Pace o condizionatori? Draghi ci ricasca: il populismo della Competenza continua a far danni
Forti dubbi che lo stesso governo che ha imposto gravi restrizioni della libertà e costi economici enormi senza solide basi scientifiche, non commetta ora irreparabili errori di calcolo con le forniture energetiche
“Preferiamo la pace o il condizionatore d’aria acceso tutta l’estate?”. E niente, Sua Competenza Mario Draghi ci è ricascato. Questa domanda retorica, pronunciata nella conferenza stampa di ieri per illustrare il Def, per livello di mistificazione raggiungerà le famigerate frasi di questa estate (“Green Pass garanzia di trovarsi tra persone non contagiose”, “non ti vaccini, ti ammali, muori”). Ammesso che venga mai deciso dai Paesi Ue lo stop all’import di gas russo. Infatti, il premier aveva appena precisato che la sanzione al momento non è sul tavolo, ma “noi andiamo con l’Ue. Se ci propongono l’embargo sul gas, lo seguiremo” – facile a dirsi con la comoda “copertura”, finora, dei veti altrui, austriaco e tedesco.
La battuta è pura demagogia, lo stesso identico espediente retorico usato durante la pandemia, porre l’opinione pubblica di fronte ad una falsa alternativa: preferite il Green Pass o le chiusure? Ricordate? Chi non ingoiava il primo veniva accusato di volere le seconde. Poi avremmo avuto entrambe le cose, domani rischiamo di non avere nessuna delle due, né la pace né i condizionatori accesi.
In questo caso la mistificazione è duplice. Primo, non c’è un nesso di causalità tra la rinuncia europea ad acquistare gas russo e la pace in Ucraina, che dipende essenzialmente da una sconfitta di Putin sul campo. Non basta infatti che Mosca accetti un cessate-il-fuoco perché a corto di risorse – il che comunque non sarebbe un esito scontato nemmeno se venissero meno gli introiti del gas dall’Ue. Per una pace vera, non una resa di Kiev, occorre creare le condizioni perché l’aggressione non si ripeta in futuro.
Secondo, in gioco non c’è una frazione di comfort casalingo a cui potremmo tutti rinunciare: una doccia calda più breve, il termostato impostato su uno o due gradi in meno, un maglione in più, o la rinuncia all’aria condizionata d’estate, per citare le rinunce che ci siamo sentiti proporre in queste settimane da qualche politico e commentatore in vena di facile moralismo. “Controllate le vostre docce e quelle dei vostri figli adolescenti. E quando chiudete il rubinetto dite: prenditi questa Putin!”, questo il livello, per intenderci, di Margrethe Vestager, commissario europeo alla concorrenza.
Sarebbe onesto da parte di questo governo, e in particolare dal presidente Draghi, e dei funzionari di Bruxelles, cominciare a trattare i cittadini da adulti, non come bambini capricciosi da convincere a rinunciare al gelato per la pace nel mondo.
Altro che docce e condizionatori, in gioco c’è la distruzione della domanda energetica e una crisi industriale e occupazionale. Come ha ammesso Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, martedì sera a Fuori dal Coro, su Rete Quattro, rinunciare al gas russo si può, certo. Possiamo farcela, ma nel breve termine con i razionamenti, con la “distruzione della domanda”. Il che vuol dire industrie ferme, che rinviano o riducono la produzione, oppure che chiudono proprio. Una “decrescita poco felice”, chiosa Tabarelli. Il gas per sostituire 29 miliardi di metri cubi l’anno dalla Russia non c’è. Ne possiamo trovare 10-15. Lo spiega con grande chiarezza nelle sue analisi su La Verità Sergio Giraldo (@durezzadelviver su Twitter):
“I consumi civili sono solo una parte dei consumi di gas. Dei 76 miliardi di metri cubi consumati in Italia nel 2021, il settore civile ha assorbito 33,3 miliardi (pari al 43 per cento del totale, concentrati nei mesi da ottobre a marzo), la produzione termoelettrica 26 miliardi (34 per cento) e l’industria 14 miliardi di metri cubi (18,3 per cento). Il rischio maggiore per il nostro Paese sta proprio in questi ultimi: un calo dei consumi industriali significa infatti recessione economica. Con l’applicazione alla Russia delle sanzioni sul settore energetico, i prezzi salirebbero ulteriormente e verrebbero a mancare circa 1,8 miliardi di metri cubi di gas al mese. A quel punto il governo dovrà decidere se riempire gli stoccaggi in vista dell’inverno o tagliare i consumi del comparto industriale, cosa che provocherebbe una grave recessione economica”.
E, in realtà, siamo su questa strada da prima dell’inizio della guerra in Ucraina, essendo il calo dei consumi industriali di gas già in atto: -10,3 per cento a marzo, ma -9,3 già a febbraio e -8,1 nel primo trimestre.
Il che rende falsa un’altra affermazione di Draghi, pronunciata ieri in apertura della conferenza stampa: “È chiaro che la guerra ha causato un peggioramento delle prospettive di crescita”. A onor del vero, e di cronaca, il peggioramento era già evidente almeno da inizio anno, per il caro-energia in atto da sei mesi e sottovalutato dal governo. Ma sicuramente non mancherà “l’informazione di qualità” che lo farà notare al suo pubblico.
