua, con cieca fiducia, la corsa acritica
verso il traguardo (irraggiungibile) dell’immunizzazione, senza
chiedersi quale potrebbe essere il possibile impatto di inoculi multipli
e reiterati nel tempo.
C’è una risposta a questa domanda?
No. La realtà, per niente confortante, è proprio questa: nessuna ricerca
scientifica ha ancora valutato a tempi medio-lunghi gli
effetti della ripetuta somministrazione dei vaccini sull’incidenza e
la gravità delle malattie croniche e degenerative, che sono le più
frequenti nella nostra società.
Nell’articolo che segue il Prof Paolo Bellavite, patologo e membro della neonata Commissione Medica Indipendente
(ma questo suo articolo è scritto a titolo personale), entra nel
merito della questione e spiega perché questa pratica potrebbe avere
risultati decisamente negativi, come ad esempio aumentare qualsiasi
focolaio infiammatorio presente nell’organismo e riaccendere fenomeni
patologici sopiti o in equilibrio instabile.
L’organismo
umano è complesso ed è un tutto uno integrato: un approccio
semplicistico, senza seguire gli elementari princìpi dell’etica medica,
potrebbe causare gravi conseguenze.
* * *
Dosi booster tra grandi promesse e forti dubbi
Paolo Bellavite
https://sfero.me/
Ora, dopo che i “vaccini” sono stati inoculati in milioni di persone, si scopre che i contagi non calano perché anche i vaccinati possono trasmettere il virus e cominciano ad emergere eventi avversi gravi e inattesi, di natura molto diversa da quelli previsti dalla teoria immunologica corrente. Di questo si è riferito in un lavoro pubblicato in Sfero (https://sfero.me/article/proteina-spike-fatti-misfatti) e in un recente convegno tenutosi a Bolzano (10 novembre 2021). Qui si affronta un nuovo problema, legato alla probabilità che i vaccinati saranno costretti a successivi inoculi perché l’immunità è di durata molto inferiore alle speranze. È possibile, anzi probabile, che chi continua a credere o a dire che “solo i vaccini ci salveranno” spingerà verso l’inoculazione dei prodotti biotecnologici attualmente disponibili annualmente o addirittura semestralmente. E per il momento non si vedono in pratica dei prodotti alternativi.
Trascuriamo le questioni legate all’efficacia delle dosi e dei booster, del rapporto rischi/benefici nelle diverse fasce di età, dell’incostituzionalità degli obblighi e ricatti per iniettare prodotti che non fermano la diffusione del virus, dell’esistenza di cure efficaci e limitiamoci qui a considerare i meccanismi d’azione dei “vaccini” a mRNA e il possibile impatto che potrebbero avere inoculi multipli e ripetuti a distanza di tempo.
Chi scrive è di formazione un patologo generale e quindi l’argomento di come funzionano i “vaccini” anti-COVID-19 qui è trattato secondo tale punto di vista, in base alle teorie correnti e cercando di ipotizzare cosa potrebbe provocare una continua sollecitazione del sistema immunitario e non solo immunitario con tali prodotti biogenetici. Si prenderà come riferimento la figura 1 e nella fattispecie i punti ivi numerati.
Figura 1. Vaccini vecchi (inattivati o attenuati) e nuovi (spike): meccanismi di reazioni avverse
Le teorie che spiegano come funzionano i vaccini a mRNA sono ancora molto rudimentali, incomplete e persino raffazzonate. Ad esempio, nella relazione presentata alla FDA per l’autorizzazione del vaccino mRNA-1273 – Moderna (December 17, 2020 Meeting Presentation – Emergency Use Authorization Application) si sostiene che la famosa nanoparticella lipidica con mRNA entrerebbe in una “antigen presenting cell” (APC, per lo più cellule dendritiche e macrofagi) circondata da linfociti B e T. La APC fabbricherebbe la Spike e in tal modo poi innescherebbe la risposta immunitaria specifica (linfociti T e poi B). Ad un patologo generale questa teoria appare alquanto sballata, o quanto meno monca e traballante. Infatti le APC normalmente presentano ai linfociti gli antigeni che vengono dall’esterno (cioè i virus e i batteri presi dall’ambiente esterno, quindi uccisi, processati, fatti a pezzi e poi esposti sulla membrana associati all’HLA di classe II). Nel caso dei vaccini tradizionali, le APC “captano” gli antigeni estranei inattivati o attenuati, eventualmente assieme agli adiuvanti (Figura 1, punto 1).
