Della serie: quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. E i duri non sono certo gli occidentali. Claudio
La guerra come la fanno i Russi: parte seconda
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In un lontano futuro, quando i documenti interni russi relativi allo svolgimento di questa guerra in Ucraina saranno resi pubblici, uno dei grandi enigmi del nostro tempo potrebbe finalmente ricevere una risposta definitiva: perché la Russia avrebbe condotto la sua “operazione militare speciale” in Ucraina con una mano legata dietro la schiena, sempre trattenendo le enormi forze distruttive sotto il suo comando, trascinando di conseguenza l’operazione e subendo perdite che una campagna più crudele, in “stile americano,” avrebbe in gran parte evitato?
Immediatamente all’inizio del conflitto armato, avevo sottolineato i dettagli di quello che avevo chiamato “il modo russo di fare la guerra” [the Russian Way of War, ndt] ora applicato in Ucraina. Questo approccio non causa la morte di un numero enorme di civili, non conta su un attacco iniziale “shock and awe” per demoralizzare e sopraffare il nemico. All’epoca, avevo detto che le considerazioni prioritarie da parte russa erano le tradizionali relazioni “fraterne” tra Ucraini e Russi, dal momento che esistono legami familiari e di parentela su entrambi i lati delle frontiere nazionali. L’intento di Vladimir Putin e del suo consiglio di guerra era quello di arrecare il minimo danno al popolo ucraino, cercando allo stesso tempo di separare gli elementi “sani” nel comando militare ucraino dai rabbiosi nazionalisti del Battaglione Azov e altre simili compagini irregolari, incorporate nell’esercito negli ultimi otto anni. Se queste due parti potessero essere separate, la guerra potrebbe essere vinta con minime perdite in termini di materiali e di vite umane.
Tuttavia, dopo le prime settimane dell’operazione, quando era diventato ovvio che si trattava di illusioni e che la Russia si trovava di fronte ad una forza militare unificata e sostenuta da un diffuso sostegno popolare, ancora non si erano visti cambiamenti visibili nel modo in cui la Russia operava sul terreno. L’unico indizio di cambiamento era stata la redistribuzione delle forze disponibili verso la cattura di Mariupol, per mettere in sicurezza l’intero litorale del Mar d’Azov, e il progressivo reindirizzamento delle forze di terra verso l’accerchiamento della parte più consistente dell’esercito ucraino, trincerato appena ad ovest della linea di demarcazione con il Donbass. In compenso c’era stato il ritiro delle truppe russe da Kiev e Chernigov, nel nord.
Ci sono state molte presunte analisi da parte di generali britannici, americani e altri militari in pensione. Aggiungeteci poi le speculazioni, ignoranti ma volubili, dei comuni giornalisti occidentali, soprattutto donne, che non hanno mai impugnato armi da fuoco di alcun tipo né tanto meno elaborato piani di battaglia. Tutti questi commentatori occidentali iniziano con supposizioni su come dovrebbe essere condotta un’invasione, se a scatenarla fossero gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. [Secondo loro] qualsiasi deviazione delle forze russe dal calendario o dallo scopo di un simile assalto in stile occidentale, volto, ovviamente, a rovesciare il regime di Kiev e a soggiogare l’intero Paese, è destinata al fallimento, alla demoralizzazione o alla riduzione della capacità di coordinamento della copertura aerea, dell’artiglieria e degli altri elementi presenti sul campo di battaglia. Punto. La conclusione a cui giungono è che le forze armate russe sono molto meno minacciose di quanto si temesse e che perciò non si dovrebbe esitare ad espandere la NATO e respingerle.
Allo stesso tempo, nessuno, NESSUNO, in Occidente ha commentato alcuni fatti evidenti che inquadrano l'”operazione militare” russa totalmente al di fuori delle tradizionali modalità di condurre invasioni o altri atti di aggressione. Perfino la scelta delle parole usate per descrivere ciò che i Russi stavano per fare era stata tutt’altro che arbitraria. Avevano obiettivi specifici di “smilitarizzazione” e “denazificazione”, a cui, nelle ultime due settimane, si è aggiunta, quasi come un ripensamento, la protezione del Donbass da eventuali ulteriori attacchi da parte delle forze ucraine posizionate dall’altra parte della linea di demarcazione.
L’importanza di quest’ultimo obiettivo non è evidente per i lettori occidentali, perché le uniche immagini di guerra pubblicate sui media occidentali sono quelle che mostrano la sofferenza dei residenti di Mariupol o Kramatorsk.
