Gli insegnamenti di Enrico Mattei per il “Piano”
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - 07/02/2024
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Fonte: Mario Lettieri e Paolo Raimondi
Enrico Mattei era un uomo d’azione, visionario, concreto,
non di tante parole. La sua vita ha segnato eventi rivoluzionari che
hanno contribuito a cambiare un’epoca. E’ stato un leader con obiettivi e
metodi operativi chiari: individuare e realizzare grandi progetti, a
livello nazionale e internazionale, capaci di ispirare profondi
cambiamenti economici e sociali.
Anzitutto la realizzazione di una
rete nazionale di gasdotti per la distribuzione del gas metano che ha
cambiato la vita della nostra gente e ha contribuito grandemente allo
sviluppo industriale dell’Italia sollevandola dalle distruzioni della
guerra. Mattei è stato anche all’avanguardia nel promuovere la ricerca
scientifica e tecnologica, tanto che una delle prime centrali nucleari
europee, con il reattore più potente di allora, fu costruita dall’Agip
nel 1958 a Latina.
Ruppe gli accordi fifty-fifty sui profitti
dall’estrazione di petrolio, portandoli a 75-25% a favore di numerosi
paesi produttori, sfidando i comportamenti neocoloniali delle cosiddette
sette sorelle, spingendo molti leader del terzo mondo a iniziare
politiche di sviluppo più indipendenti e sovrane. Per questo ha pagato
con la vita. I grandi accordi non si esaurivano con lo sfruttamento
energetico ma affiancavano anche joint venture paritarie per la
realizzazione di importanti infrastrutture, porti, strade, ecc.,
necessarie alla trasformazione dei paesi da semplici fornitori di
materie prime a economie industrializzate, anche con la formazione
professionale dei giovani del posto.
E’ per questo che pensiamo
che il “Piano Mattei” non sia all’altezza del nome che porta. Al di là
delle polemiche di parte, l’iniziativa è, comunque, in sé positiva
perché assegna all’Italia, almeno sulla carta, un ruolo attivo e
internazionale.
Secondo noi, però, il piano dovrebbe indicare pochi e
grandi progetti, lavorando con i paesi africani per la loro
realizzazione. Poiché tra gli obiettivi vi è opportunamente la questione
dell’acqua, elemento essenziale per usi civili, agricoli e industriali e
per fermare il processo di desertificazione nelle regioni del Sahel, un
progetto da sostenere dovrebbe essere quello definito Transaqua. Esso
prevede il trasferimento di una percentuale di acqua del fiume Congo,
che altrimenti finirebbe nell’Oceano Atlantico, con un canale fino al
Lago Ciad che sta per scomparire dalle cartine geografiche. A esso si
legherebbero anche altri progetti nel campo agroindustriale,
infrastrutturale e sociale, nonché la necessaria formazione tecnica e
professionale.
Intorno alla questione del Lago Ciad esiste da
decenni una Commissione che coinvolge tutti gli stati direttamente
interessati come il Ciad, il Niger, la Nigeria, il Camerun, la
Repubblica Centrafricana, la Libia e potenzialmente molti altri.
L’Italia è direttamente coinvolta nel progetto, elaborato oltre 40 anni
fa dall’impresa italiana Bonifica del Gruppo Iri e avendo, recentemente,
partecipato allo studio di fattibilità. In altre parole la
collaborazione paritetica è già in atto.
E’ senz’altro vero che con i
suoi 5,5 miliardi di euro l’Italia da sola non potrebbe farcela. Però,
dovrebbe interessare l’Unione europea e cercare di inserire tale
progetto nel piano di investimenti europei, noto come Global Gateway. Il
grande progetto sarebbe una sfida a quanti vorrebbero continuare con
vecchie e fallimentari politiche, “predatorie o caritatevoli”, nei
confronti del continente africano.
Invece, il piano del governo,
per quanto riguarda la gestione dell’acqua punta alla realizzazione di
pozzi, ad esempio, in qualche zona rurale del Congo. Iniziative del
genere sono state fatte da decenni ma non hanno cambiato la situazione
che è rimasta a livello di sopravvivenza.
L’ideologia del “piccolo è
bello” spesso genera degli sprechi e Mattei ci insegna che bisogna
puntare in grande. Ovviamente non si tratta nemmeno di costruire delle
“cattedrali nel deserto”, bensì individuare insieme ai leader africani
quei progetti portanti che servono all’Africa di oggi e di domani.
L’altra
sfida è quella delle infrastrutture. Nel 2019 i paesi dell’Africa hanno
ratificato l’accordo per la Zona continentale di libero scambio e nei
loro progetti, previsti anche dall’Unione Africana con l'Agenda 2063, vi
è una rete di trasporti ferroviari, terrestri e fluviali per migliorar e
accrescere il commercio interno del continente che è soltanto il 18% di
quello africano globale. Invece di arrovellarsi su piccole iniziative
locali o nazionali, perché non agganciarsi ai progetti già indicati dai
leader africani per l’intero continente? Sarebbe un modo serio e
rispettoso, “paritetico”, per avanzare nella cooperazione. Anche così si
spingerebbero gli altri paesi europei e l’Ue a sostenere una vera
rivoluzione infrastrutturale e industriale in Africa.
Non si tratta
affatto di negligere i fondamentali settori dell’istruzione e della
sanità. Ma, come conosciamo bene anche in Italia, questi possono essere
sostenuti e migliorati nel tempo soltanto attraverso la creazione di
ricchezza e l’aumento del pil. Altrimenti restano schiacciati dalla
povertà o dipendenti da azioni caritatevoli, spesso “pelose”. Per quanto
riguarda l’energia, tanto è stato detto e già fatto. Circa le
migrazioni si può solo dire che è una sfida da gestire con umanità e
anche in rapporto alle necessità di mano d’opera del nostro paese e
dell’Europa.
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