Il 19 febbraio scorso, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la sua volontà di rimanere in carica per un secondo mandato. Candidatura come capolista (“Spitzenkandidat”) che sarà ufficializzata al Congresso del Partito Popolare Europeo (Ppe) che si terrà il 6-7 marzo a Bucarest, in Romania. Secondo i sondaggi, dopo le elezioni europee, il Ppe sarà il gruppo politico più numeroso del prossimo Parlamento europeo e questo fa di von der Leyen, 65 anni, la principale favorita per il ruolo di presidente della prossima Commissione. “Gli ultimi cinque anni sono stati tanto difficili quanto straordinari” ha dichiarato l’esponente della Cdu tedesca. “Il mondo di oggi è completamente diverso. Ne abbiamo passate tante, e credo che abbiamo ottenuto più di quanto si sarebbe mai potuto immaginare”, ha osservato, ricordando i suoi cinque anni alla guida della Commissione. Che potrebbero diventare 10, se verrà confermata. “Mi sono candidata nel 2019 perché credo fermamente nell’Europa. L’Europa è la mia casa”, ha affermato ancora von der Leyen, in occasione della conferenza del partito.
Lo scandalo Pfizergate
C’è un problema: Ursula von der Leyen è – politicamente – impresentabile. Per diversi motivi. E il primo riguarda senza dubbio il “Pfizergate”: la presidente della Commissione europea tace e non ha mai chiarito quale fosse il contenuto degli sms che avrebbe scambiato con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, poco prima che l’Ue versasse un anticipo di 700 milioni di euro a Pfizer e di 318 milioni di euro a Moderna, al fine prenotare rispettivamente 200 e 80 milioni di dosi di vaccino anti-Covid. Com’è stato effettivamente negoziato il contratto per l’acquisto del vaccino di Pfizer? Un quesito fondamentale, soprattutto se pensiamo – come al tempo svelato al tempo dal Financial Times – Pfizer ha aumentato il prezzo del suo vaccino Covid di oltre un quarto e Moderna di oltre un decimo nei contratti stipulati con l’Ue nell’agosto 2021. L’accusa mossa a von der Leyen è quella di aver agito personalmente, attraverso una negoziazione privata, senza il mandato degli Stati membri dell’Unione europea. Non è una mera questione di forma: quegli sms sono a tutti gli effetti dei documenti ufficiali, che avrebbero dovuto essere messi a disposizione dell’opinione pubblica per essere consultati, discussi analizzati.
Peccato che quei messaggi di rilevante interesse pubblico siano spariti. Volatilizzati. Un fatto gravissimo per un’istituzione – come la Commissione europea – che fa della trasparenza, almeno a parole, un baluardo. C’è poi la causa intentata dal New York Times contro la Commissione presieduta dalla stessa von der Leyen il 25 gennaio 2023 presso la Corte di giustizia europea per non aver messo a disposizione gli sms con Bourla. Come riporta Politico, si tratta di una causa le cui probabilità di successo “sono alte”, secondo quanto dichiarato da Yoann Boubacir, avvocato ed esperto di diritto europeo, facendo riferimento a un regolamento dell’Ue del 2001 secondo cui i cittadini dell’U dovrebbero avere il diritto di accedere a “qualsiasi contenuto, qualunque sia il suo supporto”. Cosa accadrebbe se von der Leyen venisse condannata dopo un eventuale riconferma? Va bene il garantismo, ma per una questione di opportunità politica avrebbero dovuto fare un passo indietro.
Il passato poco brillante come ministro della Difesa di Merkel
Pfizergate non è l’unico “neo” – se così si può chiamare – della fedelissima di Angela Merkel, da sempre vicina agli ambienti tedeschi più filo-americani. La ginecologa e conservatrice tedesca non ha nemmeno un passato brillante come ministro, anche se ora è considerata intoccabile – nonostante il Pfizergate – per il suo incrollabile sostegno dimostrato nei confronti dell’amministrazione Biden, sia rispetto al conflitto in Ucraina, sia verso Israele. Infatti, come nota il New York Times, von der Leyen è stata criticata in Europa per il suo sostegno incondizionato alla politica di Tel Aviv a Gaza: ha infatti sostenuto il – sacrosanto – diritto all’autodifesa dello stato ebraico senza tuttavia esprimere alcun tipo di preoccupazione per ciò che accade nella Striscia di Gaza e per le vittime civili provocato dall’operazione militare avviata dal governo Netanyahu in risposta all’attacco terroristico del 7 ottobre. Sono più di 800 i funzionari dell’Ue ad aver firmato una missiva consegnata ai media nella quale si sono detti “sorpresi” e “rattristati” dalle “azioni e posizioni infelici” prese da von der Leyen a nome dell’istituzione intera, che sembrano “dare mano libera all’accelerazione e alla legittimità di un crimine di guerra nella Striscia di Gaza”. Un palese atto di sfiducia verso von der Leyen e per l’istituzione che rappresenta. Quanto al suo discusso passato da ministro, come già accennato, sono più le ombre che le luci.
Ombre che emerso, in particolare, quando divenne, nel 2014, la prima ministro della difesa donna della Germania nel governo di Angela Merkel: esperienza tutt’altro che felice e segnata da scandali, che viene considerata in patria del tutto fallimentare. “Von der Leyen è il nostro ministro più debole. A quanto pare questo è sufficiente per diventare presidente della Commissione”, ha twittato nel 2019 l’ex presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Difficile dare torto all’esponente socialdemocratico: come notava Politico nello stesso periodo, infatti, “sia tra amici che nemici, la gestione del ministero della Difesa da parte di von der Leyen, che dirige dal 2014, è considerata un fallimento”. Insomma, von der Leyen sarà stata anche un alleato fedele di certo establishment – e di Washington, in particolare – ma politicamente è impresentabile. E per un ruolo così importante, in una fase storica così complessa e difficile, servirebbe una figura più autorevole. Se non alla pari, quantomeno degna dei grandi fondatori dell’Unione europea, da Robert Schuman ad Altiero Spinelli.
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