Tuttavia, ai telespettatori della televisione russa vengono mostrate quotidianamente le conseguenze degli attacchi dei missili e dell’artiglieria ucraina sulla popolazione civile di Donetsk e dei villaggi circostanti, con un bilancio quotidiano di morti e feriti che richiedono il ricovero in ospedale. Questa è solo la parte finale di una storia di feroci attacchi, in violazione degli Accordi di Minsk, iniziata otto anni fa e che ha provocato più di 14.000 morti tra i civili, morti che, fino ad oggi, l’Occidente ha scelto di ignorare.
La nomina di alcuni giorni fa del generale Dvornikov a capo della prossima fase della guerra, la piena liberazione del Donbass e la liquidazione della principale concentrazione delle forze di terra ucraine, ha ricevuto commenti immediati dai media occidentali. I media russi stanno appena iniziando a recuperare il ritardo e a pubblicare le loro valutazioni sui possibili cambiamenti che potrebbero derivare dalla nuova condotta di guerra.
Dvornikov si era distinto come comandante della vittoriosa campagna militare russa in Siria. È noto per la capacità di coordinamento delle forze aeree e di terra, cosa per la quale la Russia non ha particolarmente brillato nella prima fase di questa guerra, sia per incompetenza, come hanno insinuato gli analisti occidentali, sia per evitare danni collaterali e perdite tra i civili, vincolata com’è da una situazione geografica in cui le truppe nemiche sono posizionate all’interno dei quartieri residenziali, come sottolinea la narrativa russa. Il nuovo campo di battaglia nel Donbass sarebbe molto più adatto a soluzioni “tecniche” di artiglieria e attacchi missilistici.
Tuttavia, la nomina di Dvornikov è solo un segno che “il modo russo di fare la guerra” viene attualmente riconsiderato ai massimi livelli del comando russo. In parte, ciò è dovuto alle promesse sempre più audaci, o meglio sempre più sconsiderate, da parte di Usa e NATO, di fornire armamenti pesanti a Kiev. Il campanello d’allarme è suonato ieri a Mosca dopo le dichiarazioni di un vicesegretario alla Difesa di Washington, secondo cui il prossimo livello di supporto a Kiev includerebbe missili a raggio intermedio in grado di colpire le basi aeree all’interno della Russia.
La risposta russa a questa minaccia è stata immediata. Il generale Konashenkov, portavoce dell’esercito russo per tutta la campagna, ha rilasciato una dichiarazione speciale secondo cui qualsiasi attacco sul territorio russo proveniente dall’Ucraina comporterebbe attacchi diretti della Russia ai centri decisionali di Kiev, attacchi che finora il comando russo aveva scelto di non effettuare. Questo, ovviamente, significa che ora verrebbero immediatamente distrutti il Ministero della Difesa, l’amministrazione presidenziale di Zelensky, forse la Rada, così come le loro servette, le torri della televisione ucraina. La conseguenza diretta sarebbe, di fatto, un cambiamento di regime.
Mentre i leader di diversi Paesi europei, negli ultimi due giorni, continuano a discutere pubblicamente se le azioni russe in Ucraina costituiscano o meno un “genocidio”, come ha dichiarato allegramente Joe Biden, nessuno sembra sottolineare le contraddizioni più evidenti all’idea che la Russia stia effettivamente mettendo in scena un guerra totale in Ucraina.
Ursula von der Leyen, Boris Johnson e i primi ministri della Polonia e di diversi Stati Baltici si recano tranquillamente a Kiev, passeggiano lungo i viali del centro insieme a Zelensky, come se non ci fosse alcuna guerra. A dire il vero, sono circondati da scorte di sicurezza, ma queste sarebbero utili solo se ci fossero minacce sul loro percorso. Nessuno pensa alla possibilità di un attacco missilistico russo, ma, alla luce delle osservazioni di Konashenkov, tutto questo potrebbe cambiare bruscamente in qualsiasi momento.
Infine, sono obbligato a ricordare che non tutti i professionisti militari in Russia sono rimasti in silenzio sulle modalità di condotta di questa “operazione militare”. La scorsa settimana, riportando in diretta da Mariupol e osservando la scena della totale distruzione intorno a lui, Yevgeny Poddubny, il corrispondente di guerra più esperto della televisione di stato russa, veterano della guerra siriana e di altre “zone calde”, aveva borbottato piano, quasi spontaneamente: “in una campagna militare, normalmente si impiegano forze per sei volte il numero dell’avversario, e qui invece siamo quasi uguali di numero.” Sicuramente, non c’era niente di “improvvisato” in questa dichiarazione.
