L’Index of Economic Freedom (IEF) viene pubblicato normalmente tra gennaio e febbraio, e riporta i dati dell’anno precedente. Ora, per quanto nel corso degli anni abbia maturato diverse perplessità in merito a questa classifica – per motivi che sarebbe troppo lungo esporre qui – tuttora lo considero un ottimo viatico per comprendere, con le debite cautele, la libertà economica nel mondo.
Ora, i dati 2021 riguardanti Ucraina, ma anche Russia, non sono confortanti. L’Ucraina è al 130esimo posto nel mondo, quindi a livello molto basso, e considerata “in Europa”, come macroregione geografica, è al 44 posto su 45 stati, ovvero penultima: l’ultimo posto spetta alla Bielorussia. La Russia è al 113esimo posto, ovvero, considerata anch’essa in Europa, al 43esimo posto, proprio sopra l’Ucraina.
Non solo viene stigmatizzata nello IEF la corruzione del sistema politico e giudiziario ucraino, e questo l’icastico, spietato giudizio finale dello IEF: “La suscettibilità della magistratura alle pressioni politiche, alla corruzione e alla concussione indebolisce la fiducia del pubblico. L’integrità del governo rimane gravemente compromessa”. Ma anche quando si tratta del parametro importante della “efficienza nei regolamenti”, ecco quanto vien detto: “Le decisioni dei regolatori sono caratterizzate da un alto grado di arbitrarietà e favoritismo. È stato fatto un cambiamento per accelerare la revisione e il rilascio dei brevetti. C’è una forza lavoro qualificata nel settore del software. La maggior parte delle imprese statali dipendono dai sussidi governativi per funzionare e non possono competere direttamente con le imprese private. I sussidi per il gas naturale sono stati attuati nel 2021”.
Ora, la Russia sta leggermente meglio. Ma quello che colpisce, paragonando i due paesi, è il fatto che il GDP russo pro-capite (che non è, è bene ricordarlo, un parametro di valutazione, ma viene solo dato come punto di riferimento generale – a che serve la libertà economica se non ad aumentare PIL e benessere individuale? – ) a PPP, è molto superiore a quello ucraino: in Ucraina è 13.000 USD circa – come la Calabria – in Russia 27.000 USD, ovvero il doppio, a fronte di una popolazione ucraina di 44 milioni, e una russa di 144 milioni, ovvero ben cento milioni in più!
A questo punto, se la domanda è: esiste una classe media, una “borghesia” russa? Può darsi che non esista e la distribuzione di cotale ricchezza rispecchi perfettamente l’antico regime da cui la Russia non si è mai schiodata – il periodo comunista è stato un tempo orrendo ma neutro, di “sospensione della storia”, che quindi nel 1992 è tornata indietro di colpo al 1917 – può darsi che un PIL pro-capite alto a livello mondiale come quello suddetto, 27.000 dollari, non rifletta se non una condizione di oligarchi con cento yacht (la cui manutenzione viene ora pagata, per alcuni, dal governo italiano – speriamo che Draghi e quella gran compagnia di pagliacci ci faccia almeno qualche giretto) e mille amanti giovanissime, e milioni di disperati senza neanche cibo.
Ma certamente se una classe media, moderna, tipica di un’economia sanamente capitalistica, non è emersa in Russia (o fatica a farlo), in Ucraina proprio non esiste. Ovvero, non è possibile che con quel PIL individuale, in uno stato post-comunista, qualcosa di più di una parvenza di classe media sia emersa. Avranno pure telefono computer e macchinetta, ma classe media non sono. Per cui, forse più proiettata verso il mondo libero era proprio la Russia di Putin, con la sua flat-tax, tra l’altro, adottata anche dalla Bielorussia, che non l’Ucraina eterodiretta da Washington e Bruxelles, ovvero dal padrone e dai suoi maggiordomi.
