Di Claudio Martinotti Doria
Il dibattito che si sta svolgendo tra i più raffinati intellettuali indipendenti sugli sconvolgimenti epocali in corso, insegue ancora la teoria del profitto capitalista, si perdono ancora dietro la motivazione del profitto e dell'avidità, ma non tengono conto di un fattore determinante.
I capitalisti sono spesso essi stessi banchieri e finanzieri, sono ai vertici della catena o piramide di potere e di conseguenza controllano la cosiddetta stampante monetaria, cioè creano denaro dal nulla, perché ne hanno la facoltà, di conseguenza la ricchezza è già una loro prerogativa illimitata, semmai cercheranno di sottrarla a chi ne possiede meno e non fa parte dell'élite e non intendono farli accedere, anche per ridurre il rischio che possano nuocere ai loro interessi di casta.
Di conseguenza non può essere l'accumulo di ricchezza l'unico o principale scopo, cosa rimane pertanto?
Rimane il controllo sulle masse, che temono di perdere a causa di un aumento esponenziale della consapevolezza acquisita da minoranze agguerrite di popolazione, sempre più coscienti dei fenomeni in corso, per quanto dissimulati, mistificati e depistati dalla propaganda a reti unificate di tutti i media da loro stessi posseduti.
Pertanto per fare un solo esempio, se decidono di eliminare le auto a motore termico per farci passare alle elettriche, che non funzionano, costano care e inquinano più delle altre, significa che vogliono farci andare a piedi o sui mezzi pubblici, perché in questo modo si limita la libertà e si è più facilmente controllabili e vincolati.
L'altro mezzo di controllo è disarmarci, in Italia ci sono riusciti rendendo oneroso e complicato a dismisura il possesso di armi e privandoci anche delle munizioni. Negli USA ci stanno provando in tutti i modi, ma non ci riusciranno, negli stati costieri sotto il governo dei DEM ci sono riusciti ma in quelli interni sotto il governo dei repubblicani non riusciranno, perché il possesso di armi è culturalmente troppo radicato e piuttosto che rinunciarvi i residenti di questi stati (come il Texas) preferirebbero ricorrere alla secessione dalla Federazione, senza contare che esistono migliaia di gruppi paramilitari armati fino ai denti e non credo potranno mai disarmarli senza conflitti a fuoco sanguinosi.
Siamo quindi transitati per volontà gerarchica imposta dall'alto dal capitalismo consumistico (spesso compulsivo e con obsolescenza programmata) a quello in cui i beni di consumo siamo noi stessi. Siamo noi esseri umani a dover essere consumati, quindi ridotti di numero, e quanto avvenuto negli ultimi anni è emblematico in proposito, e quelli che riusciranno a sopravvivere a tutte le prove e i rischi elaborati dal cinico e spietato potere elitario, dovranno essere impoveriti, posti sotto stretta sorveglianza, limitandone gli spostamenti e le possibilità di dissidenza attiva.
In estrema sintesi, pensate al peggiore degli scenari possibili e vi avvicinerete alla verità, cioè alle vere motivazioni alla base delle decisioni e pianificazioni degli psicopatici che siedono ai vertici della piramide di potere che domina il mondo.
Capitalismo metafisico
Davide Miccione
Avanti.it
Un lettore attento, in un post di commento al nostro articolo Italiano, il catalogo è questo, faceva notare come i guadagni correlati alla imponente sostituzione del parco auto europeo e in prospettiva dell’intero pianeta non erano il fine della attuale impressionante accelerazione del passaggio dai motori termici alla mobilità elettrica. Il lettore proponeva invece come scopo più plausibile l’appiedamento, con i suoi corollari di dipendenza e controllabilità, di una grossa parte, quella subalterna economicamente, della popolazione. Chi scrive si era più prudentemente attenuto alla “tradizionale” lettura attenta ai profitti del capitale e alle manovre per ottenerli. Per brevità? Per distrazione? O forse per una riserva mentale su questa chiave interpretativa? La risposta sulle vere intenzioni della scrittura non è semplice, neppure quando riguarda se stessi e non è semplice neanche la questione più generale entro cui questo quesito si iscrive.
Ci troviamo tra una vecchia idea del capitale come realtà basata sul profitto che ne persegue un aumento infinito subordinando ad esso ogni altra considerazione di ordine etico e finalistico e ogni altro intento (buono o cattivo che possa per noi essere) e la nuova idea di un capitalismo che persegue una precisa nuova antropologia e una precisa forma del vivere associato umano. Nello spazio tra i due probabilmente si gioca, in questo momento, la differenza tra una lettura “classica” del potere da parte di chi nettamente vi si oppone, figlia perlopiù del pensiero marxista, e la nuova galassia che va, a volte acutamente altre malamente e confusamente, coagulandosi. Che la si chiami cultura del dissenso o antisistema e che il potere, in malafede e purtroppo in alcuni casi con ragioni fornite dall’avversario, cerchi di spingerla fuori dal dibattito costruendo un vocabolario antipolitico che la metta fuori gioco (no vax, putiniani, complottisti eccetera) non cambia la forza teorica e pratica della questione. Bastano le ragioni economiche a spiegare tutto ciò che sta accadendo?
