La brillante verità della ricchezza svizzera: il racket dell’oro
Dalle miniere alle raffinerie: il neocolonialismo e la catena spezzata della responsabilità
Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org
https://comedonchisciotte.org/la-brillante-verita-della-ricchezza-svizzera-il-racket-delloro/
A inizio maggio 2023, la miniera d’oro peruviana Minera Yanaquihua SAC ha preso fuoco portando alla morte di 27 operai. Il pricipale compratore di questa miniera artigianale è la raffineria svizzera Metalor che dal 2020 è uno dei principali collaboratori dell’organizzazione no-profit Swiss Better Gold Association. [1] Questa organizzazione no-profit è stata recentemente lanciata dal governo svizzero proprio per far fronte ai problemi relativi alla catena di approvvigionamento dell’oro che negli ultimi decenni è stata pubblicamente smascherata come moderna forma di colonialismo come nel caso presentato in questo articolo dell’oro togolese.
Presentiamo qui di seguito la traduzione del riassunto esecutivo del rapporto “A golden Racket. The true source of Switzerland’s Togolese Gold” pubblicata da Public Eye nel settembre del 2015. Questo resoconto ha portato alla luce non solo i problemi individuali dei lavoratori delle miniere artigianali ma anche il pericoloso sistema internazionale di deflusso illecito e contrabbando che assicura la continuazione dello sfruttamento e il mantenimento delle disuguaglianze.
***
Da dove provengono le importazioni svizzere di oro togolose, se il Togo (Africa occidentale) non possiede miniere d’oro? Con il supporto di testimonianze e documenti esclusivi, nel settembre 2015 Public Eye ha rivelato che l’oro proviene da piccole miniere artigianali in Burkina Faso, dove decine di migliaia di bambini lo estraggono dal terreno in condizioni pericolose. Il prezioso bene viene poi contrabbandato in Togo, dove un commerciante di Ginevra lo importa e lo vende alla raffineria ticinese Valcambi. Il caso dimostra la necessità di un obbligo di diligenza per le aziende svizzere.
Tra il 2012 e il 2014, la Svizzera ha importato 7.500 tonnellate di oro estratto da oltre 60 Paesi. A
livello globale, la Svizzera è uno dei maggiori importatori, raffinando
l’equivalente del 70 % della produzione annuale mondiale. Nel
2013, il Consiglio federale ha riconosciuto chiaramente i rischi
associati a questa lucrativa industria e ha sottolineato l’importanza di
elevati standard di trasparenza e responsabilità aziendale. Tuttavia,
gli sforzi per arginare l’afflusso di oro che può essere causa di
corruzione, di danni ambientali o violazioni dei diritti umani rimangono
embrionali.
Nel febbraio 2014, e per la prima volta dal 1980, il
Consiglio federale ha pubblicato le statistiche sulla provenienza
dell’oro svizzero. Ogni anno il Paese importa migliaia di chilogrammi di
oro, per un valore di milioni di franchi svizzeri, dal Togo, un Paese
non produttore. Questo rapporto rintraccia la vera fonte di questo oro
“togolese”: il Burkina Faso.
In molte delle miniere artigianali del paese, l’oro è estratto in condizioni pessime. Tra il 30% e il 50% della forza lavoro troviamo bambini che, accanto ai loro colleghi adulti, lavorano su turni di 12 ore, giorno e notte. Molti devono maneggiare sostanze altamente tossiche, compreso il mercurio, senza protezione e su base giornaliera. Le disposizioni di sicurezza sono praticamente inesistenti e si verificano frequentemente crolli dei pozzi – a volte fatali. Le malattie legate a questo tipo di lavoro includono malattie respiratorie, malattie polmonari da eccessiva esposizione alla polvere, e lesioni scheletriche da sollevamento di carichi pesanti. L’eccessiva esposizione al mercurio danneggia gravemente tanto l’apparato digerente quanto il sistema immunitario, i polmoni e i reni.
Inoltre, almeno 7 tonnellate all’anno di questo oro artigianale non vengono mai registrate sui libri contabili del Burkina Faso e vengono invece contrabbandate via terra a Lomé, in Togo. Tra i principali intermediari commerciali burkinabé che hanno il controllo di questo commercio illecito troviamo SOMIKA, di proprietà di El Hadj Adama Kin-do, un potente uomo d’affari locale. SOMIKA nega qualsiasi illecito. Una volta a Lomé, l’oro viene acquistato da Wafex Sàrl, una filiale di un agglomerato di società poco appariscenti di proprietà di una famiglia libanese Ammar Group. Wafex, che a sua volta, esporta l’oro in Svizzera tramite la filiale ginevrina di Ammar Group, MM Multitrade SA, dove finisce in una delle quattro grandi raffinerie svizzere: la Valcambi SA. Valcambi raffina e vende le barre o i lingotti, accreditando il valore equivalente in once di oro sul conto di MM Multitrade SA presso la Arab Bank di Ginevra.