Dunque, la distruzione della domanda causata dai prezzi proibitivi del gas era già in atto prima dell’inizio del conflitto e prosegue oggi, ancor prima dell’ipotizzato stop europeo all’import di gas russo.
Il governo rassicura e fa trapelare piani “segreti”, non molto rassicuranti dato che prevedono una forte distruzione della domanda e una forbice un po’ troppo ampia nelle maggiori importazioni che arriverebbero dal Nord Africa (tra 5 e 10 miliardi di metri cubi c’è una gran differenza). Nello scenario più sfavorevole – blocco del gas russo, non tutte le azioni intraprese per diversificare gli approvvigionamenti in grado di produrre i risultati desiderati, carenza di gas anche in altri Paesi Ue – il governo stima una crescita del Pil nel 2022 pari allo 0,6 per cento, inferiore di ben 2,3 punti percentuali rispetto al tendenziale inserito nel Def.
In attesa del dato sulla produzione industriale di febbraio e marzo, a giudicare dal calo di consumi industriali registrato a marzo con il gas russo (-10,3 per cento), non sembra irrealistico ipotizzare, senza di esso, un segno negativo del Pil, considerando che i prezzi energetici salirebbero ulteriormente, risultando proibitivi per molti settori. Per Confindustria il 46 per cento delle imprese è già a rischio oggi e la crescita tendenziale del Pil è dell’1,9 per cento, inferiore di un punto a quella inserita dal governo nel Def.
Anche il ministro Cingolani ostenta sicurezza: se ci fosse un’interruzione del gas dalla Russia domani, ha spiegato ieri davanti alla Commissione Affari esteri della Camera, “avremmo quattro mesi estivi ragionevolmente tranquilli e dovremmo fare un po’ di salti mortali con gli stoccaggi per prepararci all’inverno 2022-23 sostenibile; se non ci sarà interruzione domani, ogni giorno guadagnato ci permette di andare avanti con gli stoccaggi. Dovremmo essere in grado di saltare questo periodo difficile senza entrare nemmeno in allerta e quindi avere in tempi ragionevolmente rapidi anche l’indipendenza energetica dalla Russia”. Ma come ha osservato Giraldo, gli stoccaggi sono al palo già oggi.
Dalla sua nascita Atlantico Quotidiano denuncia la eccessiva dipendenza europea dal gas russo. E in particolare le politiche della cancelliera Merkel, che hanno aumentato la dipendenza della Germania trascinando con essa l’intera Ue. Eppure, gli stessi politici che oggi spingono per l’embargo sul gas russo, allora ridicolizzavano il presidente Trump che metteva in guardia dalla dipendenza dalla Russia e accusava Berlino di incoerenza.
Dobbiamo uscirne, ma in sicurezza, cambiando rapidamente le nostre politiche energetiche ed evitando contraccolpi economici che rischiano di aggravare la crisi, alimentare la rabbia sociale e restringere di molto l’area del consenso alle azioni volte a contrastare la minaccia di Mosca.
Purtroppo non può lasciare tranquilli l’auspicio formulato ieri dal premier Draghi: “Bisogna ripetere l’esperienza di straordinaria unità nazionale che ha ispirato l’azione di governo durante la pandemia”. Ecco, questa forse la frase più preoccupante. Non è stata un’azione tra le migliori, ma tra le peggiori in termini sia di vite che economici, né una esperienza di “unità nazionale”, ma di apartheid e repressione – ancora in corso, sebbene il premier stesso parli della pandemia al passato.
Se la conoscenza del dossier gas da parte di Draghi è quella mostrata con la battuta di ieri, o la stessa mostrata nel luglio scorso sul dossier Green Pass, allora c’è di che preoccuparsi. Pochi giorni fa Donato Greco, un ex membro del Cts, appena sciolto, ha dovuto ammettere che sono state suggerite durante la pandemia misure su basi scientifiche “deboli”, ma dai costi sociali ed economici “certi” (qualunque chiusura, “anche l’isolamento più crudo del marzo 2020 non ha sortito alcun effetto di contenimento dell’epidemia”). Come possiamo fidarci oggi, sull’approvvigionamento di gas, dei calcoli e dei piani dello stesso governo che con tanta leggerezza ha inferto costi sociali ed economici enormi su basi scientifiche così fragili e poco trasparenti?
E c’è di che preoccuparsi se l’idea di “unità nazionale” di Draghi è la stessa che ha portato il suo governo a scatenare una insensata e odiosa guerra contro una parte della popolazione restia a vaccinarsi. Chi saranno i capri espiatori dei razionamenti energetici? Sarà condannato alla “morte civile” chi si farà la doccia due volte al giorno?
L’idea di “unità nazionale” del presidente Draghi è quella che gli fa minacciare, ancora ieri in conferenza stampa, di porre la fiducia su una legge delega (una legge in cui è il Parlamento chiamato a indicare al governo principi e criteri direttivi da seguire, non il contrario), per imporla a metà della sua maggioranza che non vuole nuove tasse su immobili e risparmio? “Già si era opposta due volte, ma ha sempre vinto il governo. Andremo avanti”.
Come ha osservato il nostro Italians4Brexit su Twitter, il governo Draghi è “una delle rare occasioni in cui si è riusciti a porre la Competenza dinanzi alle proprie responsabilità”. E il bilancio, fino ad oggi, non è certo esaltante.
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