Il buco di 650 miliardi di euro della Bundesbank: la fine dell’euro più vicina?
di Cesare Sacchetti
Alcuni lo hanno definito buco, altri ancora una voragine. I media italiani invece non sembrano aver dato nessun particolare rilievo alla notizia.
Le autorità federali tedesche hanno divulgato la situazione del bilancio della Bundesbank, la banca centrale tedesca.
Nella contabilità della Bundesbank risulta esserci una perdita astronomica pari a 650 miliardi di euro. La banca centrale che detiene la quota più rilevante della BCE ha la perdita più grossa dell’intero sistema europeo delle banche centrali.
Ciò è dovuto al risultato dell’aumento dei tassi di interesse e già questa circostanza potrebbe sorprendere diversi lettori.
Erano proprio i falchi tedeschi in passato a lamentarsi del fatto che i tassi di interesse della BCE fossero troppo bassi e che l’istituto di Francoforte stesse così “soffocando” i risparmiatori tedeschi.
Non si contano le volte che l’ex governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva chiesto di mettere fine alla politica dei bassi tassi di interesse.
Adesso ciò che la Germania desiderava così ardentemente in passato ha finito per aprire la voragine in questione nei bilanci della sua banca centrale.
Il motto “stare attenti a quello che si desidera” non è uno di quelli che viene ricordato troppo spesso a Berlino, ma per capire il meccanismo che ha prodotto tale enorme perdita occorre fare un passo indietro e tornare ai tempi del cosiddetto Quantitative Easing varato dalla BCE nel 2014.
Attraverso tale espressione sconosciuta a chi non è operatore del settore finanziario, si intende quella pratica con la quale una banca centrale compra il proprio debito pubblico per tenere bassi i tassi di interesse e aiutare così la ripresa dell’economia tramite prestiti a basso costo.
Dalle parti dell’Italia si chiamava “monetizzazione del debito” ed era una pratica standard fino a quando nel lontano 1981 l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, e l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, decisero d’imperio, senza nemmeno passare dal consenso del Parlamento, di vietare a palazzo Koch di comprare i titoli di Stato emessi del Tesoro.
Si consumava così il famoso “divorzio” tra Bankitalia e il Tesoro.
L’Italia stava iniziando a passare da un modello di economia mista di impronta keynesiana ad uno invece ispirato alla scuola neoliberale nella quale le banche centrali non sono istituti controllati dagli Stati ma piuttosto entità private indipendenti dalla cosa pubblica.
Banca d’Italia ha subito esattamente questa mutazione. È chiamata banca d’Italia ma non lo è come indica il nome dal momento che i suoi azionisti sono in larga parte banche private e tale istituto non emette nemmeno più una moneta nazionale da quando l’Italia è entrata nell’euro.
La BCE è fondata su principi del tutto identici. L’istituto di Francoforte non può comprare direttamente i titoli di Stato dei vari Paesi europei e fu Mario Draghi a ideare uno stratagemma per aggirare la lettera dei trattati europei attraverso l’acquisto indiretto dei titoli sul mercato secondario.
Esiste tuttora una controversia se tale scelta sia stata legale o meno ma ciò che rileva è che con tale politica l’ex governatore della BCE ha tenuto a galla l’euro condannando ovviamente alla recessione e alla crisi permanente l’eurozona, in particolare l’Italia.
Ora è noto che tale politica fu imposta contro il parere negativo della Germania che non voleva acquistare titoli di Stato ma la BCE scelse questa linea.
Ciò ha messo nella pancia della Bundesbank un ammontare di titoli di Stato pari al sinistro numero di 666 miliardi di euro di bond tedeschi.
I tassi alti che la Germania voleva hanno creato il buco della Bundesbank
L’acquisto dei titoli da parte della BCE si è interrotto già lo scorso anno ma ciò non ha impedito alla Bundesbank di totalizzare la perdita in questione.
