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"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

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Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

L’esercito israeliano è demoralizzato, esausto e indebolito dalle gravi perdite quotidiane a Gaza, ecco perché evita lo scontro diretto con Hezbollah

 

Un “maniaco genocida”: qual è l’obiettivo finale di Netanyahu in Medio Oriente?

di DI RAMZY BAROUD (*)

Questo articolo è stato scritto poco prima che Israele assassinasse a Beirut, il 2 gennaio, il vice capo dell’ufficio politico di Hamas Saleh al-Arouri. L’assassinio è un’ulteriore dimostrazione del desiderio del governo israeliano di sfuggire alle conseguenze della sua disastrosa guerra a Gaza, innescando un conflitto regionale.

Gli scontri tra Hezbollah e Israele sono i più vicini a una vera e propria guerra che il confine tra Libano e Israele abbia visto dalla guerra del 2006, che si è conclusa con una precipitosa ritirata israeliana, se non con la totale sconfitta.

Spesso ci riferiamo al conflitto in corso tra Libano e Israele come a scontri “controllati”, semplicemente perché entrambe le parti desiderano non istigare o impegnarsi in una guerra totale.

Ovviamente, Hezbollah vuole preservare le vite libanesi e le infrastrutture civili, che sarebbero sicuramente gravemente danneggiate, se non distrutte, se Israele decidesse di lanciare una guerra.

Ma anche Israele capisce che si tratta di un Hezbollah diverso da quello degli anni ’80, 2000 e perfino 2006.

Rispetto al comportamento di Israele nella guerra del 2006, la risposta israeliana all’azione militare di Hezbollah – spinta dalla sua solidarietà con la Resistenza palestinese a Gaza – è molto attenuata.

Ad esempio, la guerra del 2006 fu presumibilmente provocata da un attacco di Hezbollah contro i soldati israeliani, che ne uccise tre. (Hezbollah afferma che i soldati hanno violato la sovranità libanese, come l’esercito israeliano ha infatti fatto numerose volte prima e da allora.)

Hezbollah gruppo combattente

Quel singolo evento portò ad una grande guerra che devastò il Libano, ma portò anche alla ritirata e alla sconfitta dell’esercito israeliano.

Immaginate cosa avrebbe fatto Israele secondo gli standard della guerra del 2006 se Hezbollah avesse ucciso e ferito centinaia di soldati israeliani, bombardato decine di basi militari, installazioni e persino insediamenti, come ha fatto quotidianamente dall’inizio di ottobre.

Un Hezbollah diverso

Nonostante le numerose minacce , Israele deve ancora entrare in guerra con l’obiettivo principale di spingere le forze di Hezbollah oltre il fiume Litani, presumibilmente garantendo così gli insediamenti ebraici al confine. Ma perché questa esitazione?

Innanzitutto, i combattenti di Hezbollah sono molto più forti di prima.

Per anni Hezbollah ha combattuto in contesti di guerra tradizionali, in particolare in Siria, producendo così una generazione di combattenti e comandanti temprati dalla battaglia, che non sono più vincolati alle regole della guerriglia, come avveniva in passato.

In secondo luogo, le capacità missilistiche di Hezbollah sono cresciute esponenzialmente dal 2006, non solo in termini di numero – fino a 150.000 secondo alcune stime – ma anche in termini di precisione, capacità esplosiva e portata.

Inoltre, Hezbollah si è distinto nello sviluppo dei propri razzi e missili, tra cui il potente Burkan , un razzo a corto raggio, che può trasportare una testata pesante, tra i 100 e i 500 chilogrammi. Ciò rende Hezbollah, in un certo senso, autosufficiente in termini di armi, se non di munizioni.

In terzo luogo, le sofisticate unità d’élite Radwan di Hezbollah e un elaborato sistema di tunnel che si estende nel profondo del nord di Israele, costringerebbero Israele a confrontarsi con una realtà militare completamente diversa da quella dell’ultima guerra, nel caso scoppiasse un grave conflitto militare.

In quarto luogo, lo stesso esercito israeliano è a brandelli, demoralizzato, estremamente esausto e indebolito dalle continue perdite quotidiane sul fronte di Gaza. Difficilmente è in uno stato di preparazione per combattere una guerra lunga e più difficile contro un nemico meglio preparato.

Hezbollah reparto

Tenendo presente questo, non bisogna prendere troppo sul serio commenti come quello del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant quando afferma che il suo paese sta combattendo una guerra su sette fronti diversi. In realtà, l’esercito israeliano sta ancora combattendo un’unica guerra a Gaza, una guerra difficile che non sta vincendo.

Provocare l’Iran
Per distrarre dalle perdite subite a Gaza e dalla sua incapacità di lanciare una grande guerra contro il Libano, Tel Aviv vuole trascinare Teheran nella guerra.

