Intervista a Benedetta Piola Caselli: "I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico"
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Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.
<<La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese.
Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.
Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.
I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari. C’è da chiedersi perché le fanno suonare così tanto in assenza di pericolo, e se non sia una strategia per mantenere alta la tensione, peraltro con conseguenze pericolose: ho filmato come la gente non ci creda più e continui normalmente la sua vita, senza ripararsi.
Il giorno che ce ne fosse bisogno davvero, sarebbe una strage.>>
Ma come si vive a Leopoli?
<<Normalmente: si paga con il bancomat, i negozi sono pieni, tutti i servizi funzionano, la gente è per le strade e nelle piazze… Ho girato vari video sulla vita di Leopoli, che pure era descritta come una città in guerra. E’ vero però che c’è una situazione come di attesa, ci si aspetta sempre che gli eventi possano precipitare.>>
Cosa puoi dirci sulla libertà di stampa ed espressione del pensiero?
<<L’Ucraina è un paese in guerra e quindi, chiaramente, non c’è. Ad esempio, c’è un solo canale televisivo attivo, e io non riuscivo a collegarmi con nessuna agenzia russa per controllare anche la versione “nemica” degli avvenimenti. Detto questo, i media occidentali sono più realisti del re, perché non solo prendono per oro colato la propaganda bellica anche quando è palesemente ridicola, ma addirittura la superano. L’esempio delle storie delle mamme con il cuore spezzato per i figli diciottenni al fronte è una balla tutta italiana, perché gli ucraini sanno benissimo che stanno combattendo sono soldati professionisti e volontari; oppure la scemenza della nonnina che ammazza otto russi con la torta allo zinco, che era una traduzione sbagliata; o quella del volontario senza gambe…si potrebbe continuare per chissà quanto. Anche le coreografie con giubbetti antiproiettile, elmetti, sacchetti di sabbia e cavalli di frisia da zone tranquillissime, sono una buffonata tutta straniera, e non passerebbe mai fra gli ucraini che sanno benissimo dove si combatte e dove no. Ho scattato varie foto di reporter agghindati di tutto punto che descrivevano la “zona di guerra”, mentre erano di fronte a me che prendevo caffè e torta di fragole seduta al bar, con i ragazzini che mi giocavano a pallone a dieci metri.>>
Che atteggiamento hanno gli ucraini verso i giornalisti?
<<Gli ucraini hanno chiaro che questa guerra si gioca anche sull’informazione. I media internazionali sono benvenuti ed organizzati - una delle caratteristiche che ho scoperto degli ucraini è di essere grandi organizzatori. A Leopoli, dove si concentrano i giornalisti internazionali, c’è un media-centre efficientissimo dove si può lavorare, mangiare, trovare servizi ed assistenza. Lì vengono organizzate quasi quotidianamente le conferenze dei politici o dei militari sui temi del giorno. Ovviamente c’è un codice da rispettare quando si descrive la guerra, ma credo che sia normale che gli ucraini ne chiedono il rispetto: siamo ospiti e, come ospiti, ci si aspetta una narrazione amica. Quando le notizie non ci sono, si cerca collettivamente di raschiare il barile, per esempio segnalandosi l’un l’altro su una chat apposita quando arriva un “carico” di profughi. I “carichi” sono molto attesi. Siccome tutti i giornalisti più o meno tutti facevano le stesse cose - profughi, funerali di soldati, campi di addestramento per i volontari, io ho cercato di fare qualcosa di diverso.>>>
E cioè?
Cioè sono stata fra la gente, mi interessava davvero capire come viveva e come si organizzava. Mi sono fermata a dare una mano in un centro che prepara reti militari per la resistenza, cercando di ascoltare che cosa avevano da raccontare le persone lì presenti. Quasi tutti quelli che venivano dal Donbass, per esempio, mi dicevano che prima del 2014 il problema della discriminazione russa/ucraina non c’era, e che la ritenevano creata ad arte. Erano persone di lingua e cultura russa, che si sentivano perfettamente ucraine e che non giustificavano in nessun modo l’invasione sovietica. So che c'è anche un'altra visione, ma il punto interessante è proprio questo: poterle raccontare tutte e due per mostrare il mondo nella sua complessità. Mi interessava anche capire cosa portasse gli stranieri a combattere per l’Ucraina, e così sono riuscita ad intervistare uno degli organizzatori della legione straniera, oltre che due foreign fighters venuti da Hong Kong a combattere per un debito di onore, e a un marine britannico che metteva in guardia dagli improvvisati della guerra… Secondo lui, molti degli incidenti della prima parte del conflitto attribuiti ai russi - e che i russi ribattevano essere colpa degli ucraini - erano banalmente dovuti all' imperizia dei volontari non pratici nell'uso delle armi. E poi tante donne, ognuna con la sua storia.>>
Ma tornando ai profughi, cosa hai visto?
