Rivoluzione o solo un alto giro di giostra? Nelle scorse settimane, dopo la quinta elezione di Vladimir Putin alla carica di presidente e il suo giuramento, il Governo russo si è presentato dimissionario (come da Costituzione) al nuovo-vecchio capo dello Stato, che ha così cominciato a provvedere a nuove nomine. La prima conferma è arrivata per il premier Mikhail Mishustin, un economista ed esperto di sistemi informatici in carica dal 2020. Poi, a cascata, ci si aspettava la riconferma anche di tutti gli altri ministri, almeno di quelli più importanti. Che qualcosa scricchiolasse lo si era capito da un annuncio che riguardava Andrej Belousov, il primo vice-premier che era stato anche primo ministro per venti giorni nel 2020 quando il titolare, Mishustin appunto, si era preso il Covid.
Belousov è praticamente conosciuto da noi ma è invece piuttosto noto in Russia. Magari non al cittadino comune ma di certo negli ambienti che contano. Moscovita, figlio di un importante economista sovietico, ha studiato Fisica, Matematica ed Economia, per laurearsi in cibernetica economica nel 1981. Da lì ha intrapreso una brillante carriera accademica che lo ha portato, alla fine degli anni Novanta, a diventare il consigliere economico di diversi primi ministri, da Primakov a Stepashin, da Kasyanov a Fradkov. In quella veste ha redatto diversi importanti rapporti sullo stato dell’economia russa nella transizione dall’economia di piano dell’Unione Sovietica al libero mercato.
La svolta per Belousov arriva nel 2006, quando l’allora ministro per lo Sviluppo Economico German Gref lo chiama a fargli da vice. Belousov lascia ogni altro incarico e da allora si dedica totalmente agli affari di Governo. Nel 2007, quando Gref lascia il Governo, diventa ministro Elvira Nabiullina (attuale governatrice della Banca centrale di Russia) e Belousov continua a fare il vice. Si dice anzi che furono proprio Nabiullina, Belousov e il primo vice-premier Shuvalov a formulare i principi della politica economica 2008-2012 che tracciarono la Russia fuori dalla crisi finanziaria globale del 2008. Belousov diventa a sua volta ministro titolare dello Sviluppo Economico nel 2009, quando Dmitrij Medvedev viene eletto presidente e forma un nuovo Governo, mentre Nabiullina diventa assistente del Presidente per la politica economica. La staffetta tra i due prosegue nel 2013, quando Nabullina diventa governatrice della Banca centrale e Belousov assistente del Presidente, che però è Vladimir Putin. Nel 2020, infine, il sempre discreto e taciturno Belousov diventa primo vice-premier.
Serviva un po’ di curriculum per dar conto di quanto sia sorprendente ritrovarsi Belousov, ora, in piena guerra, a capo del ministero della Difesa. Un civile che non si è mai occupato di questioni militare guida uno degli eserciti più potenti del mondo e amministra il più vasto arsenale nucleare del pianeta proprio mentre il suo Paese è impegnato non solo in una guerra di occupazione in Ucraina ma mentre gli equilibri mondiali, anche in virtù di questo guerra, affrontano cambiamenti vertiginosi.
La sorpresa aumenta quando si considera che il ministro della Difesa uscente, Sergej Shoigu, è uno dei fedelissimi di Putin, che per non sfiduciare lui e i suoi collaboratori è andato allo scontro con Evgenyj Prigozhin, fino ad affrontarne la ribellione armata dell’estate scorsa. Shoigu non è un personaggio qualunque. È in politica dai Primi anni Novanta ed è stato per molti anni un apprezzatissimo ministro per le Situazioni di emergenza. Alla Difesa è arrivato nel 2012 ed è l’artefice dell’ammodernamento intenso e rapido cui sono state sottoposte e forze armate russe. Qualcuno ipotizza che paghi con il cambio di incarico anche lo scandalo del recentissimo arresto di Timur Ivanov, uno dei suoi vice-ministri, quello addetto all’edilizia militare, finito in manetta con una pesantissima accusa di corruzione.
Il problema è che Shoigu non viene eliminato né retrocesso ma, semmai, promosso. Diventa infatti segretario del Consiglio di sicurezza, posto fino a ieri occupato da Sergej Patrushev, e occupa anche la carica di vice-presidente della cruciale Commissione per il complesso militar-industriale presieduta dal superfalco Dmitrij Medvedev.
A dirci se di rivoluzione o di giro di giostra si tratta sarà, appunto, la sorte di Patrushev. Pietroburghese come Putin, ingegnere navale entrato nel 1975 nelle scuole del KGB, Patrushev ha percorso tutta la carriera della spia fino a diventare, nel 1999, negli ultimi mesi della presidenza Putin, il capo delle spie, ovvero il direttore dell’FSB, per diventare nel 2008 segretario del Consiglio di sicurezza. È considerato non un fedelissimo ma un superfedelissimo di Putin ed è ritratto come il suo primo consigliere, anzi, la sua anima nera. Possibile che sia stato semplicemente silurato? Oppure lo ritroveremo in qualche altro incarico importante?
La cosa notevole è che tutto questo movimento viene proprio quando le truppe russe sono all’attacco nel Nord dell’Ucraina e cercano di avanzare su tutto il fronte, che da Nord a Sud, da Khar’kiv a Odessa, è lungo mille chilometri. Queste nomine, che scuotono equilibri molto consolidati, sono un segnale di forza (Putin è talmente in sella e le sue forze così ben messe al fronte) da permettergli di operare cambi importanti nella squadra che occupa il cuore del Cremlino? Oppure c’è qualcosa che non va nel cuore del potere e i cambi servono a prevenire maggiori problemi? Ce lo dirà il destino di Patrushev, appunto. Intanto vale la pena notare che i vertici dei servizi di sicurezza (Bortnikov all’FSB, Naryshkin all’SVR e Kolokol’zev agli Interni) sono rimasti invariati. E che al ministero degli Interni non si tocca il mostro sacro Sergej Lavrov, in carica da vent’anni.
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