Rieccola la parolina magica: “incidente”. Il termine che lava più bianco del bianco, come “errore”. Invadi l’Iraq e provochi centinaia di migliaia di morti? Un “errore”. Bombardi una folla di palestinesi disperati che, a Gaza, si accalcano intorno a un camion di viveri e ne ammazzi 112? Come dice il presidente Joe Biden, un “incidente”. O come dice la nostra premier Meloni, “è urgente che Israele accerti la dinamica dei fatti e le relative responsabilità”. Come se la dinamica non fosse abbastanza chiara: spari a persone disarmate e quelle muoiono, che altro potrebbe succedere? Come se non fosse che da cinque mesi Israele ammazza palestinesi alla cieca, mentre europei e americani si raccontano che questa operazione militare, che ha finora provocato circa 30 mila morti dei quali due terzi donne e bambini, serve a sradicare Hamas e non a decimare gli abitanti di Gaza. Come se gran parte del mondo non mostrasse ogni giorno, commerciando con la Russia e cercando nuove forme di aggregazione, di aver piene le tasche di questi “incidenti” ed “errori” a senso unico.
Qualche tempo fa Joseph Andoni Massad, giordano di origini palestinesi, docente di Politica araba moderna presso il dipartimento di Studi mediorientali della prestigiosa Columbia University di New York, autore di libri che hanno fatto discutere (per esempio, La persistenza della questione palestinese del 2006), ha pubblicato uno dei tanti suoi articoli capaci di sollevare un vespaio. La sua tesi è che i Paesi del Sud del mondo, che hanno subito in passato il colonialismo dei bianchi del Nord del mondo, rivivano nel dramma di Gaza le vicende vissute in prima persona nei secoli passati, e non possano quindi accettarle. Per Massad, insomma, ciò che succede a Gaza e in generale tra Israele e palestinesi è l’aggressione dei «colonialisti» (gli israeliani) contro i «nativi» (i palestinesi). Più in generale, un massacro ordito da «suprematisti bianchi» contro un «popolo non bianco». Ancor più in generale, il proseguimento del vecchio colonialismo in forma contemporanea.
È una tesi radicale, sicuramente discutibile. Però questo vale per noi, europei e americani. E guarda un po’, al mondo non ci siamo solo noi. Pensiamo alla storia di questi ultimi decenni (Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Palestina) e chiediamoci: quanto può suonare credibile questa tesi alle orecchie di milioni di africani, latinoamericani, mediorientali? Che cosa possono pensare quando proviamo a rifilargli la storiella del solito “errore” e del solito “incidente”? A cui magari si aggiunge la sagacia del buon Josep Borrell, massimo diplomatico (???) dell’Unione Europea, che dice che l’Europa è un giardino e tutto il resto è giungla? Qual è il giardiniere che può giustificare il massacro di 112 persone disarmate da parte di uno degli eserciti più potenti del mondo? L’esercito che riceve in dono 4 miliardi di armi l’anno, ogni anno, da quegli Usa che ora, senza vergogna, osano pure balbettare di Stato della Palestina?
Perché il punto sta proprio qua: abbiamo perso il senso della vergogna. E se non ci vergogniamo più di nulla, nemmeno di 112 morti mitragliati mentre cercavano di afferrare una pagnotta, vuol dire che i nostri famosi “valori” sono andati. Finiti. Ridotti a pistolotti da rifilare agli altri, riservando a noi il diritto di praticare l’opposto.
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