<<E’ chiaro che quando c’è un conflitto la gente scappa, e sicuramente ne è scappata tanta. Dover lasciare la propria casa e la propria vita è una tragedia che non può essere raccontata con superficialità. Detto questo, mi sembrano totalmente inverosimili i numeri dati dall’ONU, che parlano di 4 milioni di rifugiati - i media a volte hanno detto anche 10. Gli ucraini sono 44 milioni: questo significherebbe che un ucraino su 10 (o addirittura 1 su quattro!) avrebbe lasciato il paese, allontanandosi anche da quelle parti che sono in sicurezza.
Non è così. Per esempio, quasi nessuno è partito da Leopoli, che ha invece accolto un numero importante di profughi, ufficialmente 200.000, senza che questo però abbia alterato la struttura e la vita della città. Io ho potuto filmare due frontiere. La prima volta è stato il 6/3 in due momenti diversi della giornata: dalle 7.30 del mattino alle 11 e dalle 18.30 della sera alle 22. Alle 7.30 passavano in Romania pochissime persone, il confine era praticamente deserto. La gente ha cominciato ad arrivare verso le 10-1030. Questo però vuol dire che era gente che si allontanava, ma non scappava, perché altrimenti avrebbe assediato il confine a tutte le ore del giorno e della notte. A sera si era effettivamente formata una fila lunghissima di macchine, e c’era un centinaio di persone che aspettava al freddo di passare a piedi. Questo da parte ucraina.
Da parte rumena continuava a non esserci pochissima gente, segno che le file si formavano per le lungaggini dei controlli e delle registrazioni (durano effettivamente varie ore) e non perché il numero di persone era enorme. Certo, se uno inquadra solo la fila chilometrica di macchine e non si pone delle domande, per forza dà l’idea di una popolazione in fuga… Voglio precisare anche che, quando sono passata io, secondo i dati ONU erano passate da quello stesso valico oltre 80.000 persone, vale a dire 66.600 al giorno, 277 per ora sulle 24 ore. Solo nel giorno in cui ero io lì non passavano? Perché poi il numero ha continuato ad aumentare.
Sono poi passata per la frontiera in direzione Polonia partendo da Leopoli. L’ho attraversata il 25/3 e ho filmato il vuoto. Non c’era quasi nessuno. Eppure, secondo l’ONU, dalla frontiera polacca erano passati già 2 milioni e mezzo di persone, cioè 83.330 al giorno, 3.475 all’ora. I valichi sono tre: dividete per tre. Questi dati sono impossibili proprio da un punto di vista logico, prima ancora che esperenziale.>>
Si direbbe, quindi, che i profughi non ci siano...
<<Non ho detto questo. Ci sono e sono tanti, solo con numeri molto inferiori a quelli ufficiali. Ho filmato anche la stazione di Prémyzl (la prima in Polonia uscendo dall’Ucraina) e le 7 troupe televisive che erano con me. Si vede che filmavamo cose diverse, perché loro trasmettevano folle oceaniche, io un numero alto, ma gestibile, di persone: bastava allargare il campo. Ho anche filmato le stazioni di Leopoli quelle che, secondo la vulgata, sono prese d’assalto, e anche la stazione dei pullman. Tanta gente, ma non ingestibile. Dipende tutto da cosa si inquadra. Non sottovaluto certo la gravità della situazione, ma ho l’impressione che l’esagerazione propagata dai media e dalle autorità serva per creare l’emergenza profughi.>>
Ti aspettavi questa situazione?