L’aumento dei tassi di interesse ha portato ad una riduzione del valore di quei titoli. Nel mondo della finanza vige questa regola. Quando un titolo di Stato ha un alto tasso di interesse il suo valore nominale è più basso perché tale titolo è considerato più a rischio.
Viceversa, quando il titolo ha un basso tasso di interesse è considerato più sicuro dai mercati e il suo valore nominale era più alto.
Quando quindi negli anni passati i tassi erano bassi i valori dei titoli tedeschi erano molto più alti. Adesso con l’aumento dei tassi voluto in passato proprio dalla Bundesbank il valore dei titoli sta scendendo e le perdite della banca centrale tedesca stanno aumentando.
C’è poi un altro aspetto che sta facendo perdere denaro alla Germania. È la differenza tra gli interessi pagati alle banche commerciali che hanno i conti presso la Bundesbank e il valore dei bund tedeschi in calo.
Mentre i primi sono saliti a causa del rialzo dei tassi imposto dalla BCE il valore dei secondi è sceso per il meccanismo spiegato in precedenza.
La Germania si trova in una sorta di cul de sac economico e ora si inizia a parlare esplicitamente della possibilità che la Bundesbank necessiti un salvataggio di Stato.
È stata la Corte dei Conti tedesca, che in Germania è nota con il nome di Bundesrechnungshof, a dire esplicitamente che la gravità della situazione potrebbe richiedere una ricapitalizzazione.
Non è questa la prima volta che la Bundesbank registra perdite sui suoi libri contabili. C’è un precedente nel lontano 1979 ma la differenza tra allora ed oggi è dovuta al fatto che la banca centrale tedesca all’epoca poteva permettersi quelle perdite perché era lei stessa a stampare moneta.
Oggi questa situazione non esiste più perché la Germania si ritrova esattamente nelle stesse condizioni degli altri Stati dell’eurozona. Non ha una propria moneta e non dispone di tutti i vantaggi di cui è possibile godere con la sovranità monetaria.
L’euro, la moneta costruita come un vestito su misura per l’industria mercantilista tedesca, non assegna più alla Germania il vantaggio competitivo di un tempo.
E’ certamente vero che l’euro è stato creato come strumento finanziario per comprimere i salari dei lavoratori europei, specialmente quelli italiani e greci, ma aveva anche il preciso scopo di gonfiare artificialmente le esportazioni tedesche attraverso un cambio “svalutato”.
La “virtuosa” Germania non ha fatto altro che truccare le regole del gioco. Quando l’Italia uscì nel 1992 dallo SME, il precursore dell’euro, e quando la lira fu lasciata libera di fluttuare, l’economia italiana, nonostante la svendita dell’industria pubblica attuata da Draghi e i suoi epigoni, stava già crescendo di più di quella tedesca.
Negli anni 90 invece l’economia tedesca era sostanzialmente ferma. Fu la moneta unica a salvare la Germania e condannare l’Italia sempre grazie al contributo di una classe dirigente composta da esecutori degli interessi esteri.
Il “dimenticato” articolo del Corriere del 1993 sul crollo della Germania dopo l’uscita dallo SME
Sono gli uomini citati prima che hanno fatto una folgorante carriera nelle istituzioni italiane tanto più questi infliggevano enormi danni all’economia del Paese. Sono i Ciampi, Prodi, Draghi e Amato.
Sono le quinte colonne della Germania e degli altri circoli finanziari che hanno preso il fiorente giardino dell’economia italiana e lo hanno trasformato in un campo di erbacce incolte.
L’euro: da motore della Germania a zavorra del Paese
Esiste però il rovescio della medaglia che ha portato il vincitore della competizione truccata nello stesso pantano nel quale si trovano gli altri Paesi dell’eurozona.
L’euro ha esaurito la sua forza propulsiva. Le esportazioni tedesche sono in perdita non solo in Europa ma in ogni parte del mondo.
