Ucraina: la controffensiva delude, e ora? La Polonia spinge per entrare in guerra
La tanto attesa controffensiva ucraina per riconquistare i territori occupati da Mosca non sta dando i risultati sperati e lo stesso Zelensky, in un’intervista alla BBC rilasciata in concomitanza alla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina svoltasi a Londra nei giorni scorsi, ha dichiarato che i progressi sul campo sono «più lenti del previsto». Una circostanza che, a quanto pare, ha agitato non poco gli alleati di ferro del fronte orientale della Nato, a cominciare dalla Polonia, la punta di lancia, per ragioni storiche, della guerra contro la Russia. Già alcune settimane fa, l’ex segretario generale della Nato, Anders Rasmussen, aveva affermato che la Polonia e i Paesi baltici avrebbero schierato truppe sul campo a fianco di Kiev in autonomia se gli Stati Uniti non avessero fornito tangibili garanzie di sicurezza all’Ucraina, subito dopo il vertice Nato di Vilnius che si terrà agli inizi di luglio. Una possibilità che ha preso ancora più slancio a seguito degli scarsi risultati ottenuti dalle forze ucraine sul campo nelle ultime settimane, deludendo i Paesi alleati sulla possibilità di vittoria di Kiev, rispetto alla quale, peraltro, il leader ucraino si era detto certo.
«Se la Nato non riesce a concordare un chiaro percorso per l’Ucraina, c’è una chiara possibilità che alcuni paesi possano agire individualmente», aveva detto Rasmussen, aggiungendo: «Sappiamo che la Polonia è molto impegnata nel fornire assistenza concreta all’Ucraina. E non escluderei la possibilità che si impegni ancora di più in questo contesto su base nazionale e sia seguita dagli Stati baltici, magari includendo la possibilità di truppe sul terreno». Siamo di fronte, dunque, alla discesa sul campo di contingenti militari della Nato a fianco dell’esercito ucraino, in un pericolosissimo piano inclinato che potrebbe condurre sempre più velocemente all’estensione del conflitto. Dopo aver superato, una dopo l’altra, le cosiddette «linee rosse» per quanto riguarda l’invio di materiale bellico, si è vicini, dunque, all’entrata diretta in guerra dei Paesi dell’Alleanza atlantica. Viene infranto così l’ultimo tabù del non coinvolgimento diretto dell’Europa in guerra e con esso l’ipocrisia della non belligeranza occidentale. Sottolineare il fatto che si tratti di un’iniziativa individuale di alcuni singoli Stati, al di fuori del coordinamento Nato, dovrebbe servire ad evitare di far scattare il famigerato articolo 5 dell’Alleanza che coinvolgerebbe tutti gli Stati membri dell’organizzazione.
Il concetto appare chiaro: se l’Ucraina non riesce da sola a prevalere sul campo, nonostante gli aiuti militari, allora sono direttamente le forze occidentali a dover intervenire. Benché non sia ancora chiara la posizione americana circa la proposta della Polonia di schierare propri contingenti, emerge palesemente che l’obiettivo dei Paesi Nato non è solo aiutare l’Ucraina a difendersi ottenendo i maggiori risultati possibili sul campo per poi sedersi al tavolo dei negoziati, bensì vincere la guerra a qualsiasi costo, anche a quello di dare il via ad un conflitto globale. Allo stesso tempo, le perdite dell’esercito ucraino sono ingenti, specie a fronte dei risultati modesti conseguiti: il 19 giugno il viceministro della Difesa ucraino, Hanna Maliar, ha reso noto che dall’inizio della controffensiva le forze ucraine hanno riconquistato 8 centri abitati e 113 chilometri quadrati di territorio in precedenza occupati dai russi. Considerato che gli ucraini hanno attaccato su tutti i fronti, escluso quello lungo il fiume Dnepr, si tratta di risultati ben sotto le aspettative, pari complessivamente a meno della superficie del comune di Rimini (136 kmq). Solo sul fronte di Zaporizhia le perdite sono state di oltre 200 militari ucraini, 33 carri armati, 30 veicoli da combattimento di fanteria e 35 veicoli corazzati da combattimento, secondo il bollettino pomeridiano del 18 giugno del ministero della Difesa russo.
Nonostante i modesti risultati della controffensiva e il grande dispendio di vite umane, il blocco occidentale non intende cedere né tantomeno condurre l’Ucraina a più miti consigli imboccando la via della trattativa. Al contrario, il Pentagono proprio ieri ha fatto sapere che ha sopravvalutato di 6,2 miliardi di dollari il valore delle armi inviate all’Ucraina negli ultimi due anni, circa il doppio delle stime iniziali. Una eccedenza che verrà utilizzata per futuri pacchetti di sicurezza e che emerge proprio mentre la controffensiva ucraina è in stallo. Si prevedono, dunque, ulteriori forniture militari oltre alla possibile discesa in campo di Stati appartenenti all’Alleanza. Due elementi che da soli bastano a spiegare la recente affermazione del ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, secondo il quale la Nato vuole combattere in Ucraina, poiché ha dimostrato di non voler cessare le ostilità. Durante la sua visita ufficiale a Minsk, in Bielorussia, Lavrov ha sottolineato che «per bocca» del segretario generale della Nato, Jens Stolteberg, Mosca sa che gli alleati dell’Ucraina «sono contrari al congelamento del conflitto». «Quindi vogliono combattere. Bene, lasciamoli combattere. Siamo pronti per questo», ha asserito il ministro russo.
Fra poche settimane, al vertice di Vilnius dell’Alleanza si capiranno le reali intenzioni del blocco atlantico, mentre i Paesi est europei continuano a minacciare l’intervento se la Nato non adotta misure drastiche a favore di Kiev. Nel frattempo, è certo che l’obiettivo dell’Occidente non è più quello, inizialmente proclamato, di difendere l’integrità territoriale dell’Ucraina, bensì di sconfiggere la Russia come potenza militare per preservare lo status quo dell’ordine internazionale – già in via di ridefinizione – anche a costo di rischiare una guerra mondiale.
[di Giorgia Audiello]
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