La motivazione dietro questo commercio illecito è semplice: gli intermediari commerciali burkinabé evitano di pagare le tasse di esportazione di 500 FCFA (circa 0,9 CHF) per grammo d’oro (oltre a tutte le altre tasse aziendali sui grammi scambiati e sui relativi profitti), mentre il Gruppo Ammar si avvantaggia dei generosi tassi di esportazione del Togo che sono dieci volte più economici di quelli in Burkina-Faso. Queste attività hanno costato allo Stato burkinabé almeno 3,5 miliardi di FCFA (6,47 milioni di CHF) nel 2014 – una somma equivalente a un quarto dell’aiuto totale inviato dalla Svizzera al paese nello stesso anno.
La corsa all’oro del Burkina Faso nei primi anni 2000 aveva portato speranza, vedendo nel settore minerario il mezzo per ridurre la povertà in un paese classificato come il settimo meno sviluppato al mondo. Il settore dell’oro artigianale intensivo rimane una fonte cruciale di occupazione per circa 1,2 milioni di abitanti rurali del paese. Tuttavia, come mostra questo rapporto, le persone vedono ben poco dei ricavi; al contrario, i profitti si accumulano nelle tasche private, arricchendo un’elite locale e internazionale.
Nel frattempo, in Svizzera, Valcambi, che trae profitto da questo commercio sporco, si compiace perfino delle sue “norme etiche, morali e sociali”. Nei suoi rapporti di conformità, la raffineria sostiene di agire “in stretta conformità con” le linee guida dell’OCSE per la diligenza dovuta nelle catene di approvvigionamento responsabili di minerali provenienti da aree colpite da conflitti e ad alto rischio, nonché il Supplemento sull’oro, e la Responsabile guida dell’oro del London Bullion Market Association (LBMA). Afferma di avere gli “standard di tracciabilità più elevati” lungo tutta la sua catena di approvvigionamento e per ogni singolo lotto di materiale lavorato. Eppure, continua ad acquistare e raffinare oro proveniente da miniere gestite secondo quello che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro definisce “le peggiori forme di lavoro minorile”.
Questo rapporto svela le gravi carenze – o forse punti ciechi deliberati – nella diligenza dovuta in materia di diritti umani della raffineria e negli sforzi per tracciare la vera origine dell’oro che raffina. Il vuoto incolmabile tra le dichiarazioni ufficiali di Valcambi in merito alle linee guida dell’OCSE e della LBMA, e le sue procedure di conformità quotidiane, verificate da KPMG, rivela che queste assomigliano più a una strategia di pubbliche relazioni che a un vero impegno. Inoltre, illustreremo come queste operazioni avvengano sotto un controllo minimo da parte dell’amministrazione doganale svizzera che, nelle parole di un funzionario antiriciclaggio, “preferisce non sapere”.
La nostra ricerca è iniziata sulla base di una serie di documenti forniti da fonti anonime. Nel corso di nove mesi, abbiamo condotto 45 interviste con funzionari governativi, autorità doganali, consulenti antiriciclaggio, esperti di conformità, organizzazioni non governative (ONG), avvocati, banchieri, minatori d’oro, commercianti, sindacalisti e giornalisti in Svizzera, Togo e Burkina Faso, inclusi cinque lavoratori delle miniere artigianali del paese. Abbiamo contattato tutte le aziende per ottenere commenti: Valcambi e Ammar Group hanno declinato le nostre richieste di incontri e non hanno risposto alle domande inviate via e-mail; Arab Bank e KPMG hanno rifiutato di commentare.
Public Eye non sta chiedendo un boicottaggio dell’oro artigianale proveniente dal Burkina Faso. Tuttavia, in contesti simili, è necessaria la massima vigilanza da tutte le parti, come chiarito dall’esistenza di linee guida specifiche per l’oro e persino per il settore dell’oro artigianale. Tuttavia, nonostante l’esistenza di questi strumenti guida, i controlli sulla loro attuazione sono deboli e le aziende non vengono sanzionate nei casi di violazione. È ragionevole aspettarsi che le aziende conoscano e verifichino ripetutamente la fonte del loro oro, ma, come mostra questo rapporto, le misure volontarie non funzionano.
È tempo di imporre l’obbligo di diligenza per la salvaguardia dei diritti umani alle aziende.
I dettagli del rapporto sono a disposizione online:
https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Rohstoffe/2015_PublicEye_A_golden_racket_Report.pdf
NOTE
[1]
—
Traduzione di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org
Nessun commento:
Posta un commento