La Germania è già entrata difatti nel territorio della recessione quando lo scorso mese il suo PIL ha registrato un altro segno negativo.
Ciò si spiega ancora una volta con la tendenza suicida della Germania. Berlino ha sempre fatto sua la linea del rigore ordoliberale. Tale linea imponeva a tutti di non attuare nessuna politica di spesa pubblica, Germania compresa, ma questa scelta si è rivelata suicida per la Germania.
I clienti della Germania sono rimasti schiacciati nella morsa dell’austerità e hanno dovuto ridurre le loro importazioni di prodotti tedeschi.
Il dato dello scorso marzo è incontrovertibile. -10,9% di ordini in meno per la Germania.
Ancora una volta si vede come la mentalità protestante tedesca sia alquanto priva di lungimiranza e intelligenza.
A questo si aggiunga che negli ultimi 3 anni ci sono stati i devastanti effetti della farsa pandemica che ha polverizzato ancora di più le già deboli economie dei Paesi europei, compresi quelli che compravano le merci tedesche.
L’unica maniera per contrastare seriamente gli effetti della crisi già in atto nel 2019 sarebbe stato quello di attuare massicce politiche di investimenti pubblici che ovviamente non sono state fatte.
Si è scelta la strada prediletta da Bruxelles e Berlino, ovvero quella dei prestiti del PNRR che non è nemmeno decollata ma si è piuttosto arenata anche per la scarsa volontà del governo Meloni di perseguirla per le ragioni che abbiamo spiegato in un precedente contributo.
Dunque la Germania ha finito inevitabilmente attraverso la sua sciocca ottusità per segare il ramo sul quale era seduta. L’euro da motore propulsore dell’economia teutonica è divenuto una palla al piede anche per la Germania.
Ci si chiede a questo punto se l’epilogo della moneta unica sia sempre più vicino. Tutto lo lascia pensare. La Germania è impelagata nella più grave crisi economica degli ultimi anni e i suoi indici di crescita sono tutti in caduta libera.
A questo poi deve aggiungersi il mutato quadro finanziario internazionale. Il contesto attuale è lungi dall’essere quello del 2013 quando alla Casa Bianca c’era Barack Obama e quando gli Stati Uniti avevano tutta l’intenzione di mantenere salda e intatta la struttura che regge il potere finanziario dell’anglosfera.
Tale potere si fonda sull’assoluta supremazia del dollaro come valuta di riserva globale e dell’euro come seconda valuta di riferimento nei mercati, ma questo ordine sta crollando rapidamente.
L’avanzata dei BRICS non sta solo ridisegnando rapidamente gli equilibri geopolitici ma anche quelli economici.
Sono sempre di più i Paesi che non stanno abbandonando solo il dollaro ma anche l’euro. E l’euro è indubbiamente persino più debole della valuta americana perché esso non è una moneta nazionale come il biglietto verde.
È una moneta transnazionale e come tale enormemente più fragile perché la sua emissione non è garantita da nessuno Stato nazionale.
Tutto lascia pensare quindi che la fase attuale sia veramente l’ultimo atto della moneta unica che ha aspettative di vita piuttosto brevi.
Non sarà probabilmente come il 1992 quando ci fu la fine dello SME che fu decisa dai poteri finanziari per poi passare alla fase successiva dell’euro.
Stavolta l’Europa marcia in una direzione diversa. L’Unione europea in tale processo di cambiamento storico si ritrova debole e isolata e non è affatto da escludersi che in una situazione di così elevata fragilità la fine della moneta unica possa provocare la fine della UE stessa.
Alla fine di tale viaggio, viene in mente una riflessione che si era fatta qualche tempo fa. Nel gioco dell’euro alla fine non esistono vincitori ma solamente vinti.
E la Germania che credeva di aver vinto la partita si ritrova invece a sua volta dalla parte degli sconfitti.
Nessun commento:
Posta un commento