La narrativa patologica della "guerra hollywoodiana"
I progressi della controffensiva sono “più lenti del previsto”, ha detto Zelensky alla BBC ieri, aggiungendo che “alcune persone credono che questo sia un film di Hollywood e si aspettano risultati immediati. Non è così”. Le dichiarazioni del presidente ucraino suonano come una tirata d’orecchi ai suoi sponsor più arcigni e ai media che hanno descritto questa guerra alla stregua di un film.
Peraltro, c’è da dire che Zelensky non ha affatto rifiutato il ruolo di protagonista di tale format, anzi. Sul punto si può anche leggere Ukrinform che riporta le parole di Dmytro Zolotukhin, esperto dell’informazione ucraino, che si è vantato di come Kiev sia riuscita a raccontare al mondo la guerra in tale modalità, enfatizzando tale successo.
Ma al di là del ribaltamento del destino, va
ricordato che in stile hollywoodiano è stata descritta la strenua
resistenza ucraina, ma soprattutto l’asserita controffensiva vincente di
Kharkiv, che di fatto è stata condotta in un’area che i russi stavano
smobilitando per attestarsi dietro il fiume Dniepr.
L’errore madornale o della narrativa patologica
Glorificata come sicuro pegno di successo, la vittoria di Kharkiv, nei resoconti mediatici, faceva presagire che la controffensiva di primavera (poi diventata estiva) sarebbe stata un sicuro successo. Non è andata così.
E gli analisti e i cronisti che hanno versato fiumi d’inchiostro per vergare quei pareri e quegli articoli ora che le cose vanno decisamente male, invece di ammettere l’errore madornale, che ha ingannato l’opinione pubblica e permesso ai falchi di forzare la controffensiva nonostante non ci fossero le forze necessarie, sono semplicemente silenti.
Il massacro che si sta consumando al fronte, con migliaia di vittime ucraine, non gli interessa affatto. Basta dare uno sguardo ai due media mainstream per eccellenza, il Washington Post e il New York Times, per averne un’idea.
Se in precedenza l’Ucraina dominava le notizie, per avere informazioni sulla stessa ora bisogna scorrere i titoli secondari e forse vi s’intravede un articoletto.
In una nota precedente, nella quale tracciavamo un parallelo tra la guerra ucraina e quella afghana, riportavamo quanto scriveva David Sacks, cioè che i media hanno martellato sulla guerra afghana per due decenni, raccontandone i grandi successi Usa.
Poi, a un certo punto, le bugie sono emerse in tutta la loro plasticità e l’esercito afghano, costruito dagli Stati Uniti a suon di dollari (miliardi su miliardi… ricorda qualcosa?), è collassato e Kabul è caduta in mano ai talebani.
“A quel punto, i media hanno semplicemente smesso di parlare dell’Afghanistan”, annota Sacks. Esattamente quel che sta accadendo per la guerra ucraina…
Certo, la guerra non è ancora finita, siamo solo in un momento di pausa, ma tutto ciò rende l’idea di come funzionino certe dinamiche malate. I cronisti e gli analisti caduti in quell’errore madornale – per salvarne la buona fede – prima o poi torneranno a raccontare la guerra. Con l’attendibilità pregressa.
La pausa
Momento di pausa, dunque, come ha detto Putin (riferito dal Guardian), perché le perdite subite dalle forze ucraine, di uomini e mezzi, sono state talmente elevate che hanno costretto Kiev e i suoi sponsor a un momento di riflessione.
Urgono nuove strategie ( (ironico che, una settimana fa, il Segretario della Nato Jens Stoltenberg aveva assicurato a Biden che l’Ucraina stava avanzando; confondono i loro sogni con la realtà, come rilevava alcuni giorni fa il NYT).
Peraltro, anche le incursioni in territorio russo dei cosiddetti ribelli anti-Putin, che tanto avevano entusiasmato i media di cui sopra, sono finite, segno che le forze di Mosca sono riuscite a contrastarle (altro insuccesso degli strateghi d’Occidente). Certo, magari sono solo sopite, ma al momento non se ne registrano di nuove.
Purtroppo, questa guerra, come altre guerre infinite, non ammette pause, pena l’aprirsi di spiragli per i negoziati. Ciò rende questo momento pericoloso: la narrativa hollywoodiana deve riprendere il suo corso.
Così o la controffensiva riprende con qualche esito positivo o deve accadere qualcosa di clamoroso che possa essere presentato come un successo, anche di immagine (magari qualcosa di simile al crollo della diga di Kakhovka, di cui sono stati incolpati i russi).
Peraltro, l’11 e 12 luglio c’è il vertice NATO di Vilnius. Non si può aprire con una disfatta o una pausa. Vertice pericoloso, avverte Domenico Quirico, che sulla Stampa spiega che probabilmente è arrivato il momento in cui le truppe NATO, capofila la Polonia, dovranno scendere in campo.
“Dovremo prima o poi tutti immischiarci nella tragedia ucraina”, annota, “[…] A far precipitare l’inevitabile c’è il problema della mancanza degli uomini al fronte”. L’esercito di Kiev, infatti, rischia di non avere più forze sufficienti neanche a reggere il fronte (rischio non immediato, hanno ancora riserve per altri attacchi).
Da tempo avevamo paventato la possibilità di una discesa in campo della Nato a causa dell’erosione delle forze ucraine. Ma un conto è la possibilità, un conto è l’avverarsi della stessa. Né sappiamo se le circostanze, tra cui l’esaurimento degli arsenali NATO (lo ha detto Stoltenberg e tale particolare rende più improbabile un ingaggio NATO-Russia) potranno aprire possibilità alla pace. C’è solo da sperarlo. Spes contra spem.
Nessun commento:
Posta un commento