La malattia terminale
di Andrea Zhok - 13/05/2023
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Fonte: Andrea Zhok
Sta muovendo qualche onda l'esclusione del fisico Carlo
Rovelli dalla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di
Francoforte, cui era stato precedentemente invitato. La colpa di Rovelli
è stata quella di contestare – peraltro in modo argomentato - le scelte
del governo rispetto al conflitto tra Russia e Ucraina.
Avendo fatto
parte Rovelli fino a ieri del novero degli “accreditati” dal sistema
mediatico, questa volta si è inarcato persino qualche sopracciglio nella
borghesia semicolta, nei lettori di corriererepubblica e fauna affine.
Purtroppo a quest’influente fascia della popolazione sfugge del tutto la
gravità di ciò che accade da tempo, come un andamento sotterraneo,
continuo, capillare.
C'è una linea rossa continua che si dipana
nella gestione dell’opinione pubblica occidentale da anni e che ha
subito un’accelerazione dal 2020. È una linea che si lascia vedere in
superficie solo talora, come nella persecuzione di Assange (o Manning, o
Snowden, ecc.) fino a censure minori, come quella assurta oggi agli
onori delle cronache. Il senso profondo di questo movimento sotterraneo è
chiarissimo: perseguimento della verità e gestione del discorso
pubblico in occidente sono oramai indirizzi incompatibili.
A Rovelli
viene imputato qualcosa di imperdonabile, ovvero di aver tradito
l’appartenenza alla cerchia degli onorati dalle élite di potere,
mettendole in imbarazzo. Questo non può e non deve accadere. Oggi il
discorso pubblico ha il permesso di oscillare tra due poli, a un estremo
la polemicuzza innocua e autoestinguentesi sull’orsa o la nutria di
turno, all’altro i rifornimenti di munizioni alla linea dettata dal
capo, cioè dalla catena di comando a guida americana dietro al cui carro
- sempre meno trionfale - siamo legati.
Per le verità più pesanti e
pericolose vige l’ordine di distruzione, come evidenziato dal caso di
Assange la cui vita è stata distrutta per segnare un esempio e un
ammonimento a qualunque altro soggetto eventualmente incline alla
parresia. Per le insubordinazioni minori (tipo Rovelli, Orsini, ecc.)
basta la caduta in disgrazia presso i cortigiani, che si riverbera in
censure, piccoli ricatti silenti, e poi in discredito, blocchi di
carriera, ecc.
Tutto ciò si condensa in una sola fondamentale
lezione, una lezione implicita che il nostro intero sistema di
formazione delle menti, giornali, televisioni, scuole, università, ecc.
consapevolmente o inconsapevolmente implementa: “Tutto ciò che è
discorso pubblico è essenzialmente falso.”
Questa è la lezione che i
giovani ricevono precocemente e da cui traggono tutte le conseguenze
del caso, in termini di disimpegno e abulia. A tale lezione si sottrae
solo in parte qualche parte della popolazione meno giovane, in cui si
agita ancora l’illusione di aspirazioni passate (“partecipazione”,
“democrazia”, ecc.).
La “realtà” in cui ci troviamo a nuotare funziona però secondo il seguente ferreo sillogismo:
1)
Tutto ciò che abbiamo in comune gli uni con gli altri come cittadini,
come demos è il discorso pubblico mediaticamente nutrito;
2) Ma quel
discorso pubblico è oggi puramente e semplicemente menzognero (o
schiettamente falso, o composto di frammenti di verità ben selezionati,
funzionali a creare uno desiderato effetto emotivo);
3) Perciò non
c'è più nessun possibile demos, nessun possibile discorso pubblico, e
dunque nessuna leva perché un’azione collettiva possa cambiare alcunché.
Mettetevi il cuore in pace, si salvi da solo chi può.
In questa
cornice peraltro si staglia per interesse l’atteggiamento dei
superdiffusori di menzogne certificate, dei mammasantissima
dell’informazione e del potere, attivissimi nel denunciare ogni
eterodossia sgradita come “fake news”. E così ci troviamo di fronte allo
spettacolo insieme comico e ripugnante dove i comandanti di corazzate
dell’informazione chiedono il perentorio affondamento di canotti social
per non aver benedetto abbastanza l’altruismo di Big Pharma, o per
essere stati teneri con Putin, o per non aver rispettato l’ultimo
catechismo politicamente corretto, e così via.
Viviamo in un mondo in cui la menzogna strumentale è oramai la forma dominante della verbalizzazione di interesse pubblico.
C'è
chi vi reagisce con mero disimpegno rassegnato; chi si chiude
angosciato nella propria stanza tipo hikikomori; chi cerca paradisi
artificiali in pillole; chi accetta il gioco cercando di usarlo per
tornaconti a breve termine (perché nessun altro orizzonte è
disponibile); c'è chi cade in depressione; chi impazzisce; c'è chi ogni
tanto spacca tutto per poi tornare a battere la testa contro il muro
della propria cella; e c'è chi sviluppa quella forma particolare di
pazzia che sta nel lottare disarmato contro i giganti sperando si
rivelino mulini a vento.
Sul fondo fluisce la corrente della storia
dove il nostro vascello occidentale ha preso un ramo digradante e con
inerzia irreversibile accelera verso la cascata. Una volta che la parola
pubblica ha perduto la propria capacità di veicolare verità, ridarvi
peso è impossibile. Ogni ulteriore parola spesa per correggere le
falsità del passato, se raggiunge la sfera pubblica viene per ciò stesso
percepita come debole, logora, impotente. La società che abbiamo
apparecchiato è una società senza verità e togliere la verità al mondo
sociale significa condannarlo ad una malattia terminale. Quanto
dureranno gli scricchiolii, quanto la caduta di intonaci, quanto le
infiltrazioni d’acqua, quanto resisteranno ancora gli spazi abitabili
sempre più ristretti, questo non è facile prevedere, ma un mondo senza
verità è un mondo senza logos, e non può che sfociare in quella
dimensione dove le parole sono superflue perché violenza e morte ne
hanno preso il posto.
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