Con o senza il coinvolgimento diretto della Nato, le possibilità che Kiev vinca sono per me 1 su 38 milioni
di Seymour Hersh - 20/02/2023
Fonte: Il Fatto Quotidiano.
Il premio Pulitzer Seymour Hersh: “Io agente russo? Una follia. È la crisi del giornalismo”
a cura di STEFANIA MAURIZI
È
un giornalista investigativo leggendario. Da giorni è al centro di
critiche velenose e silenzi tombali sul suo ultimo scoop: l’inchiesta
secondo cui gli Stati Uniti, in collaborazione con la Norvegia, hanno
condotto un’operazione segreta di sabotaggio per distruggere il gasdotto
North Stream. Il Fatto ha raggiunto il Pulitzer americano Seymour
Hersh.
La Russia vuole richiedere al Consiglio di Sicurezza Onu
una commissione internazionale indipendente per indagare sul sabotaggio
di North Stream 1 e 2. Lei cosa si aspetta, considerato il silenzio con
cui la stampa Usa ha accolto la sua inchiesta?
Il silenzio non è una
novità per me. Ma dalle telefonate che ricevo la storia non sta
scomparendo dai media, tutt’altro. Sto cercando di capire le ragioni di
questo sabotaggio, che in realtà parte da fine 2021. Perfino gli uomini
che l’hanno materialmente eseguito non erano per far saltare in aria il
gasdotto. Hanno accolto l’idea di aiutare il presidente Usa Joe Biden
nel tentativo di esercitare una minaccia credibile nei confronti di
Putin, forse per cercare di fermarlo, all’inizio, prima dell’invasione
dell’Ucraina. Ma c’era una chance su un milione di riuscire
nell’obiettivo e infatti Putin non si è fermato. Io però credo che
quello che Putin voleva fare fosse tenere lontana l’Ucraina dalla Nato.
Ma ogni volta che lo dico finisco nei guai, perché vengo dipinto come
una sorta di agente segreto russo: una follia. Putin non aveva
intenzione di conquistare l’Europa: il suo obiettivo era assicurarsi una
zona cuscinetto, come era stata l’Ucraina fino al 2014, fino a quando
gli Stati Uniti hanno lavorato al colpo di Stato (con la Rivoluzione di
Maidan, ndr). Non c’è dubbio che l’abbiano fatto.
Lei è stato
criticato per tre aspetti della sua inchiesta: per aver usato una sola
fonte giornalistica; perché alcuni dettagli sono stati smentiti da
esperti di open source intelligence; per aver scritto che l’attuale capo
della Nato cooperò con l’intelligence Usa fin dal Vietnam, solo che
allora Jens Stoltenberg era un teenager…
Non parlo delle mie fonti.
Ho una lunga storia di scoop basati su fonti anonime. Trent’anni fa
pubblicai un’inchiesta sul New Yorker sul generale Barry McCaffrey.
Durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, McCaffrey aveva attaccato
la divisione irachena Hammurabi, due o tre giorni dopo il trattato di
pace che aveva posto fine alla guerra. Quell’unità si era arresa, ma lui
aveva ucciso tutti, circa 800 uomini. Avevano coperto la storia. Io lo
rivelai. McCaffrey mi attaccò e uscì sul Washington Post una grande
storia in cui mi accusava di mentire. La Casa Bianca, allora guidata da
Bill Clinton, lo supportò in tutto. Le mie rivelazioni caddero nel
vuoto, e il fatto che tutti fossero citati per nome e cognome non fece
differenza. Così quando i media dicono: “Non ci sono fonti citate, è un
resoconto anonimo…”, io so già di cosa parliamo. Se il New York Times o
il Washington Post scelgono di non riprendere certe notizie, di non
scrivere, per me va bene: è un problema loro. Il giornalismo americano
sta attraversando un periodo difficile.
E le obiezioni degli esperti di dati open source?
Gli
esperti di open source sono sempre molto sicuri di loro, perché dicono:
“I dati non mentono mai”. E mostrano mappe e carte… Ma nella nostra
intelligence ci sono persone di notevole raffinatezza intellettuale,
capaci di “confondere” i dati open source.
E Stoltenberg?
Era
un leader delle proteste contro la guerra in Vietnam, venne anche
arrestato, a Oslo. Aveva 14 o 15 anni. Se già a quell’età lavorasse o
meno con la nostra intelligence non spetta a me dirlo, non lo so. È un
personaggio marginale in questa vicenda.
Distruggendo la
possibilità per Paesi come Germania e Italia di comprare gas a prezzi
bassi dalla Russia e chiedendo di aumentare la spesa militare, gli Usa
non rischiano di mandare in bancarotta i propri alleati?
È un tema
molto interessante. Il problema non è questo inverno, ma il prossimo.
Macron e anche il leader tedesco Scholz stanno parlando con la Cina per
le energie rinnovabili. Noi americani abbiamo tutto il gas che vogliamo.
La Russia ha perso parte del suo mercato, ma non molti soldi perché
vende a India e Cina. In Asia i Paesi che supportano la Russia sono
35-40, ma gli americani non lo sanno perché i media non lo riportano,
così come non scrivono del sabotaggio.
Pensa che Kiev possa vincere senza un profondo coinvolgimento della Nato?
(Fa
una lunga pausa). Credo che, anche in caso di un maggiore
coinvolgimento della Nato, il problema dell’Ucraina resterà tragico. Al
momento, Kiev non ha abbastanza armi e la corruzione, ai livelli più
alti, è enorme. Ma in Occidente facciamo difficoltà a parlare pure di
questo.
Nessuna chance di vittoria, quindi?
La mia previsione è
di 1 su 38 milioni. Putin ha sbagliato, è difficile dire una sola cosa
positiva su di lui, ha iniziato il conflitto più sanguinoso in Europa
dalla Seconda guerra mondiale. Ma nella stampa americana si scrive:
‘Putin ha attaccato senza motivo’. Be’, di motivi ne aveva: 32 anni di
menzogne sull’espansione della Nato a Est. Negli Usa la rabbia verso
Putin offusca il dibattito. Ricorda tutte quelle storie per cui sembrava
che stesse morendo, che avesse il cancro? (Ride) Ho letto i suoi
discorsi. Non è un idiota, non è un comunista. Ha una sorta di idea
mistica della Russia, di ritorno a un passato grandioso, ma non di nuove
espansioni. La cosa curiosa è che, prima della guerra e nonostante la
guerra, la Russia aveva grandi scambi economici con l’Occidente.
Sopravvive alle sanzioni. Come Cuba. L’embargo c’è dai tempi di Castro.
Mi pare siano sopravvissuti.
Nessun commento:
Posta un commento