L'impero dell'immagine di consumo
di Andrea Zhok - 18/07/2023
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-impero-dell-immagine-di-consumo
Fonte: Andrea Zhok
Cos'hanno in comune:
1) l'idea che l'Occidente possa
fare a meno di combustibili fossili e abbandonare i motori a scoppio
mentre il resto del mondo non ci pensa nemmeno;
2) l'idea che
l'esercito russo sia tecnologicamente arretrato, combatta con le vanghe,
sia guidato da un pazzo, e crolli perché mandiamo agli ucraini le
nostre armi;
3) l'idea che se sei maschio ma stamattina decidi di
essere femmina questo significa che sei femmina punto e basta, e il
resto sono quisquilie e pinzillacchere conservatrici;
4) l'idea che l'Europa possa sopravvivere come potenza economica in assenza di approvvigionamenti energetici a buon prezzo;
ecc. ecc.?
Ci
sono molti modi per descrivere unitariamente il processo storico che
arriva a questi (e altri) sbocchi, ma se vogliamo descriverlo in termini
simil-filosofici possiamo dire che sono, molto semplicemente, istanze
di soggettivismo assoluto, un soggettivismo persino più radicale delle
forme più estreme di idealismo soggettivo tipo Berkeley.
Qui il mondo è come è semplicemente perché io penso che sia così, e il fatto di pensarlo così lo renderà tale.
E'
interessante notare come la politica, e tanto più la politica
internazionale, che è sempre stata innanzitutto "Realpolitik" si sia
trasformata negli ultimi decenni nel dominio incontrastato non tanto del
wishful thinking, ma proprio di una batteria di deliri volontaristici
in cui la realtà è, senza resti, ciò che vogliamo che sia. E se non è
d'accordo, tanto peggio per la realtà.
La natura, di cui si si
riempie la bocca in forme pseudoecologiste, è in effetti scomparsa e
ridotta un po' a fiaba disneyana (magari emendata) e un po' a luogo
ideale, funzionale a ricordarci i nostri peccati. La natura che si
immagina di difendere è in effetti sempre solo qualche immagine
pubblicitaria della natura, come scorcio da fruire nelle prossime
vacanze-da-sogno-tutto-compreso.
La sostituzione della natura con
un'immagine socializzata di essa è peraltro il tratto dominante in tutto
il dibattito sull'autodeterminazione sessuale, che da interessante tema
di nicchia è diventato un'ossessione onnicomprensiva su cui combattere
una battaglia ideologica perenne.
Il regno dell'immagine
naturalmente celebra i suoi più indiscussi trionfi quando si trova a
dover gestire l'opinione pubblica intorno a paesi ostili e/o popoli
distanti. Qui si possono costruire impunemente narrative
autoconfermantesi, con la massima libertà creativa, e le esigenze della
propaganda santificano questa inclinazione della nostra epoca facendone
un dovere civico (la costruzione di un'opinione pubblica compiacente
come retroguardia del fronte bellico).
Ecco, l'altro giorno
riflettevo su un dato preoccupante relativo alla gioventù contemporanea,
così come essa emerge da una campionatura delle interazioni sui social.
Notavo lo straordinario, incontenibile livello di dipendenza da una
pressione pubblicitaria, in gran parte occulta, che riconduce
l'orizzonte delle proprie aspirazioni alla sfera di
consumi-mirati-ai-giovani.
Su questo piano la vittoria dei
meccanismi di mercato è totale e incontrastata. L'adesione ai modelli di
consumo e alle tipologie di beni come orizzonte di valore è senza
remore e del tutto inconsapevole. Questo non va inteso come "credere
agli spot". Da tempo la pubblicità non funziona principalmente nella
forma diretta dello spot, ma nelle forme oblique - e infinitamente più
efficaci - della proposta di un'immagine del mondo e di modelli umani,
cui magicamente corrispondono beni, servizi e funzioni dotati di un
cartellino del prezzo.
Di questo processo non fa parte solo la
vendita del prodotto, ma la vendita di un'immagine di sé e degli altri.
Ciò che un tempo si chiamava ideologia si è trasferita senza resti nella
pubblicità diretta, ma soprattutto indiretta (nei film, tramite gli
influencer, ecc.).
La formazione sentimentale di queste nuove
generazioni si forgia su questa modellistica unidmensionale, che diviene
poi anche l'oggetto unico delle diatribe, delle polarizzazioni, del
"dibattito civile". E infatti l'agenda ideologica giovanile coincide al
millimetro con l'agenda precotta del "ceto creativo": autodeterminazione
genitale, ecologismo dal diario di Greta, disprezzo per ogni forma di
vita che si allontana dall'immagine del centro affluente di una
metropoli americana, animalismo disneyano, catalogo dei cattivi estratto
direttamente dall'agenda della NSA, ecc.
Questo asservimento
integrale ad una cultura manipolatoria dell'immagine è peraltro senza
vie d'uscita, perché da un lato anche la scuola e l'università ne sono
sempre più pervase, e dall'altro la capacità di lettura autonoma -
l'unica fonte cui si potrebbe ricorrere per attingere a modelli
differenti e non commerciali - non fa più parte delle facoltà primarie.
Nella
lettura l'immaginario è autonomamente creato dal lettore, e ciò fa
della lettura sempre un atto dove simultaneamente si apprende e si crea.
Ma l'abitudine a navigare un sistema di immagini auto-offerentesi fa
apparire comparativamente la lettura un medio faticoso, e ne paralizza
lo sviluppo.
L'esito naturale di questo processo è una riduzione
verticale della capacità di lettura strutturata, che si attesta al
livello della lettura di una mail o di un twit, mentre quella peculiare
facoltà intorno a cui si è costituita la civiltà degli ultimi millenni
appare in via di estinzione.
Ecco, mentre riflettevo sullo
spostamento della coscienza della gioventù contemporanea verso un mondo
di immagini manipolatorie mi chiedevo cosa accadrà quando questa
generazione sarà classe dirigente. Solo che, a ben vedere, quella
odierna è già la seconda generazione che abita questa condizione, solo
in forma più estrema della precedente.
E la generazione precedente è
quella che oggi costituisce il nerbo delle classi dirigenti e dei ceti
produttivi: il predominio di quella forma di soggettivismo idealistico
che rende le proprie proiezioni più reali della realtà è dunque già un
primo frutto di quella dinamica.
Questa conclusione mette in guardia
rispetto alla prospettiva ottimistica per cui "non può andare così
avanti a lungo, prima o poi andranno a sbattere". Sì, andranno (cioè,
volenti o nolenti andremo tutti) a sbattere, ma in mancanza dello
sviluppo di facoltà alternative questa non sarà una lezione di realismo,
una spinta ad analizzare il mondo e la sua complessità, ma un semplice
incentivo a cambiare immaginario, a scegliere qualche altra immagine di
fantasia dagli scaffali di quel supermercato cosmico che ci figuriamo
sia il nostro mondo.
Nessun commento:
Posta un commento