Di certo la difficoltà a determinare gli scopi del sistema è una delle caratteristiche dell’attuale situazione e, per chiunque abbia sofferto l’enormità degli eventi recenti e le ricadute sulle vite individuali, oggi capire cosa sia successo e perché è un’esigenza fortemente sentita. A fronte di questa domanda criteri d’interpretazione religiosi, teologici, esoterici, geopolitici, transumanisti, elitistici, etnici si susseguono, con una certezza sbandierata dagli interpreti le cui griglie di comprensione però si moltiplicano e a volte si contraddicono tra di loro e in se stesse. Per questo, a volte, anche quando possa sembrare di aver identificato i contorni di un disegno nei fatti degli ultimi anni e certamente possa essere euristicamente fruttuoso inserire ipotesi sui possibili fini verso cui essi vanno orientandosi, forte è la tentazione di attenersi alla più classica interpretazione che vede nel profitto l’unico dio perseguito.
Le contraddizioni tra le varie teorie interpretative sugli eventi non chiudono la questione, semmai consigliano altre domande. Ci si potrebbe ad esempio chiedere perché per così tante persone la lettura economicistica non sia più sufficiente. Eppure, a seguire i flussi di denaro, le squilibrate politiche pandemiche (tutte, dai lockdown al monolatrismo vaccinale) hanno arricchito chi dovevano arricchire e in enorme misura: le aziende farmaceutiche coinvolte nelle questioni vaccinali di questi ultimi anni, Amazon, i servizi di streaming, videochiamate e e-commerce conseguenti al trasferimento forzato digitale dei “confinati”, gli scienziati a gettone eccetera. Chi non ritiene di fermarsi a questo livello esplicativo non pensa che i guadagni non vi siano quanto che essi non siano sufficienti a spiegare le strategie del potere. Evidentemente scorgono un’eccedenza che rende insufficiente una lettura basata sulla sola sfera dell’economia.
Potremmo spiegare questa persuasione di insufficienza delle spiegazioni economicistiche, per molti, in termini di sola storia delle idee, cioè annotare il collasso della cultura marxista in Italia e la sua liquidazione e trarne l’ovvia constatazione della ormai scarsa frequentazione di una lettura sistemico-economica delle scelte politiche mondiali. Oppure si potrebbe registrare il fatto che la provenienza culturale e politica dei dissidenti di rado sia partita in questi ultimi anni da sinistra e che dunque essi siano più a proprio agio in altri giri teorici e interpretativi (geopolitica, scontri di civiltà, tramonti dell’Occidente eccetera). Insomma essi sconterebbero, a volerla dire con uno sprezzante Costanzo Preve, una insufficiente frequentazione del pensiero di Marx.
Tutte queste spiegazioni però si limitano a indagare i soggetti e le loro strutture teoriche prescindendo dal prendere in considerazione che a cambiare, a mostrare questo bisogno di interpretazioni non solo “strutturali”, siano i fatti stessi, la loro “stranezza”, che siano stati gli eventi a portarci verso questa eccedenza interpretativa non ulteriormente mascherabile e non i nostri limiti interpretativi a farci approdare a un supposto stile paranoico in politica.
A ben pensarci, il capitalismo come appare ai suoi “abitatori” (giacché questa è la questione) ha avuto fasi ben più lineari e comprensibili. Si pensi al consumismo compulsivo e ingenuo e al contempo tragico e spietato di Bianciardi o di Pasolini e della sua polemica sui jeans Jesus in un celebre articolo del 17 maggio del 1973 poi confluito negli Scritti Corsari. In quelle pagine Pasolini faceva notare il passaggio da un vecchio capitalismo che affidava alla Chiesa il ruolo di agenzia ideologica repressiva a un nuovo potere borghese per cui la religione “costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale”. Il nuovo potere voleva “liberarci” affinché potessimo compulsivamente desiderare (o credere di desiderare), comprare, pubblicizzare. Un capitalismo semplice e consumistico che abbiamo visto poteva inglobare in sé culturalmente persino la contestazione e i suoi aspetti desideranti e radicaloidi (l’immaginazione al potere). A voler prolungare quel capitalismo consumista si arriva, secondo il compianto Mario Perniola, direttamente a Berlusconi. In un acuto libretto dal titolo Berlusconi o il ’68 realizzato, Perniola mette in collegamento gli anni sessanta con l’edonismo liberista (a parole, nei fatti statalista) dei novanta, sviluppista e sedicente edonista. In fondo, a ben pensarci, era proprio Berlusconi con la sua ritornante idea di un nuovo miracolo economico a far tornare perennemente gli anni sessanta.