Ma perché Israele dovrebbe inasprirsi contro il più forte dei suoi nemici nella regione, se non è in grado di sconfiggere quelli più piccoli?

La risposta breve è che, impegnandosi direttamente con l’Iran, Israele costringerebbe gli Stati Uniti a una grande guerra regionale.

Ricordiamo tutti la decisione apparentemente strana dell’amministrazione Biden di inviare una portaerei sulle coste israeliane del Mediterraneo, subito dopo l’inizio della guerra di Gaza, il 7 ottobre. (La Gerald R. Ford è stata infine ritirata il 31 dicembre).

Washington voleva inviare il messaggio all’Iran che un attacco contro Israele sarebbe stato considerato un attacco agli Stati Uniti. Ma quando è diventato chiaro che l’Iran non aveva alcun interesse in una guerra vera e propria, Washington si è resa conto, o deve aver capito, che il pericolo di una guerra regionale non deriva da Teheran, ma dalla stessa Tel Aviv.

Fu allora che l’intelligence e le stime politiche ufficiali degli Stati Uniti iniziarono a dirci, e ripetutamente, che l’Iran non aveva nulla a che fare con l’operazione militare di Hamas del 7 ottobre, e che l’Iran non era interessato alla guerra.

Il destinatario di quel messaggio era Israele e i suoi alleati occidentali e statunitensi che da anni mirano a una guerra tra Stati Uniti e Iran. La mancanza di interesse di Biden per la guerra, ovviamente, ha poco a che fare con la sua propensione alla pace, ma ha tutto a che fare con la mancanza di obiettivi geostrategici seri in Medio Oriente, con il disastroso fallimento della sua amministrazione in Ucraina e con il rapido esaurimento degli armamenti. e munizioni.

Missili iraniani pronti contro Israele

Israele, tuttavia, ha insistito. Ha continuato ad accusare l’Iran di essere l’orchestratore dell’attacco di Hamas e la principale “minaccia esistenziale” allo “Stato ebraico”. Secondo Israele, l’azione collettiva di Hamas e di altri gruppi di resistenza palestinese, Hezbollah in Libano, Ansarallah in Yemen e la Resistenza islamica in Iraq, sono tutti frammenti di un più ampio piano iraniano per distruggere Israele.

Per sconfiggere quella minaccia immaginaria, Israele ha compiuto numerosi atti di provocazione contro l’Iran, concentrati principalmente sul bombardamento delle posizioni militari iraniane in Siria, che hanno portato all’assassinio di un importante comandante iraniano, il generale Sayyed Ravi Mousavi, vicino a Damasco il 25 dicembre.

Biden il facilitatore

Per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, una guerra tra Stati Uniti e Iran costituirebbe un’ancora di salvezza per un politico disperato che comprende pienamente, e giustamente, che una mancata vittoria a Gaza equivarrebbe a una sconfitta per l’esercito israeliano. Una simile sconfitta rappresenterebbe non solo una fine vergognosa per la carriera politica di Netanyahu, ma anche la fine di un mito a lungo sostenuto secondo cui Israele e gli Stati Uniti possono imporre la propria volontà politica in Medio Oriente attraverso la superiorità militare e la potenza di fuoco.

L’amministrazione Biden deve essere pienamente consapevole delle intenzioni di Netanyahu, quelle di trascinare la regione nell’abisso di una delle guerre forse più devastanti degli ultimi tempi.

I disaccordi segnalati e, di fatto, una spaccatura tra Biden e Netanyahu non sono legati a un’obiezione morale degli Stati Uniti al genocidio israeliano a Gaza, ma a un reale timore americano che un’altra guerra in Medio Oriente possa accelerare il crollo del potere americano nel settore energetico. -nella regione più ricca di energia– anzi, anche oltre.

Ecco quindi l’attuale stallo: l’incapacità di Washington di liberarsi dal suo cieco impegno nei confronti di Israele e della sua violenta ideologia sionista, e l’incapacità di Netanyahu di distinguere tra l’obiettivo di sostenere la sua carriera personale e quello di distruggere l’intero Medio Oriente.

Incapace di anteporre gli interessi degli Stati Uniti a quelli di Israele, Biden continua ad alimentare la macchina militare israeliana, utilizzata principalmente per uccidere i civili palestinesi a Gaza. Ciò sta consentendo a Netanyahu di sostenere una guerra perpetua a Gaza, lavorando al contempo per espandere il conflitto in modo che raggiunga Beirut, Teheran e altre capitali regionali.

Inutile dire che Netanyahu, descritto dalla deputata americana Rashida Tlaib come un “maniaco genocida”, deve essere frenato. In caso contrario, il genocidio israeliano a Gaza si moltiplicherà in altri genocidi in tutto il Medio Oriente.

*Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “ Queste catene saranno spezzate : storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Il dottor Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli affari globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Fonte: Counter Punch

Traduzione: Luciano Lago

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