Ad insultare il general Cadorna si viene condannati. Vergogna!
Ormai siamo al delirio del bispensiero per via giudiziaria. Con una sentenza di qualche giorno fa, «il Tribunale di Padova ha condannato Michele Favero, un indipendentista veneto, a risarcire con 10mila euro il nipote del militare, ordinandogli anche di cancellare immediatamente tutti i commenti offensivi pubblicati sui social».
Dalle cronache si legge: «Favero avrebbe parlato di Cadorna sui social, definendolo “assassino”, “verme”, militare “che misurava le vite umane con le pallottole” e che “doveva essere giudicato come criminale di guerra”. Parole che non sono piaciute a Carlo Cadorna, colonnello di Cavalleria in pensione e nipote del maresciallo, che gli ha fatto causa. “I toni usati – scrive il giudice istruttore Maddalena Saturni – non sono solo ‘parole forti’ che pure potrebbero essere tollerate nell’esercizio del diritto di critica, ma sono veri e propri insulti, gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici».
Patetico il signor Carlo! Avesse avuto un po’ di decenza sarebbe ricorso a qualche argomento convincente per difendere il suo indifendibile antenato. Invece, ha fatto ricorso all’Inquisizione. Ma perchè non se la prende con Antonio Gramsci, che inventò il termine “Cadornismo” per definire quella lucida follia nel trattare gli essere umani come “carne da macello”? Ma ha letto, il nipotino del generalone “Un anno sull’Altopiano” di Emilio Lussu, che racconta degli ufficiali austriaci che, dall’alto delle loro postazioni gridano “Basta, valorosi soldati italiani, non fatevi uccidere così”?
Altro che Primo emendamento americano, in Italia non solo è vietato parlare, ma è stato reso indisponibile il libero pensiero, lo studio e l’opinione sul passato dell’Italia, che ad essere benevoli gronda sangue, violenza, coercizione, colonialismo.
Sono dunque due gli aspetti che fanno accapponare la pelle in questa vicenda:
Il primo, è quello storico. Non poter criticare Luigi Cadorna, il generale passato alla storia per la drammatica disfatta di Caporetto, grida vendetta. Dopo il giudizio emesso contro Favero, viene di fatto abrogato il diritto di revisionare la storia, insomma. E non mi è parso di leggere articolesse dei benpensanti radical-chic contro questa intromissione togata in un modo squisitamente intellettuale. Sia mai, per loro il passato può essere rivisto sì, ma solo se porta acqua al mulino della menzogna.
Il secondo è normativo, ha a che vedere col diritto di espressione, senza censura alcuna. Un principio quest’ultimo totalmente negato, che spunta, ma solo a livello propagandistico, durante qualche dibattito di qualche insulsa campagna elettorale.
La Magistratura italiana – complice dell’impunità dei governi Conte e Draghi nel sostenere ogni infamia durante la tragica farsa pandemica – con la sentenza patavina dimostra di essere null’altro che quel potere statale utile solo ad annegare la libertà nella putrida pozza del progressismo, anziché garantirla.
L’Italia è veramente un paese fascista nel dna. Dalle camicie alle toghe, il nero è rimasto il colore prediletto degli abiti dei suoi adulatori. Quelli che, invece, ne perpetuano le gesta si addobbano dei colori dell’arcobaleno.
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