Nel frattempo, mentre Berlusconi fuoriusciva dallo zeitgeist perdendo la sua efficacia come interprete di una egemonia culturale (basta ricordare quando, dopo il 2008, continuava a ripetere, fuori tempo, di come i locali fossero pieni di gente e dunque non vi fosse alcuna crisi), appariva una faccia del capitalismo meno allegra, liberante, falso-dionisiaca. Un capitalismo preoccupato di far reggere i consumi, quello delle rottamazioni, delle obsolescenze programmate, dell’I-phone che rallenta appositamente per convincere l’ovino di turno a sostituirlo con la versione successiva, e poi il capitalismo targettizzato (ne ha dato una interessante lettura, proprio nel 2008, Remo Bassetti in Contro il target) che “profila” e prepara nicchie di consumo per ogni identità posticcia che stimola (il consumismo come role playing perenne). Un nesso capitale-consumo in fondo persino più chiaro di quello precedente a volte mascherato da un vitalismo ancora non del tutto artefatto. Qui invece si leggeva chiaramente (almeno per chi non si trovava già deformato dalla targettizzazione ed era magari intento a trasformarsi, in pieno Salento o in Gallura, in un americano immaginario con pancia, barba, Harley Davidson e musica country, oppure in un elfo paratolkieniano eccetera) l’ansia del capitale di continuare il consumo fuori da ogni plausibile bisogno reale e stabilire anzitempo le linee di sviluppo per una più comoda prevedibilità dei flussi di consumo.
Ma oggi che pensare? Oggi che il capitale che attraverso i suoi delegati politici fino a poco fa ci diceva di spendere allegramente per non fermare la macchina economica e ora ci dice di espiare la nostra presenza inquinante in terra; oggi che ci annuncia, in un nuovo millenarismo che ha già fatto passare (forse distratto) le date in cifra tonda, un futuro prossimo di epidemie, di carenza di merci e di energia, di rinserramento bellico contro le forze del male, cosa pensare? Un potere legato a doppio filo con il grande capitale (si pensi al fenomeno delle porte girevoli che vedono politici formarsi in banche d’affari e poi servire in istituzioni o politici servire in istituzioni e finito il lavoro proseguire la carriera in banche d’affari e CDA vari) va stilando l’elenco dei nuovi riti salvifici che si annunciano infiniti e sempre più difficili e onerosi.
Nei riti e negli obblighi da ottemperare, in una stimmung da fine del mondo prossima ventura che ognuno di noi potrebbe scatenare pro quota con il proprio comportamento, si svolgerà il nostro prossimo “consumismo”, cambiando la caldaia o l’auto o gli infissi o i farmaci, non per godere come annotava Pasolini e non perché facciamo parte di un target, ma per non essere puniti o esclusi dalla società. L’obsolescenza non riguarda più il prodotto da sostituire, ma noi stessi. La mostruosità di questo scenario che va addensandosi è tale e così nuova, da apparirci come eccedente rispetto a una spiegazione che pensi al solo profitto. E del resto l’interprete contemporaneo viene portato via dalle riflessioni che cerchino di individuare i soli vantaggi delle parti in gioco con la continua riproposizione di un pervasivo elemento etico-religioso che fa sì che ognuno costantemente e reiteratamente, vaccinandosi o aderendo alla resistenza ucraina o alla correttezza politica o alla agenda green, salvi il mondo, la propria anima, la propria appartenenza al nostro tempo, il proprio diritto a fare parte della società.
In questa atmosfera densa di religiosità (si pensi alla teologia della scienza che tutti ci siamo beccati in questi tre anni) sembrano scomparire gli interessi, coperti dalla santità di chi vuole salvarci. Diventa dunque necessario mantenere la lucidità della segnalazione dei portatori di interesse e dei percettori di profitto. Al contempo, è innegabile che una nuova antropologia umana sembra emergere dinnanzi a noi, un nuovo sistema di valori, una nuova fede nell’ordine del mondo, e che sia necessario coglierne il profilo egli scopi. È innegabile che l’accumulazione di denaro, oltre un certo livello, diventa inutile se non allarga il campo di ciò che è del tutto raggiungibile con il denaro, cioè se non diventa potere. Il potere ha regole ben più complesse e congetturali del profitto e allarga il campo del nostro pensabile.
Questo allargamento va compreso (in questo momento è opaco) e abbisogna di ipotesi e di strumenti ben più ampi dell’economia. Basta ricordarsi che le proprie interpretazioni si inoltrano nel mondo delle volontà, dei fini, delle visioni del mondo, dove si trovano non leggi ma congetture e ricostruzioni e che a queste non è consigliabile affezionarsi troppo.
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