<<Assolutamente no! La prima volta che sono entrata in Ucraina ero con un convoglio di 10 tir e 4 pullman aiuti umanitari organizzato dal Vescovo della Chiesa Ortodossa di Milano, Mons. Don Ioan Bica Avondius. Scaricati gli aiuti, la colonna di automezzi sarebbe servita per portare fuori dall’Ucraina i profughi: ne abbiamo portati nove. La ragione è presto detta: la gente in fuga non era molta, e dall’Ucraina si entra e si esce comodamente con pullman e treni e, in quel momento, molti erano anche gratuiti. Ma c'è una cosa ancora più importante. Il 12 marzo, quando sono rientrata in Ucraina col treno, ho filmato famiglie ucraine, donne e anziani con i loro bambini, che tornavano a casa. Viaggiavano insieme a me!
Oggi ne parlano anche i media, ma tre settimane fa nessuno ha voluto pubblicare la notizia, sembrava un sacrilegio. Ora le stesse autorità militari a Leopoli hanno affermato che sarebbero rientrate 500.000 persone: anche questo dato mi sembra esagerato, però è vero che la gente rientra. I media italiani, dovendo alla fine dare una giustificazione a questo fenomeno, che smentisce da solo tutto quello che raccontano, hanno detto che si tratta di donne coraggiose che tornano per sostenere i loro uomini al fronte. Assurdità! Se così fosse, non tornerebbero con gli anziani e con i bambini. La verità è che tornano perché hanno capito che il conflitto sarà lento e, avendo valutato tutte le opportunità, ritengono sufficientemente sicuro per sé e per la propria famiglia di tornare in patria.>>
E questo dovunque?
<<La situazione completamente diversa dove realmente ci sono i combattimenti. Ma qui i “giornalisti” di cui sopra non ci sono. Ci sono, invece alcuni free lance (i primi nomi che mi vengono in mente sono: Vittorio Rangeloni, Maurizio Vezzosi, Giorgio Bianchi). Loro portano avanti una versione molto diversa, che i nostri media non hanno affatto considerato e che mostra una realtà molto meno dicotomica: per esempio, hanno dimostrato che i soldati ucraini avevano postazioni nelle case civili poi bombardate; hanno smontato la storia delle “deportazioni” dei cittadini di Mariupol verso la Russia, mostrando che erano evacuazioni ben accette; hanno intervistato alcuni cittadini che raccontavano di come il Battaglione Azov si fosse fatto scudo con i civili; dimostrato che la blogger non era affatto stata rapita; o fotografato la donna sul cui cadavere è stata incisa una svastica, eccetera. E’ un contraltare importante dell’informazione mainstream, così curiosamente omogenea, ed è allucinante che, in democrazia, non sia ascoltata e discussa, e loro siano addirittura censurati dai social.
Intanto l’informazione ufficiale diffonde solo cadaveri, bambini in lacrime o roba zuccherosa come la “spontanea manifestazione dei passeggini” svoltasi davanti al Media Centre di Leopoli per “ricordare le piccole vittime di guerra”. Io c’ero, e l’ho vista con i miei occhi, quella manifestazione: organizzata sin nei minimi dettagli, altro che spontanea, e senza la presenza di cittadini. Il significato era chiaro, ed era messo nero su bianco sui cartelli, che ho fotografato: serviva a chiedere la NO FLY ZONE. Solo che questo, almeno in quel momento, non piaceva, e quindi questa parte è stata censurata.>>
Cosa ne pensi della tragedia di Bucha?
<<Penso che sia una tragedia, come tutto quello che è
portato dalla guerra. Ma penso anche che molti punti siano da chiarire, e
che sarebbe molto sbagliato farci travolgere dall'emozione senza avere
accertato i fatti. L'esperienza ci ha insegnato che, quando si decide
per un'escalation della violenza, la popolazione va preparata
raccontando episodi che ripugnano alle coscienze. Credo che dobbiamo
fare tesoro di questa esperienza e non farci coinvolgere in nessuna
narrazione che giustifichi la guerra. C'è qualcosa di strano, di troppo
omogeneo, nella comunicazione mainstream, e di troppo violento contro
chi cerca di analizzare i fatti senza avere atteggiamenti fideistici. A
Bucha quel che è fatto è fatto, e una commissione indipendente
accerterà i fatti quando sarà possibile. Per il momento, mi sembra
prudente praticare il dubbio metodico e rimanere saldi nella convinzione
che l'Italia non debba entrare in questo conflitto se non con l'aiuto
alla popolazione civile.>>
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