L'occidente alle strette
di Enrico Tomaselli - 06/10/2023
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-occidente-alle-strette
Fonte: Giubbe rosse
Una cosa si fa sempre più chiara, agli occhi delle
leadership occidentali, e cioé che quale che sia la propria posizione
rispetto alla guerra ucraina, a dettare la tabella di marcia sono le
condizioni materiali.
Puoi anche riuscire a bombardare il Comando
della Marina russa del mar Nero (vuoto), o distruggere un paio di aerei
in un remoto aeroporto; va benissimo per i TG della sera, ma è
perfettamente inutile sotto il profilo bellico. È sul campo di
battaglia, che si vince - o si perde.
E sul campo di battaglia,
l'esercito mercenario della NATO (altrimenti detto esercito ucraino)
ancor più che con le brigate russe, ed i campi minati della 'linea
Surovikin', si scontra con ben altri problemi. Ha un problema di
munizionamento per l'artiglieria; problema che si trascina da tempo, ma
che si aggrava ogni giorno che passa, poiché continua ovviamente a
consumarne grandi quantità in combattimento, ma i paesi occidentali non
sono assolutamente in grado di fornirne a sufficienza. E nel frattempo,
la produzione russa invece tende ad aumentare, ed in prospettiva può
contare sugli arsenali nord-coreani. Ha un problema di mezzi; non solo
carri armati e corazzati per la fanteria, ma carri per lo sminamento,
veicoli per la logistica e la sanità militare, e tutta la panoplia
necessaria alla mobilità dell'esercito..., ma anche qui la capacità di
supporto da parte dei paesi NATO è praticamente terminata. Ha un
problema di personale combattente; non solo in termini di reclutamento,
quanto soprattutto in termini di addestramento. Il 'consumo' è così
elevato, che i tempi di addestramento - già estremamente brevi - si
accorciano sempre più, il che a sua volta produce unità inesperte, che
fanno aumentare il numero delle perdite... Un circolo vizioso.
Il
problema, non è tanto la volontà o meno di fornire all'Ucraina ciò di
cui necessita per continuare a combattere, quanto la possibilità
materiale di rispondere adeguatamente a questa necessità. Allo stato
attuale, gli arsenali europei sono praticamente esauriti. Ci sono paesi
che hanno inviato a Kiev l'intera propria dotazione di artiglieria
semovente. Gli americani hanno scorte un po' maggiori, ma sono restii ad
intaccarle ulteriormente, perché la loro proiezione globale (e la
politica ostile con la Cina, la Corea del Nord e l'Iran, per citare solo
i principali 'nemici') rende imprudente mettersi nella situazione in
cui si trovano oggi molti paesi europei. La 'risposta' al problema è
ovviamente ripartire con la produzione, ma allo stato attuale né
l'industria europea, e nemmeno quella americana, sono in grado di
mettersi rapidamente al livello necessario. Anche qui, non è soltanto
una questione di volontà politica, ma anche di questioni pratiche:
implementare nuove linee di produzione richiede investimenti, richiede
personale specializzato, richiede approvvigionamenti energetici,
richiede soprattutto tempo. Anche solo per mettersi alla pari con le
esigenze attuali (quali determinate non solo dal conflitto ucraino, ma
anche dalla necessità di rimpinguare gli arsenali depauperati ed
ammodernare le forze attive), ci vorrebbero almeno 4/5 anni. Oggi come
oggi, un ordinativo per - ad esempio - uno stock di carri armati o di
caccia-bombardieri, rischia di poter essere completamente evaso tra
dieci anni.
Per tamponare questa situazione, i paesi NATO stanno
facendo ricorso ad una sorta di 'escalation di necessità'. Avendo
esaurito la disponibilità di determinati sistemi d'arma, passano a
fornirne altri, più potenti e tecnologicamente più avanzati. Oggi i
missili Storm Shadow, domani i Taurus e gli ATACMS, poi gli F-16...