E allora quando ricevo email in cui mi si decanta l’immensa ricchezza ucraina, le “terre nere” per l’agricoltura, le “terre rare” per le miniere, e quant’altro, viene il sospetto che tali immense ricchezze – ma non le ha anche il Venezuela, che almeno al contrario dell’Ucraina per un certo periodo, e non breve, fu tra gli stati più ricchi del mondo e ora vive in povertà estrema – siano gestiti da oligarchi in combutta con grosse compagnie minerarie inglesi e americane, che si arricchiscono con le risorse minerarie (da sempre, da quando gli zar invitarono a fine Ottocento i Gascoigne e altri capitalisti britannici a scavare nel sottosuolo ricchissimo del Donbass) (magari col contorno di archeologi a scavare per altri motivi, vanno sempre insieme, tanto per non far mancare il tocco di cultura e sapere, grosse compagnie minerarie e allegri team di archeologi dottissimi), e che dunque vedano minacciati i loro immensi profitti da Putin che li vuol fare appunto lui.
Il popolo ucraino è come il popolo nero delle miniere d’oro diamanti e quant’altro nel Sudafrica dell’Apartheid. O visto che di antico regime ho parlato, dei negri che Leopoldo sovrano/concessionario del Congo utilizzava nei campi e nelle miniere che lo resero (lui, non il Belgio tutto, lui e la sua corte) ricco come Creso.
Che muoia di fame, tale popolo vastissimo, bombardato, e sepolto in miniera, alla corte degli oligarchi poco cala. Siamo nell’antico regime. Qui si perdono dollaroni!
Ho provato a gironzolare nei siti web delle grosse compagnie minerarie che fanno affari nel Donbass gestendo l’immensa produzione mineraria locale, ma sono tutti criptati, oscurati, quando va bene solo in ucraino. Chi sono i loro proprietari, i loro amministratori delegati (ovvero CEO: i miei studenti alienati dai social, come la maggior parte del mondo, quando dico “amministratore delegato” strabuzzano gli occhi: “Ma prof! Si dice CEO”, e allora diciamo CEO…!), il loro, facciamo contenti gli anglofoni d’accatto, “top management”. Sicuramente americano, inglese, gallese, scozzese. E i loro azionisti, pardon, “stakeholders” di maggioranza? Alcuni siti li hanno chiusi. Perché non sono mica l’unico coglione che tali domande si pone. Per fortuna. (Per altro ricordo ai miei studenti ma soprattutto agli eroinomani dei “social” che un conto è sapere cosa è e come si pronuncia “CEO”, un conto è diventare tale: ma Elon Musk fa credere a tutti che tutti un giorno saranno come lui e questo oppio a buon mercato intossica il mondo, popolato vieppiù da esserini inermi e iper-reattivi, tutti convinti però che un giorno come Elon saliranno al cielo da vivi).
Intanto il massacro continua, complice l’Europa che manda armi “finalmente soddisfacenti” a giudizio degli oligarchi ucraini. Come sono umani! Adesso le nostre armi per qualità e quantità soddisfano le loro richieste. Io non lo so, forse perché studio l’Europa di Carlo V, ma vederci così, declinati all’ablativo, mi pare veramente deprimente. Finora gli avevano mandato archibugi, ora splendidi sovrapposti Beretta. A proposito, esiste una lista delle armi, con specifiche, che l’Italia ha inviato? Le hanno pagate i contribuenti, o le hanno regalate i produttori? Che schifo, che pietà.
Intanto, priva di ogni e qualsiasi dignità, l’Europa boccheggia. Arriverà questa benedetta bomba? Mah. Chi vedrà, vivrà. Rovescio il proverbio perché notoriamente l’onda atomica è talmente rapida che non si riesce neanche a vedere, almeno la morte d’un tempo ci lasciava qualche attimo per seguire la discesa della falce.
Chi vivrà – allora – vedrà. In chiusura, consiglio la lettura proprio su queste pagine di un articolo di Sergio Salvi, che tratta, da una prospettiva diversa, ma identiche conclusioni questi miei medesimi temi.
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