Il punto è stato ribadito nell’edizione di ieri del quotidiano semiufficiale Rossiyskaya Gazeta in un’intervista al tenente generale Leonid Reshetnikov, un ufficiale dei servizi segreti esteri in pensione. Reshetnikov ha detto:
“Quando si è all’attacco, la scienza militare dice che si dovrebbe avere un minimo di tre volte il numero delle truppe in difesa. Ma, sul campo, secondo le informazioni disponibili, stiamo operando da una posizione di minoranza. Stiamo ottenendo risultati come raramente se ne vedono nella storia, a Izyum, a Novaja Kakhovka e in altri territori. Questo dimostra la bravura dei nostri soldati e dei loro comandanti.”
Sì, Reshetnikov ha espresso le sue osservazioni come un complimento, ma la critica implicita è lì per chiunque voglia guardare da vicino.
Fin dall’inizio, ho indirizzato l’attenzione su ciò che le élite sociali, accademiche e politiche russe hanno da dire sull'”operazione militare speciale”. Uno dei miei indicatori chiave è il talk show politico “Una serata con Vladimir Solovyov” e l’edizione di ieri ha fornito molti spunti di riflessione.
In primo luogo, per quanto riguarda le sanzioni, c’era quasi unanimità tra i relatori sul fatto che è tempo che la Russia risponda direttamente e con forza alla guerra economica e ibrida che Stati Uniti ed Europa stanno ora conducendo contro il loro Paese. Chiedono un’interruzione immediata delle forniture di gas all’Europa, un embargo sull’esportazione di titanio e di altre materie prime essenziali per la produzione industriale avanzata in Occidente. Un’alternativa a queste mosse crudeli e devastanti contro l’Europa sarebbe quella di applicarle prima al Giappone, un altro fervente sostenitore della guerra commerciale contro la Russia che, negli ultimi giorni, ha pubblicamente sostenuto gli ultranazionalisti di Azov, rimuovendoli dall’elenco dei terroristi mondiali. La Russia dovrebbe imporre un embargo commerciale totale al Giappone, a cominciare dagli idrocarburi, ed estenderlo a tutti i settori, comprese le concessioni di pesca. Inoltre, la Russia dovrebbe posizionare armi nucleari tattiche ed altri armamenti significativi sulle Isole Curili, come un fermo promemoria su chi possiede questi territori, ora e per sempre.
Per quanto riguarda l’azione militare, il consenso dei partecipanti era anche a favore di una guerra totale contro l’Ucraina, senza considerazioni per le eventuali vittime civili collaterali. La guerra dovrebbe finire in modo rapido, deciso e con un minimo di ulteriori perdite russe. Punto. Come molti hanno notato, è molto probabile che anche i telespettatori siano rimasti confusi dall’approccio “all’acqua di rose” tenuto fino ad ora dalla Russia. Anche se si fidano del comandante in capo, vorrebbero un’azione più decisiva, sia in aria che a terra. Vale la pena ricordare che il relatore che rappresenta le classi “creative” russe, il direttore generale degli studi Mosfilm, Karen Shakhnazarov, che un paio di settimane fa aveva esitato a dare il suo sostegno alla guerra, ora ha “saltato la barricata” e sta facendo del suo meglio per cercare soluzioni che consentano di vincere subito una guerra cinetica.
Si era parlato anche della mobilitazione bellica. Il consenso dei relatori era che l’economia russa dovrebbe essere messa completamente sul piede di guerra, con il processo decisionale concentrato nell’esecutivo e rimosso dalle mani degli imprenditori. Questo sarebbe necessario non tanto per il conflitto in corso con l’Ucraina, ma per la continuazione della più ampia guerra con l’Occidente guidata dagli Stati Uniti, il vero contesto del conflitto. L’invio di missili a lungo raggio a Kiev renderebbe gli Stati Uniti un co-belligerante e la Russia dovrebbe essere pronta a colpire le istituzioni “decisionali” statunitensi.
In breve, la logica della discussione nel format di Solovyov era che i Russi dovrebbero chiarire in modo inequivocabile a Washington che sta flirtando con il disastro e che questo non è un videogioco, ma una lotta per la vita o la morte, in cui gli Americani non godono dell’immortalità.
Resta da vedere quanto di questa esuberanza influenzerà le prossime mosse del Cremlino. Ma gli analisti americani farebbero bene a dare un’occhiata a programmi come quello di Solovyov, se non vogliono che ignoranza e pressappochismo ci facciano precipitare in uno scenario da fine del mondo.
Gilbert Doctorow
Fonte: gilbertdoctorow.com
Link: https://gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/
24.04.2022
Tradotto da Papaconscio per comedonchisciotte.org
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