Nella teoria presentata da Moderna (comunque simile a quella di Pfizer), invece, la proteina Spike non è rappresentata come venuta dall’esterno, ma verrebbe prodotta nel citoplasma cellulare dalla stessa cellula presentante l’antigene, nel tessuto che ha avuto l’inoculo del mRNA. L’immunologia insegna che le proteine prodotte all’interno vanno montate su HLA di classe I, che è tutt’altra cosa anche se ha un nome simile, e non innesca la risposta delle cellule T. La teoria del produttore presuppone che la APC sia così stupida da non riconoscere se una sostanza estranea viene dall’esterno o dall’interno. Chi conosce queste cellule non può non restare perplesso; uno studente di medicina che sviluppasse una teoria del genere non passerebbe l’esame.
Il punto più critico di tutta questa teoria traballante è che nella sopranominata relazione del produttore, si sostiene che il vaccino “crea efficientemente una memoria specifica in un contesto naturale (in situ)”. Ma si tratta di un’idea teoricamente inconsistente e sperimentalmente non provata. Bisogna sapere che il contesto naturale del sistema immunitario non è il muscolo dove viene iniettato il vaccino, ma il sistema immunitario (soprattutto i linfonodi, ma anche le tonsille e il sistema linfatico intestinale o polmonare). Normalmente le APC captano le sostanze estranee nell’ambiente esterno (pelle, mucose, tessuto connettivo o linfonodi), le processano come si è detto e le presentano ai linfociti associate al HLA-II. Questa “captazione” avviene con un procedimento recettoriale (ci sono tanti recettori più o meno specifici, detti nel loro insieme “pattern recognition receptors”, v. Figura 1, punto 1). Al contrario, le nanoparticelle non sono riconosciute da recettori ma “penetrano” nelle cellule direttamente attraversando la membrana, ed entrano in tutte le cellule con cui vengono a contatto. Quindi la proteina SPIKE può essere prodotta NON SOLO dalle APC ma da qualsiasi cellula. Ciò è ovviamente confermato dal fatto che gli studi di biodistribuzione hanno trovato nanoparticelle anche nel fegato, là dove per arrivare dal muscolo significa che sono quanto meno passate per tutto il circolo venoso (o linfatico e poi venoso) e poi arterioso. Il fatto stesso che si siano riscontrati molti casi di miocardite e di disordini della coagulazione, dimostra che i “target” delle nanoparticelle (o direttamente delle Spike, visto che i recettori ACE2 sono quasi ubiquitari) possono essere le cellule delle pareti vascolari e pure le piastrine (Figura 1, punto 2).
Quindi la teoria immunologica proposta (riferita semplicisticamente da innumerevoli pamplhlet illustrativi per il pubblico) è semplicemente incredibile per un qualsiasi patologo. Di questo chi scrive ha presentato una relazione in “Research-Gate” già nel dicembre del 2020 (DOI: 10.13140/RG.2.2.11207.32163). Già allora concludevo: “I casi sono due: o il dossier è stato esaminato da “esperti” poco “esperti” di immunologia, o se c’erano essi hanno chiuso più di un occhio. Ma applicare frettolosamente una teoria sballata non può essere privo di conseguenze deleterie. Termino dicendo che mi auguro sinceramente di aver torto, ovvero che la teoria di Moderna sia giusta. Altrimenti le reazioni immunopatologiche saranno inevitabili, purtroppo.”
Ora le cose si complicano perché entra in gioco un nuovo fattore, pure esso INATTESO dalla teoria e, volendo salvare la buona fede, persino dalle autorità regolatorie. La somministrazione molteplice è ora proposta con l’idea di dare un “boost” al sistema immunitario, come se esso fosse l’unica parte del nostro organismo a essere modificato, e come se la modificazione fosse sicuramente in meglio. Anche se le prime evidenze sembrano dimostrare che una dose “Booster” effettivamente fa aumentare gli anticorpi e protegge dalle conseguenze più gravi dell’infezione per qualche (ignota) durata, NESSUNA RICERCA SCIENTIFICA ha valutato la conseguenza di questa ripetuta procedura di stimolo nel tempo, a breve, medio e lungo termine. Ricordiamo che un vaccino non si valuta solo per la sua azione immunizzante ma anche per la sua sicurezza.
