Bruxelles approva lo spionaggio sui media per motivi di “sicurezza nazionale”
26 Giugno 2023
In nome della sicurezza nazionale, gli Stati europei potranno installare spyware su qualsiasi mezzo utilizzato da una redazione o dai singoli giornalisti, al fine di monitorarne l’attività. È quanto contenuto nella deroga chiesta dalla Francia all’European Media Freedom Act (EMFA), il provvedimento proposto dalla Commissione europea nel settembre del 2022 che nel giro di un anno potrebbe diventare operativo. Il fine ultimo dovrebbe essere quello di “salvaguardare la libertà, il pluralismo e l’indipendenza dei media nell’Ue”, oltre che “proteggere i giornalisti dall’interferenza politica”. Il rischio è che, proprio in ragione di tale macroscopica eccezione, venga normalizzata e autorizzata la persecuzione legale dei giornalisti. Con evidenti, preoccupanti conseguenze per la libertà di informazione.
La proposta originale avanzata dalla Commissione Ue prevedeva il divieto assoluto di utilizzo di spyware. Tuttavia, a seguito delle pressioni esercitate dalla Francia, sono state apportate importanti modifiche. Ora, il testo prevede che gli Stati possano disporre di un “software di sorveglianza intrusivo in qualsiasi dispositivo o mezzo utilizzato dai media, dalla redazione o da qualsiasi collaboratore” nel caso in cui vi siano rischi per la “sicurezza nazionale”. Secondo tale modifica (prevista all’art. 4.4), le disposizioni volte a garantire un’efficace protezione dei giornalisti “non pregiudicano la responsabilità degli Stati membri per la salvaguardia della sicurezza nazionale”. Germania, Olanda, Repubblica Ceca e Lussemburgo hanno pienamente appoggiato la richiesta della Francia – inizialmente molto più restrittiva. Gli altri Stati, tra i quali l’Italia, hanno fatto orecchie da mercante: non hanno appoggiato la richiesta, ma nemmeno l’hanno ostacolata. E, alla riunione degli ambasciatori degli Stati membri, il testo è stato approvato.
Sono ben 32 i reati per i quali potrebbe essere autorizzata la sorveglianza dei giornalisti, nel nome di non meglio specificati criteri di “sicurezza nazionale”. Nella bozza originale erano solamente 10 e riguardavano categorie di reati particolarmente gravi, tra i quali il terrorismo, i crimini contro l’umanità e la pornografia infantile. Tra le fattispecie aggiunte nell’ultima versione vi sarebbero invece anche reati come il traffico di auto e di sostanze ormonali.
Il testo dovrebbe essere operativo nel giro di un anno, ovvero prima che, nel luglio 2024, la presidenza di turno dell’Ue passi all’Ungheria. Insieme alla Polonia, l’Ungheria è da sempre oggetto di preoccupazione dell’Ue, per via del controllo messo in atto nei confronti dei mezzi d’informazione critici degli organi di governo. Proprio in ragione di ciò, l’intento iniziale del Media Freedom Act era “istituire un quadro comune per i media nel mercato interno dell’Ue e proteggere i giornalisti dall’interferenza politica”. D’altro canto, proprio Ungheria e Polonia hanno del tutto respinto il testo del provvedimento, esprimendo voto contrario alla riunione degli ambasciatori.
L’EFJ (European Federation of Journalists) ha immediatamente fatto notare come la deroga inserita trasformi di fatto le tutele originariamente previste per i giornalisti in “gusci vuoti”. Quanto previsto all’art. 4, infatti, “metterebbe i giornalisti ancora più a rischio e creerebbe inoltre un effetto raggelante sugli informatori e su altre fonti. Sappiamo troppo bene come la difesa della sicurezza nazionale venga usata impropriamente per giustificare le violazioni della libertà dei media”. “È importante capire” ha aggiunto RSF (Reporter Senza Frontiere) “che le eccezioni al divieto di violare la riservatezza delle comunicazioni dei giornalisti sono legittime solo se rispettano limiti molto rigidi. Si tratta di un interesse pubblico particolarmente forte, di un’autorizzazione preventiva e di un monitoraggio continuo da parte di un’autorità giudiziaria, di un’applicazione solo per le indagini sui reati più gravi e di una giustificazione della necessità e della proporzionalità delle misure di monitoraggio”. Tutte garanzie previste nella bozza iniziale della Commissione, ma edulcorate in quella definitiva. “L’inclusione di un’eccezione generale per la sicurezza nazionale è nel migliore dei casi un errore e nel peggiore un pericolo per il giornalismo – prosegue RSF – È un assegno in bianco per una sorveglianza sfrenata, a un passo dalla forma più cruda di spionaggio della polizia e una porta aperta agli abusi. Ed è un errore politico, perché questo colpo all’EMFA fornisce armi ai suoi detrattori”.
Impossibile, infatti, non notare come la norma contenga un controsenso intrinseco, dal momento che aspira a garantire ai giornalisti una maggiore indipendenza e libertà da eventuali minacce aumentando la sorveglianza e il controllo sul loro operato. Il risultato, anzi, parrebbe essere proprio il contrario, ovvero condizionare ulteriormente l’attività di indagine dei professionisti dell’informazione, già sottoposta a crescenti restrizioni in diversi Paesi europei (basti pensare alla recente riforma della giustizia varata dal governo italiano la quale prevede, tra le altre cose, anche nuove limitazioni all’attività giornalistica). La proposta dovrà ora passare al vaglio del Parlamento europeo, il quale potrebbe rivedere del tutto il testo. Nel 2022, proprio all’interno del Parlamento Ue era stata istituita una commissione volta a indagare sull’utilizzo del software spia Pegasus all’interno di numerosi Paesi, dove era stato utilizzato per monitorare, tra gli altri, anche l’attività di alcuni giornalisti. Nel presentare il primo rapporto della commissione, l’eurodeputata Sophie In ‘t Veld aveva definito l’utilizzo di Pegasus uno «scandalo europeo», accusando la Commissione Ue di tacere di fronte a tali «minacce alla democrazia». La speranza è che, anche per quanto riguarda l’EMFA, venga condivisa una posizione altrettanto netta.
[di Valeria Casolaro]
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