Ma,
oltre a rischiare di innescare appunto una escalation del conflitto,
queste misure servono a malapena a guadagnare tempo. Innanzi tutto,
anche questi sistemi d'arma (costosissimi) non sono disponibili in
quantità sufficienti, ed a loro volta dovranno poi essere reintegrati,
con tempi niente affatto brevi. E inoltre, mostreranno presto che la
coperta è corta. Visti i tempi medio-lunghi con cui procede la
produzione industriale bellica, tutto ciò che va in Ucraina sguarnisce
la difesa di altri paesi occidentali; e quando la si dirotta verso Kiev,
si spostano i tempi di consegna di altre commesse, mettendo in
difficoltà i destinatari di queste.
Prendiamo ad esempio i
caccia-bombardieri F-16. I paesi che li hanno in dotazione, per darli
all'Ucraina se ne priveranno a loro volta, indebolendo le proprie
difese. E, dati i tempi industriali, resteranno 'scoperti' sinché non
potranno ricevere nuovi velivoli. E parliamo di svariati anni. L'Italia,
dei 90 F-35 ordinati a partire dal 2017, ne ha sinora ricevuti solo 27.
La Turchia, che per dare il placet all'ingresso della Svezia nella NATO
vuole l'assicurazione che riceverà l'ok al suo ordinativo di F-16, si
andrà ad inserire in una lista d'attesa destinata a crescere. E così per
l'intera catena produttiva e commerciale dei sistemi d'arma
occidentali. La guerra ucraina, con i suoi vertiginosi ritmi di consumo,
ha avuto un impatto esplosivo sul sistema militare industriale
occidentale.
In conseguenza di ciò, è proprio la capacità occidentale
di fornire armamenti, ad essere vicina ad un punto di crisi. Fornirne
di altro tipo, diversi da quelli di cui effettivamente necessità
l'esercito ucraino, non sarà di alcun aiuto a Kiev, e servirà solo ad
ampliare il deficit degli eserciti NATO.
Se la coperta è troppo
corta, 'stiracchiarla' con operazioni di make up non servirà a nulla. I
problemi delle forze armate dell'Ucraina restano inalterati.
Anche se
ovviamente non ne fanno pubblicamente parola, di questo i comandi
dell'Alleanza Atlantica sono ben consapevoli. E la questione -
scarnificata alla sua essenza - è molto semplice.
Né l'Ucraina né la
NATO possono reggere una guerra d'attrito di lunga durata - altri anni -
perché la capacità di combattimento di entrambe si esaurirebbe assai
prima che il sistema industriale raggiungesse il livello necessario.
Ovviamente, un modo per guadagnare tempo sarebbe l'intervento diretto,
sul campo, di uno o più paesi NATO. Anche a prescindere dai rischi
elevatissimi che una decisione del genere implicherebbe, non solo non
c'è alcuna certezza su quanto tempo farebbe guadagnare, ma metterebbe i
paesi coinvolti (e l'intera Alleanza in generale) in una situazione di
deficit materiale ancor prima del previsto.
A questo punto, quindi,
l'unica chance che si offre è quella di sferrare un altro attacco, in
tempi relativamente brevi, che consenta di portare a casa un risultato
quanto meno spendibile come successo, e provare ad aprire una trattativa
a partire da un congelamento di fatto dei combattimenti. Vista
l'esperienza fallimentare della 'controffensiva di primavera', è
probabile che stavolta i Comandi NATO vogliano dirigere direttamente
l'operazione. Che deve comunque concludersi prima che la stagione delle
piogge renda complicata la mobilità delle unità impegnate.
Insomma,
l'esaurirsi delle disponibilità materiali a breve termine (coperta
corta), impone alla NATO di cercare una svolta in un arco di tempo
ristretto (finestra di opportunità). Tutto ciò la mette alle strette, e
questo potrebbe sia indurre ad una mossa 'sbagliata' (che allarga il
conflitto), sia ad una mossa 'stupida' (che chiude il cul-de-sac in cui
s'è cacciata).
Se questo attacco si concretizzerà, lo vedremo
probabilmente nelle prossime settimane. Nell'arco del prossimo inverno
capiremo invece cosa c'è da aspettarsi per il 2024.
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