Torniamo alle teorie, che nella scienza sono il fondamento di ogni ipotesi e di ogni verifica sperimentale. Le teorie immunologiche tradizionali propongono che le resistenze alle infezioni virali siano delle risposte immunitarie adattative caratterizzate dalla “specificità” dell’antigene e dall’induzione della memoria immunologica permanente (Figura 1, punto 3). L’immunità “innata”, costituita prevalentemente dalle cellule fagocitarie e NK (“natural killer”) e dal complemento ha il ruolo di innescare il sistema immunitario “presentando” in modo corretto gli antigeni in un contesto di reazione infiammatoria aspecifica.
Questo è vero ma recentemente è stato riportato che anche le cellule delle difese innate possono sviluppare caratteristiche di memoria immunitaria, un processo chiamato immunità addestrata (“trained immunity”) [1, 2] (Figura 1, punto 4). In altre parole, la memoria immunologica non è un tratto esclusivo dei linfociti, poiché molti insulti infiammatori possono alterare la funzionalità e la reattività del sistema immunitario innato a lungo termine. L’immunità addestrata indica il fenotipo reattivo persistente che le cellule delle difese innate possono sviluppare dopo una breve stimolazione. Le cellule immunitarie innate, come i monociti, i macrofagi, le cellule dendritiche e le cellule NK possono essere influenzate dall’incontro con gli stimoli infiammatori, subendo una riprogrammazione funzionale e sviluppando risposte modificate alle successive sollecitazioni.
Stimoli patogeni come i microrganismi e anche le molecole endogene tra cui l’acido urico, le LDL ossidate (lipoproteine a bassa densità) e le catecolamine, ma anche batteri e vaccini, sono in grado di indurre la memoria nei monociti e nei macrofagi. L’immunità addestrata è mantenuta da distinti meccanismi epigenetici e metabolici e persiste per almeno diversi mesi in vivo a causa della riprogrammazione delle cellule progenitrici mieloidi. Va sottolineato che l’immunità innata ha una memoria a lungo termine dovuta alla riprogrammazione “epigenetica” della cromatina cellulare e la capacità di aumentata risposta rimane quando l’infiammazione si risolve [3]. Questi cambiamenti epigenetici portano all’attivazione cellulare, una maggiore produzione di citochine e un cambiamento nello stato metabolico della cellula con uno spostamento dalla fosforilazione ossidativa alla glicolisi [4].
L’immunità addestrata fornisce una protezione favorevole nel contesto delle malattie infettive, tanto che è stato proposto che si potrebbe puntare anche su di essa per potenziare le risposte immunitarie anche ai virus, ad esempio con una vaccinazione fatta col BCG (il vaccino della tubercolosi) [5]. Tuttavia, la stessa immunità addestrata può essere “disadattiva” nelle malattie caratterizzate da infiammazione sistemica cronica, come l’aterosclerosi e il cancro [1-4]. Inoltre, alcune cellule non immunitarie come gli endoteli e i fibroblasti mostrano anche caratteristiche immunitarie addestrate e questo è stato visto anche in relazione all’infezione da coronavirus [6]. Cellule endoteliali infettate da coronavirus o stimolate da lipoproteine ossidate mostrano l’espressione aumentata di più di 1000 diversi geni. Le cellule endoteliali del cuore umano esprimono vari recettori del coronavirus tra cui anche ACE2, e l’enzima accessorio TMPRSS2. Gli endoteli esprimono citochine proinfiammatorie in abbondanza come TNF-alfa, IL6, CSF1. Questi fenomeni hanno un importante ruolo nella patologia vascolare e iper-infiammatoria da coronavirus, ma in parte possono averli anche nella azione patogena e indesiderata dei “vaccini” in alcuni individui che, finché non si sarà potuto capire la ragione, si possono definire “sfortunati”.
L’aterosclerosi non è solo una malattia dismetabolica (diabete, dislipidemie) ma anche una malattia infiammatoria cronica che coinvolge le cellule della parete vascolare dall’endotelio alle cellule fagocitarie monocito-macrofagiche [7]. Nella figura 2 è data una rappresentazione schematica dei principali meccanismi tessutali dello sviluppo e mantenimento della lesione aterosclerotica.